martedì 28 novembre 2017

Furore

Furore


Titolo originale: The grapes of wrath
Produzione: Stati Uniti 1940
Regia: John Ford
Interpreti principali: Henry Fonda (Tom Joad); Jane Darwell (mamma Joad), John Carradine (Casey)
Sceneggiatura: Nunnally Johnson; tratta dall'omonimo romanzo di John Steinbeck
Fotografia: Greg Toland
Durata 129'



John Ford, partendo dall’omonimo romanzo di John Steinbeck, racconta di una apocalisse che ha colpito il suo popolo (del resto The grapes of wrath, il titolo originale del romanzo, richiama ad un verso biblico proprio dell’Apocalisse di Giovanni 14:19 - L'angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna della terra e gettò l'uva nel grande tino dell'ira di Dio.), una sorta di giudizio universale che ha minacciato l’integrità di un popolo e ha minato l’istituzione familiare sull’orlo della disintegrazione.
Nel romanzo di Steinbeck la frase, il cui significato letterale è l'uva dell'ira, è posta nel contesto della descrizione della rabbia montante per la distruzione della frutta che avveniva per mantenere alti i prezzi delle derrate alimentari e favorire dunque i profitti dei capitalisti. Questa distruzione avvenne sulle spalle e sul sangue dei poveri contadini, vittime di questa assurda politica. Essi sono, agli occhi di Steinbeck, i grapes of wrath, i grappoli d'uva strizzati per farne vino e il vino è evidentemente il sangue che versano per una causa ingiusta. L'ira cui allude l'autore potrebbe far pensare anche ad una sentimento di rivolta che cova sotto la cenere della rabbia e della frustrazione ben incarnata nella figura di Tom Joad. Ecco il testo originale del romanzo da cui si trae il titolo.

“There is a crime here that goes beyond denunciation. There is a sorrow here that weeping cannot symbolize. There is a failure here that topples all our success. The fertile earth, the straight tree rows, the sturdy trunks, and the ripe fruit. And children dying of pellagra must die because a profit cannot be taken from an orange. And coroners must fill in the certificate—died of malnutrition—because the food must rot, must be forced to rot.
The people come with nets to fish for potatoes in the river, and the guards hold them back; they come in rattling cars to get the dumped oranges, but the kerosene is sprayed. And they stand still and watch the potatoes float by, listen to the screaming pigs being killed in a ditch and covered with quick-lime, watch the mountains of oranges slop down to a putrefying ooze; and in the eyes of the people there is the failure; and in the eyes of the hungry there is a growing wrath. In the souls of the people the grapes of wrath are filling and growing heavy, growing heavy for the vintage.” (Chapter 25)

E' forse la seconda grande presa di coscienza collettiva (dopo la guerra di Secessione e che precede l'esperienza della Seconda Guerra Mondiale e della guerra del Vietnam) cui il popolo americano è stato chiamato, una sorta di trauma che ha lasciato profondi segni nella società americana. Una famiglia (cuore pulsante e simbolo di questa società) come quella dei Joad è al centro di questa storia e Tom è l’eroe, il cavaliere che ritorna alla sua patria per mettere in salvo i suoi cari e ripartirà alla fine della vicenda verso una destinazione ignota.


Tom, vera figura epica del racconto, si trova al centro di una ideale croce che lo riporta a casa, quel luogo natio che pare abbandonato da dio.


Tom chiede un passaggio ad un camionista che sul momento non vuole saperne di aiutare uno sconosciuto. Una targhetta apposta sul parabrezza dichiara esplicitamente che nessun estraneo è gradito a bordo, ma Tom insiste affermando che starebbe fresco se dovesse seguire tutte le indicazioni delle targhette esistenti.


