domenica 20 novembre 2016

La corazzata Potemkin

La corazzata Potemkin
 
Regia: Sergej Michailovic Ejzenstein
Cast: Grigorij Alexandrov, Vladimir Barskij, Alexandr Antonov                         
Distribuzione: Goskino
Durata: 70'
Produzione: Jacob Bliokh
Sceneggiatura: Sergej Michajlovic Ejzenstejn, Nina Agadzhanova, Nikolai Aseyev, Sergei Tretyakov
Fotografia: Eduard Tissé
Scenografie: Vasili Rachals
Montaggio: Sergej Mikhajlovic Ejzenštejn, Grigorij Aleksandrov
Musiche: Edmund Meisel



Prima Parte: Uomini e larve

L’impeto rivoluzionario, che incarna la volontà della massa, è come un mare in tempesta che sta battendo con veemenza sul potere zarista.
 
 

I marinai Matyushenko e VaKulinchuk rappresentano due uomini di questa massa in movimento che operano sulla corazzata Potemkin.


Tocca a loro risvegliare lo spirito dormiente dei giovani marinai


Lo scontro si accende sul rancio che tocca ai soldati, un cibo fatto di carne piena di vermi e di zuppa senza sapore. I soldati, di fronte ad impassibili e cinici comandanti si rifiutano di mangiare. E’ il primo passo della rivolta



Una iscrizione evangelica su un piatto appena lavato attira l’attenzione di un marinaio delle cucine. Questi spacca per la rabbia quell’oggetto la cui iscrizione risuona beffarda




Seconda parte: Dramma nel porto

Le sagome nere degli ufficiali si stagliano minacciose come i cannoni sui bianchi marinai che si radunano sul ponte della nave.




Il capitano della nave è pronto ad ordinare la punizione esemplare per coloro che non hanno apprezzato il cibo
 



Con la benedizione di un prete il cui crocifisso è uno strumento, un oggetto che sembra incombere sulle povere vittime al pari dei fucili spianati e dei cannoni impassibili, i marinai infagottati sotto dei teli che ne annullano l’individualità (suprema umiliazione) sono pronti al martirio ma una parola rompe la tragica sequenza: fratelli, un urlo che Vakulinchuk esplode come un colpo di cannone. E’ una invocazione ungarettiana alla pietà.
 



 
I freddi simboli del potere (il crocifisso, l’aquila del rostro, le armi dei soldati) si stagliano di fronte all’umanità dolente e inquieta dei poveri marinai (che si muovono disordinatamente, rompono le righe indotte dalla disciplina e fanno da ulteriore contrasto con le fila inquadrate delle guardie nere sul ponte). Qui abbiamo, attraverso un passaggio di montaggio intellettuale o delle attrazioni, un collegamento tra immagini che trasmette un chiaro significato ideologico inducendo nello spettatore una reazione emotiva: il potere della Chiesa è colluso con quello zarista.
 





La rivolta contro il potere costituito è la rivolta contro il capitano e i suoi scagnozzi ma anche contro il prete che Vakulinchuk definisce uno stregone. Proprio Vakulinchuk è la vittima della rivolta, una sorta di Cristo in croce, questo sì dalla parte degli afflitti e non da quella dei potenti. Il crocifisso, simbolo dorato proprio di quel potere, è conficcato per terra.
 



Odessa diventa ora il centro dell’azione. La rivolta dalla nave si allarga al popolo della città. Ma Odessa è anche il luogo in cui giace il corpo di Vakulinchuk, morto per un piatto di zuppa, come ricorda la scritta che giace tra le sue mani.




Terza parte: Un morto reclama giustizia

Anche il porto di Odessa, come i marinai dell’incipit, sembra essere dormiente sotto una coltre di nebbia che anticipa il crepuscolo. Nel mezzo del porto la salma di Vakulinchuk esposta come in un reliquiario attira uomini e donne che la omaggiano con grande rispetto. Quello del popolo in fila è un omaggio ad una vittima, l’ennesima, di una iniqua tirannia.
 



Gloria eterna a chi è morto per la rivoluzione cantano i popolani che accorrono. La massa è unita attorno a quello che è diventato un simbolo. La massa sta muovendosi.


Al grido di Il futuro è nostro, il popolo in marcia si muove contro coloro che sono chiamati tiranni, vampiri e macellai. Eizenstein ci offre, di questa massa in marcia, le istantanee e i primi piani dei volti, delle espressioni e delle emozioni che animano i singoli che le appartengono. Il popolo ha un volto e un’anima e questa sta per irrompere nella Storia. I dettagli dei pugni di questi uomini ci danno una ulteriore idea della forza che li anima e che è pronta ad emergere.
 



