lunedì 16 gennaio 2017

Il sale della Terra


Il sale della Terra



Un film di Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado
Titolo originale: The salt of the heart
Genere: Documentario     Durata: 100 minuti
Produzione: Brasile, Francia, Italia  2014

Per definire i discepoli e la loro missione, nel vangelo Gesù impiega una serie di immagini. Li indica anzitutto come il sale della terra.

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. (Vangelo di Matteo 5, versetti 13-20)

Sebastiao Salgado è scambiato per Cristo da uno degli uomini della comunità dei Saraguros in Ecuador. Ha i capelli e la barba lunghi, è venuto sulla Terra per osservarli e giudicarli secondo una credenza del loro popolo.
In questo passaggio del documentario di Wenders sta nascosta una delle verità del film: Sebastiao è un moderno discepolo di Cristo che si muove tra i derelitti, i perseguitati, gli afflitti e i poveri, che scende nell’inferno dei conflitti, della barbarie umana a catturare la luce con la sua macchina fotografica, per poi portare, da bravo discepolo, la luce stessa al Mondo per rivelare gli orrori umani tenuti talvolta nascosti.
Il film si apre proprio sul concetto di fotografia che unisce le idee di Foto (luce) e di grafia (scrittura) e Sebastiao, proprio come i discepoli, si sente luce del mondo e sul mondo fa egli stesso luce. Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, così le fotografie di Sebastiao diventano progetti da mostrare al mondo perché questo si ravveda della crudeltà e della violenza che racchiude. Gli uomini che Salgado fotografa (e che lui ama e rispetta, come si rende conto Wenders) sono il sale della Terra, ma anche Salgado stesso è il sale della Terra, prima osservatore e testimone quasi inerte, poi protagonista con la sua fazenda brasiliana che rianima, a cui fa riprendere vita e che, nel suo piccolo grande miracolo (la rinascita della foresta) dona nuova speranza al Mondo.
Ci sono momenti quasi francescani e panteistici nel percorso del fotografo che, nella sua ultima fase, l’abbandono della fotografia sociale per un’arte votata alla contemplazione della Natura, lo vedono protagonista di una presa di coscienza assoluta in cui egli si sente amico di una balena, entra in confidenza con un gorilla, ammira la saggezza di una tartaruga. Deluso, forse, dalla barbarie dell’umanità (l’uomo, per sua stessa definizione, è il più feroce degli animali),

Salgado torna alla Genesi (significativo titolo del suo ultimo progetto) del Mondo per cercare di ritrovare quell’armonia perduta con il creato. Ecco allora che si inoltra in luoghi non antropizzati, non toccati dall’uomo se non in maniera marginale (come nelle lande artiche con i Nemeth o nella foresta amazzonica con una tribù semi primitiva) per ritrovare la coscienza del suo essere natura dentro la Natura, del suo essere come gli insetti e gli alberi pronto a concludere il ciclo della vita là dove era iniziato (nella sua amata proprietà nella foresta brasiliana ribattezzata Instituto Terra).

La Storia dell’uomo che si inserisce in quella vitale e ciclica della Natura (alla faccia di Hegel che riteneva la Storia dell’Uomo degna di rispetto inserita in un contesto dialettico negativo come quello dei processi naturali), sembra proiettarci in una sorta di viaggio all’inferno (e i pozzi del Kuwait in fiamme sono veramente l’immagine più viva di questo inferno) da cui tutti, come Salgado (per quanto ammetta che quell’orribile spettacolo avesse una tremenda attrazione su di lui), sentiamo ad un certo punto il bisogno di fuggire.
L’uomo che ha confidenza con il Male (l’uomo il cui sale ha perso sapore) e che l’obiettivo di Salgado ha fissato con disarmante lucidità in contrasto con l’uomo, l’oggetto di ammirazione di Wenders, il cui sale non perde di sapore e che è immagine vivente del Bene (Salgado è ripreso da Wenders immerso nella Natura in posa contemplativa, oppure isolato dal mondo in un nero indefinito, o ancora immerso nelle foto stesse che ha realizzato, con sovraimpressioni e dissolvenze che lo rendono figura tra le figure, in mezzo a coloro che soffrono e sono perseguitati).

Ecco chi è l’uomo che va cercando di scoprire Wenders e che va esplorando lo stesso Juliano, il figlio di Salgado. Questi è una sorta di Telemaco che attende il suo padre Ulisse di ritorno da infiniti viaggi. Nutrito delle sagge parole della madre (Lilia, un vero gigante sullo sfondo della vicenda), Telemaco – Juliano, attende il padre e poi ne segue le tracce, con l’ammirazione e la curiosità di chi non ha perso l’amore filiale ed ha intenzione di scoprire la vera identità di colui che lo ha generato.
La madre generatrice di vita (non solo la sua, ma anche quella di milioni di alberi che lei stessa ha contribuito a piantare) è la Penelope che non tradisce mai Ulisse e ne costruisce una immagine sacra e potente pur nell’assenza.