martedì 1 ottobre 2013

American Beauty

American Beauty

Regia: Sam Mendes
Stati Uniti 1999
Durata: 118'
Cast: Kevin Spacey (Lester), Annette Bening (Caroline), Thora Birch (Jane), Wes Bentley (Ricky), Peter Gallagher (Padre di Ricky)
Sceneggiatura: Alan Ball
Produzione: Bruce Cohen, Dan Jinks, Alan Ball per la Dreamworks
Montaggio: Tariq Anwar
Musica: Thomas Newman


Il film si apre con un prologo che chiarisce gli intenti tematici: Jane si confessa di fronte ad una videocamera, lo sguardo elettronico guidato non sappiamo ancora da chi che indaga e scandaglia le profondità dell’animo umano. Lo sguardo elettronico è aperto alla verità e, come vedremo nel corso del film, è lo sguardo privilegiato di chi cerca di fermare su pellicola la bellezza del mondo. Mendes è, metaforicamente, quel video operatore.


Ma Jane confessa qualcosa che ci rimanda ad altro, più direttamente: vuole uccidere il padre, un ragazzino mai cresciuto che soffre e di cui ha pena. Torniamo ai temi di Era mio padre (precedente film di Sam Mendes), nel rapporto conflittuale tra genitori e figli. L’eroe di quel film è qui un inetto incapace di agire. E’ Lester Burnham, alias Kevin Spacey, che ci racconta le sue vicissitudini dell’ultimo anno dall’alto di una condizione di onniscienza che è quella di colui che può guardare letteralmente dall’alto la vita, di colui che è morto. 


Con un espediente che arriva da Viale del tramonto di Wyler, Mendes ci offre un narratore che racconta la propria morte riscendendo sui luoghi della sua vita (l’anima in volo sopra il quartiere apre il film dopo i titoli). Lester si pone al centro della attenzione nel suo letto disfatto e racconta della sua risurrezione dopo venti anni di coma. 


Chi c’è all’origine della sua distruzione? La moglie Carolyn che taglia e recide un fiore rosso, simbolo di un desiderio che Lester ha visto repentinamente svanire. Questa creatura castrante e dominante (le prime sequenze ce la pongono sempre in una prospettiva dominante rispetto al marito) tiene letteralmente in prigione Lester, una prigione al cui interno l’uomo regredisce ad uno stato adolescenziale di inazione masturbatoria, condizione accresciuta dalla frustrazione derivante dal suo lavoro che è un’altra prigione vivente (vediamo Lester riflesso all’interno dello schermo del computer, inglobato e soffocato). 




Questo stato di passività ed infelicità si evidenzia nei glaciali rapporti familiari che emergono nel teatrino dei pasti, composti, algidi, freddi, dove ogni tentativo di comunicare è soffocato in partenza. In questo senso le scene familiari sembrano una sorta di rappresentazioni teatrali (spesso inquadrate con elementi scenici che le incastonano come in un palcoscenico; i braccioli delle poltrone che fanno da quinte, ad esempio; ma lo stesso Lester, al termine di uno degli ennesimi battibecchi con la moglie si sfoga dicendo che il loro matrimonio è una farsa, uno spot che si sforza di  mostrare quanto le loro vite siano normali) in cui i personaggi recitano la propria parte consapevoli di essere maschere tragiche (emblematica la sequenza in cui Carolyn delusa da una ennesima giornata di fallimenti lavorativi, si schiaffeggia con enfasi quasi grottesca e riceve, come la termine di una performance attoriale, attraverso una dissolvenza sonora, un indiretto applauso che giunge dalla platea della partita di basket che cambierà le sorti della vita di Lester).



Ad osservare e filmare questo mondo c’è il giovane della porta accanto, Ricky, che cerca di fissare scampoli di realtà sui suoi videotape accuratamente ordinati, alla ricerca di tracce di bellezza in un mondo che sembra non avere né il tempo né la volontà di ricercarla. Ricky vede Lester e Jane divisi dalle sbarre della finestra, ciascuno dentro il proprio carcere e distanti tra loro. Ma di lui tornerò a parlare successivamente.