E’ un cenno ,ma significativo, all’idea che l’insieme delle regole, anche statali, impedisca un clima di solidarietà tra le persone. Siamo già ad un primo incrocio tematico che vedremo sviluppato nel corso del film: il sistema americano e capitalistico in generale impediscono, per loro natura, l’adesione a dinamiche di apertura solidale, incentivando, invece, la concorrenza e la chiusura egoistica. I Joad, che provengono da un mondo contadino e comunitario si trovano, loro malgrado, catapultati in una realtà che li trova impreparati ed indifesi. 


Nelle lande deserte di casa sua Tom incontra Casey, il reverendo in crisi di identità e di fede in un contesto ambientale tenebroso, tempestoso, in un luogo delimitato dal filo spinato che porta con evidenza i segni della morte, la morte di un mondo quello della famiglia contadina che conduce i poderi a mezzadria da più di un secolo.



E gli uomini si muovono tra quelle lande come ombre, fantasmi (“Io non sono che un fantasma senza pace” dirà Tom Joad) destinati a scomparire, che si avvicinano ad un luogo tombale.



Uomini senza volto impongono lo sfratto alle vittime di un sistema che li sta stritolando e che si incarnerà nelle macchine infernali, nei mostri trattori che provvederanno alla distruzione della proprietà.



Il vento spazza quella terra avvolta da una tenebrosa atmosfera apocalittica che è perfettamente riprodotta grazie alla fotografia di Greg Toland, ispirata all’espressionismo e alle soluzioni visive care ad Eizenstein.



Soltanto nell’ultima riunione della famiglia Joad attorno al focolare domestico vi è uno spiraglio di luce. La famiglia è veramente una luce nelle tenebre e la madre ringrazia dio per il ritorno del figlio; si ricorda ancora di dio in quella terra abbandonata dalla trascendenza.


Dodici persone salgono sul camion della speranza diretto alla California, terra promessa e prima di partire la madre raccoglie gli ultimi ricordi legati al suo mondo, alla sua casa. Tra questi, la foto della Statua della Libertà che significativamente la donna brucia: il sogno americano è messo seriamente in discussione. Per la madre, guida morale di una famiglia che vede all'improvviso perdere casa, terra e lavoro, è una vera e propria crisi di identità che si materializza nella sua immagine riflessa nello specchio offuscato.




La partenza dei Joad si connota con i toni allegri e trionfalistici di una avventura che prende il via sulla route 66, mitica, e altrettanto miticamente pare riproporre l’epopea della conquista del West. La California come terra promessa è la meta del viaggio. Lo spirito americano dell’uomo che non si arrende e riparte accompagna i primi momenti del viaggio dei Joad. Ford dunque mantiene i toni del climax western per poi abbandonarli strada facendo di fronte al chiudersi del mito della frontiera soffocato dalle nuove logiche della civiltà capitalistica del Novecento.



Il nonno e la madre paiono introdurre i primi elementi di malinconica inquietudine (il nonno muore abbrancando una manciata di terra e Tom scrive un epitaffio carico di errori ed incertezze lessicali). Tutto ciò che vive è sacro, recita l’ex reverendo nella improvvisata benedizione sulla salma del nonno.



Il primo campeggio in cui si fermano i Joad diventa la prima tappa dell’apertura della famiglia alla più grande realtà sociale del Paese. Usciti dal guscio dell’Oklahoma e della loro terra felice, i Joad sono costretti a fare i conti con una realtà che non si presenta rosea come si aspettavano. Sicuri del sogno americano non possono credere di essere abbandonati alla sorte senza speranza.



Tracce di solidarietà nella sosta al grill dove un paio di camionisti offrono alla cassiera la cifra che questa aveva perso vendendo sotto costo del cibo ai Joad. La cameriera è sorpresa da quel gesto di carità compiuto da due “conducenti”.


I Joad proseguono il loro viaggio verso l’ignoto con quel cielo che, ogni volta, pare inghiottire la loro sovraccarica camionetta.