I marinai e il popolo dei lavoratori tutti si unisce contro il comune nemico. Ed ecco la bandiera rossa (appositamente colorata dallo stesso Eizenstein in sede di montaggio) che si issa sul pennone più alto della Potemkin. E’ il trionfo della volontà del popolo, è il trionfo del comunismo.
 


Quarta parte: La scalinata di Odessa

E il popolo fraternizza con i marinai e con piccole barche la gente di Odessa si stringe attorno a quello che è diventato il simbolo della loro rivolta. Anche i borghesi sembrano partecipare a questa vera e propria celebrazione laica.
 


Ma improvvisamente ecco una tempesta abbattersi su quella gente in festa. I bambini vengono interrotti nel loro festeggiare dall’irrompere di minacciose ombre che si materializzano nei soldati inviati dallo zar che è simbolicamente rappresentato da una statua nera che domina sulla scalinata. Sullo sfondo una chiesa chiude il cerchio di un potere che stritola il popolo (croce e baionette i simboli dell’oppressione).
 



Un bambino vestito di bianco, un neonato, anch’esso avvolto in un telo bianco, sono due delle vittime di quell’attacco.
 


 
Difesi invano dalle proprie madri, i due bambini, uccisi e calpestati sono l’innocenza che è vilipesa ed oltraggiata, il segno più alto dell’atroce indifferenza di un potere che è violenza, di un potere che non ha volto, come non hanno volto i soldati che sparano e che avanzano in riga come un unico tremendo e disumano meccanismo. Ai primi piani disperati e sofferenti delle vittime, la fredda e geometrica distanza con cui sono inquadrati i carnefici.
 








 




 
La nave Potemkin risponde alla barbarie dei soldati sparando sul palazzo sede del potere dei generali. Come un leone che si risveglia la corazzata si scaglia contro il cuore stesso della tirannia. Di nuovo un celeberrimo esempio di montaggio intellettuale.







Quinta parte: L’incontro con la flotta

I marinai hanno ormai il controllo della nave e si approntano per la battaglia contro la flotta che li sta braccando nella notte. Il popolo ha preso in mano la situazione nel più classico dei ribaltamenti dialettici.
 



Come le macchine della nave girano al massimo della velocità (in questo parossistico insistere sulle macchine c’è l’eco delle avanguardie, dal futurismo al costruttivismo, ma c’è anche un elemento biografico dell’Eizenstein che aveva studiato ingegneria in gioventù) così i marinai sentono vibrare i loro cuori fino all’inatteso finale in cui, nel segno della bandiera rossa che sventola impetuosa, i marinai di tutta la flotta si uniscono in un grande abbraccio tra “fratelli”.
 






Realtà storica
Il 28 maggio 1905 si concludeva, di fatto, la guerra russo-giapponese con la disfatta navale di Tsushima. Da Ginevra, Lenin scrisse delle «centinaia di milioni di rubli sperperati» in quella grande armata «tanto impotente, grottesca e mostruosa quanto l'intero Impero russo», mentre a Pietroburgo il quotidiano liberale «Syn Otečestva» (Il figlio della Patria) vide nell'affondamento della flotta la metafora del fallimento del regime zarista, invocando l'immediata convocazione dei «rappresentanti della terra russa». A Odessa, il 26 giugno, era stato dichiarato lo sciopero generale e il giorno dopo, per una questione di cibo avariato, al largo della città si verificò l'ammutinamento dei marinai della corazzata Potëmkin che la sera gettò le ancore al porto. Il 28 giugno, quando la salma del marinaio Vakulenčuk fu portata a terra, una rivolta scoppiò a Odessa, culminata nella notte con l'incendio dei magazzini portuali e la repressione dei cosacchi che provocò centinaia di morti. Mentre anche a Liepāja si registrava una rivolta degli equipaggi della superstite flotta del Baltico, nemmeno il sostegno di un'altra corazzata, la Georgij Pobedonosec, scosse le esitazioni e i timori dei marinai della Potëmkin, che dopo settimane d'incerta navigazione davanti alle coste del Mar Nero, trovò rifugio nel porto di Costanza, in Romania, dopo aver lanciato appelli per il rovesciamento dello zarismo e la convocazione di un'Assemblea costituente eletta a suffragio universale.