Lester ha però l’occasione di mutare il corso degli eventi. La passione entra nella sua vita e lo conduce ad un cambiamento radicale. Assistendo ad una partita di basket dove la figlia è impegnata come majorette, compare una creatura, tra le ragazze che ballano (il nome Angela lascia poco spazio alla fantasia sul piano del suo ruolo rispetto a Lester) che sconvolge la vita del protagonista. Lo zoom della macchina da presa isola Lester ed isola Angela, con effetti di luce che evidenziano l'esclusività della relazione che si attiva tra i due personaggi (ma che Lester guardi Angela è certo, molto meno sicuro è che lei guardi lui). Lester inebetito trova in Angela, una Lolita dei nostri giorni, un oggetto del desiderio (il desiderio si accende letteralmente attraverso lo sguardo di lui e si fa immagine mentale)  in grado di modificare la sua attitudine di vita fino a condurlo al ribaltamento completo delle dinamiche esistenziali incancrenite da 20 anni di passività. 



Ma Angela, come ogni oggetto del desiderio, diventa ben presto una colorita costruzione mentale (il colore rosso incarna il senso del desiderio non solo nella vicenda di Lester, ma lo ritroviamo come costante cromatica anche nelle sgangherate avventure erotiche di Carolyn che rimane ammirata dal concorrente immobiliarista Buddy Kane le cui scritte pubblicitarie campeggiano su un rosso sfavillante).


Il nuovo vitalismo di Lester prende il via interiormente (ciò che si attiva primariamente è lo spirito che tonificato torna a sognare con grande intensità) e poi coinvolge tutto il fisico (che cercherà di modificare con gli esercizi ginnici), attorno ad una figura che incarna quei fiori rossi del desiderio che la moglie incautamente recideva da anni. Che l’Angela del desiderio sia distante o meno dall’Angela reale, poco importa, la mente di Lester è ora un vulcano che su quella immagine costruisce la sua resurrezione. Così che alla fine Lester non concluda l’amplesso con Angela è perfettamente coerente con l’idea che la ragazza sia stata un semplice strumento di rinascita esistenziale piuttosto che un vero obiettivo erotico di Lester (del resto Lester si mette a fumare spinelli che gli fornisce Ricky e li chiama, con un nome in codice, Re-animator, con riferimento al film horror di Yuzna, ma anche alla rinascita della sua esistenza che anche nelle sostanze stupefacenti trova effetti “rianimanti”). Nei sogni di Lester il corpo di Angela non è mai completamente visibile, è un accumulo di fiori, non ha consistenza reale, è trasfigurato come immagine eterea quasi pittorica e botticelliana. Il bacio produce un petalo che esce dalla bocca e quando alla fine Lester può finalmente vedere il corpo di Angela nella sua realtà corporea più evidente ecco che l’impulso a possederla viene scemando e si arresta di fronte all’ammissione della ragazza che lei non è esattamente ciò che Lester ha forse sempre immaginato. Lester è deluso? No, tutt’altro, Lester è felice, forse è pronto a morire (Sto da Dio, ammette), proprio perché è ciò che quell’incontro ha provocato in lui ad essere stato il vero terremoto esistenziale e il vero obiettivo che il desiderio ha acceso (lui è diventato padrone della propria vita). 



Una sorta di faustiana azione vivificatrice (In principio era il verbo, riflette Faust rileggendo la Bibbia, poi modificandolo con In principio era l’azione) che si qualifica per se stessa come vero ed unico senso dell’esistenza. L’agire per l’agire, il condurre per mano la propria esistenza e non farsi condurre passivamente, essere artefice del proprio destino e, perché no, condire il tutto con un po’ di sano cinismo e nietzschiano egoismo (in fondo Lester non diventa più buono ma semplicemente più risoluto, più deciso, affronta la vita da vero ubermensch, oltreuomo).