Alla frontiera con l’Arizona una guardia fa capire che non sono graditi in quello stato e che si sbrighino ad attraversarlo. Di fronte ad un ponte la famiglia Joad contempla le terre della California che si aprono dall’altra parte del fiume (sono sagome di spalle che rischiano di veder svanire la propria identità, o molto semplicemente l’immagine di tanti americani che, come loro, hanno compiuto quel viaggio della speranza).


E’ la terra dell’abbondanza, è la terra promessa, è l’America nell’America (una delle tante carovane fordiane che raggiungono la terra della rinascita). Cenni di riserve indiane lungo la strada, ma l’epopea della conquista del West è lontana. Un bagno ristoratore che diventa rito purificatorio all’ingresso della terra promessa.




Il contrasto con le bianche divise di due distributori è anche un confronto per inquadrare la condizione della famiglia Joad: “Sono bestie, un uomo non potrebbe vivere in quelle condizioni di miseria. Sono abituati”. Questi sono i commenti dei due “borghesi” invasi da quella branca di straccioni che si fatica ad identificare come umani. Sub umani, under mensch che cercano di sopravvivere nell’approssimarsi (inconsapevole e apparentemente distante) dell’avvento dell’uber mensch tedesco.


La famiglia deve attraversare il deserto, dice la figlia alla nonna moribonda. Quella traversata notturna è un altro passaggio obbligato per le terre della morte. Altre guardie si preoccupano che i Joad non abbiano piante o sementi con loro; i Joad non devono seminare, non devono e non possono mettere radici in quella terra solo apparentemente ospitale. Le torce che li illuminano, come fuggiaschi colpevoli che vengono raggiunti dalle guardie, sono un motivo costante nel dipanarsi delle vicende dei Joad e che accentua il senso di precarietà della loro condizione. 




La terra promessa si rivela ben presto per quello che è: un paesaggio bellissimo che nasconde una realtà drammatica, con baraccopoli che accolgono disperati da tutta l’America. Questo contrasto, di una terra fertile e bella e della miseria delle baracche, offre lo spunto per una riflessione morale che inchioda l'uomo, in particolare l'uomo novecentesco del capitale, alle proprie responsabilità: egli è l'unico colpevole delle sofferenze e delle miserie che produce. I Joad sono letteralmente assediati da bambini affamati, nel mezzo di un ammasso di tende, baracche e rifiuti. La madre difende l’idea di un senso di solidarietà che non si deve perdere.





L’arrivo dei procacciatori di lavoro dei proprietari terrieri e poi della polizia pone i poveri, come i Joad, di fronte al ricatto di un lavoro senza diritti, di opportunità senza futuro, di una giustizia che è prevaricazione e prepotenza del più forte. Tom, mentre la famiglia fugge dal campo, si sfoga con la madre: "la vita rende cattivi". Ma la madre lo invita a resistere perché ne va della sopravvivenza della famiglia. E’ un dilemma etico quello che vive il protagonista fordiano: l’adesione ad una visione utilitaristica della vita che passa per l’accettazione dell’esistenza come lotta per la sopravvivenza in cui i fini giustificano i mezzi, e la coerenza di una adesione a valori più alti ai quali non si può mai rinunciare. Tom ha un passato in carcere, è già un fuorilegge, ma la legge che lo ha condannato non pare difendere la giustizia, quanto piuttosto le ragioni dei più forti. La sua vena ribelle si fa ancora più forte.




Ma ecco improvvisamente il lavoro materializzarsi tra sceriffi armati fino ai denti, lavoratori sul piede di guerra, ranch sotto assedio e uomini (ombre sulle sagome dei Joad) che silenziosamente si incamminano per la raccolta delle pesche. L’ennesimo campo recintato, bambini spauriti che guardano attraverso le sbarre, in qualche modo si sta prefigurando quello che sarebbe avvenuto di lì a poco anche in Europa. Lo scatenarsi della società di massa pone problemi nuovi e drammatici alla comunità umana che reagisce innalzando barriere, perseguitando, selezionando, imprigionando (la logica dei campi di concentramento). E come reclusi vivono i Joad circondati da uomini in divisa muniti di manganello. Ci sono motivi che sinistramente ritornano nelle immagini che ci riportano agli anni che fecero seguito alla grande crisi del 1929.