Ma il film parla anche di giovani in cerca di identità (che certo non possono trovare in adulti, o adolescenti mai cresciuti come i genitori, troppo presi dai propri gretti ed angusti egoismi) e Ricky e Jane, e perché no anche Angela, sono i personaggi che incarnano questa ricerca. Mentre Angela è puro oggetto del desiderio e dunque poco più che una caricatura della cui vita privata poco sappiamo, tranne quello che va raccontando di sé con tronfia decisione, degli altri due personaggi abbiamo un quadro completo e, a poco a poco, rubano la scena a Lester per condurci lungo il loro percorso esistenziale. Personaggi vittime di teatrini familiari poco edificanti (anche la famiglia di Ricky offre, come dentro le quinte di un palcoscenico, una rappresentazione fredda ed incolore delle dinamiche familiari; e quando dico incolore lo affermo letteralmente in quanto il mondo di Ricky è il mondo dei colori bianco e nero, come la sua stanza, come i film stantii che guarda suo padre alla tv, come gli oggetti e i vestiti che lo circondano) cercano una fuga, ma non la patetica fuga carnale di Carolyn o la sarabanda esistenziale messa in moto in Lester, bensì una fuga che abbia una consistenza spirituale, che non si affidi al momento, all’attimo che fugge, ma che abbia un solido basamento di sentimenti e di convinzioni .



D’altronde Ricky è  le creatura che va cercando la bellezza nel mondo, è colui che si sofferma a filmare un foglio di carta sbattuto dal vento, è colui che si nasconde dietro i cespugli del perbenismo borghese per filmarne i limiti e le debolezze, è colui che conduce Jane verso quel mondo più profondo, ma anche più complesso che vuole scavare a fondo dentro le macerie della superficialità degli adulti. C’è così tanta bellezza nel mondo, afferma Ricky e lo strumento privilegiato di ricerca è la sua videocamera, sguardo elettronico, prolungamento di uno sguardo interiore che scava e ricerca.


Il cinema è la realizzazione concreta di questa metafora, strumento privilegiato che va cercando scampoli di bellezza nel mondo. Ricky osserva con compiacimento il volto trasfigurato di Lester che è appena stato ucciso. In quel volto ravvisa quella bellezza che ad altri è negata (la moglie Carolyn si dispera e piange aggrappandosi a quegli oggetti, in questo caso i suoi vestiti, che sono sembrati la sua unica ragione di vita e che hanno troppo spesso delimitato gli orizzonti della sua esistenza. Carolyn aveva respinto le avances sessuali del marito perché temeva di sciupare il tessuto del divano e Lester la aveva affossata rinfacciandole il suo assurdo attaccamento alla verghiana “roba” che era diventata tutta la sua vita). 




Così Mendes chiude il cerchio che aveva aperto con il prologo iniziale, ma offre anche una controparte amara alla sua riflessione, incarnata dal marines padre di Ricky. Le immagini sono portatrici di bellezza a patto che si sia in grado di coglierne la portata e che il nostro sguardo sia pronto ad accoglierle come tali. Le stesse immagini che suscitano curiosità ed emozione in Ricky sono, nelle mani del padre, niente altro che testimonianze di una mente deviata, di un figlio degenere che deve essere punito.



La bellezza è vicino a noi a patto che la si voglia vedere, sembra dirci questo il film. E come il desiderio è costruzione mentale che arricchisce la nostra vita e la rende degna di essere vissuta, così la percezione del bello è qualcosa di puramente interiore, frutto non solo di predisposizione ma anche di volontà (Jane che all’inizio del film cercava su Internet i siti che mostravano seni da rifare e dunque andava cercando nella propria correzione estetica una sorta di appagamento interiore, si trova, lungo il percorso, a stupirsi per un foglio di carta spostato dal vento e si rende conto che la bellezza è veramente, come l’essenziale de Il piccolo principe, invisibile agli occhi, ma ben chiara allo spirito che sappia e voglia percepirla). 



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