L’incontro con il reverendo chiarifica ancora una volta il dramma etico che coinvolge Tom: è difficile sapere che cosa sia giusto in questa situazione ed è per questo che ho smesso di fare il pastore, perché un pastore deve sapere che cosa è giusto. Nelle parole di Casy tutte le contraddizioni di una società che costringe l’individuo a scelte che mettono in crisi i suoi principi e le sue convinzioni morali più profonde. La tentazione dell’agire machiavellico ed hobbesiano sono sempre dietro l’angolo. La fotografia contrastata con cui è inquadrato Casy conferma il dissidio interiore che turba i personaggi. Tom uccide per reazione e torna nel campo lager in cui calano le tenebre nel latrare sinistro di un cane (anche questa è una immagine evocativa di un’epoca).




In quel contesto la madre con dolore mette a fuoco la situazione: la famiglia si sta sfasciando, si stanno perdendo le certezze (la casa, il rispetto tra le generazioni) è in corso la dissoluzione di un mondo che la nuova società sta mettendo in crisi. E’ una sorta di piccola apocalisse in cui i pastori perdono la fede, i padri perdono il rispetto dei figli, le nuove generazioni crescono come animali senza principi e le relazioni interpersonali si dissolvono (la madre prega Tom di non lasciarla). I volti continuamente illuminati dalle torce confermano come i personaggi siano in una perenne condizione di fuga in un contesto ostile (i Joad vengono etichettati come vagabondi, profughi, disperati).




Improvvisamente i toni cromatici del film virano al bianco; i Joad sono arrivati in un campo governativo che pare una sorta di Eden, con acqua corrente, bagni puliti e una gestione democratica della struttura, ma è un Eden di breve durata perché la comunità locale si sta mobilitando contro questi profughi indesiderati. E’ una prefigurazione del welfare roosveltiano, quella scritta dipartimento dell’agricoltura in bella evidenza; sembra una buona (e banale) idea ma Tom avanza una domanda lapalissiana: perché ce ne sono poche di strutture così? E la domanda non trova risposta.




Uno non ha un’anima per se solo ma un pezzetto di una grande anima che comprende tutta l’umanità. Tom riprende le parole di Casy e ne fa un insegnamento da cui ripartire; l’abbandono della famiglia, vaticinato dalla madre, può essere l’occasione di una nuova esistenza aperta al mondo, alla lotta per una società più giusta. Tom diventerà un paladino della giustizia, un cavaliere che è tornato per poi ripartire, un cavaliere solitario nel solco della tradizione western tanto cara a Ford. Tom abbandona la famiglia e si incammina in un orizzonte indefinito con un campo lunghissimo che accentua la minutezza della sua sagoma spersa per il mondo.




Nel controfinale i Joad lasciano il campo in cerca di un nuovo lavoro e la madre rinfranca il marito sulla forza di affrontare la vita che non deve mai venire meno, in un afflato di ottimismo molto fordiano (in linea con il rinnovato entusiasmo portato dal New Deal) e distante dallo straziante finale del romanzo di Steinbeck che si chiudeva con la figlia che aveva perso il bambino che portava in grembo e che allattava un disgraziato (come i Joad) trovato morente all’interno di una baracca.



Furore rappresenta, al meglio, il senso di profondo turbamento che la crisi del 1929 indusse nel sistema sociale occidentale, la prima vera presa di coscienza dei limiti del sistema stesso e delle conseguenze nefaste potenzialmente insite negli ingranaggi del capitalismo.
Immagine che ha ispirato il finale tragico di Steinbeck, finale che propone una logica della carità e della solidarietà, frutto dell'iniziativa personale e che va contro la logica dominante del mondo descritto nel suo romanzo.