sabato 29 dicembre 2018

Dunkirk


Regia: Christopher Nolan

Sceneggiatura: Christopher Nolan

Musiche: Hans Zimmer

Cast: Fionn Whitehead, Tom Glynn-Carney, Jack Lowden, Harry Styles, Aneurin Barnard, James D’Arcy, Barry Keoghan, Kenneth Branagh, Cillian Murphy, Mark Rylance, and Tom Hardy

Produzione: Gran Bretagna 2017

Durata: 106 minuti


Dunkirk è un film che affonda il proprio humus direttamente nel mito e nell'epica presentandoci una vicenda che assume i contorni della lotta sempiterna per la sopravvivenza e rinnova i topos delle vicende omeriche e dei drammi di Sofocle. Non va dunque interpretato in senso storico (non ci dobbiamo ingannare, come ci direbbe il mago di The Prestige, altro capolavoro di Nolan), non dobbiamo cercare gli elementi di realismo come discriminante per un giudizio, perché Nolan non fa niente per ricostruire l'evento Dunkirk nella sua esattezza storica (a partire dalla scansione non cronologica del racconto e dalla mancanza di riferimenti temporali che non siano gli orologi dei piloti degli Spitfire), egli piuttosto ci restituisce una visione realistica ed estremamente soggettiva della guerra, in senso lato e da questo punto di vista dobbiamo leggere la narrazione. Chi obietta sulle risibili dimensioni numeriche di navi, aerei, e uomini sulla spiaggia, che in taluni passaggi pare quasi deserta (nella realtà vi erano ammassati 400000 uomini), chi evidenzia incongruenze e inverosimiglianze (a partire dal duello aereo in cui lo Spitfire combatte ed atterra praticamente senza carburante) non "vuole vedere" le indicazioni che Nolan ci offre fin dal principio e che vanno nella direzione di un racconto sospeso sopra la Storia in una dimensione quasi metafisica e forse, proprio per questo, più reale perché eterna. Nessun nome richiamato, nessuna data, nessun riferimento ad episodi concreti e storicamente accertati, soltanto il discorso di Churchill che pare riportare i personaggi da una dimensione fuori dal tempo (dall'incubo) alla realtà della Storia che procede e sulle cui parole si chiude il film. Nolan insomma evoca un fatto storico ma vuole raccontarcelo come se fosse un mito e, come scrive Sallustio, <Il mito non è mai accaduto, ma è sempre.>



Volantini cadono dal cielo e proiettili bersagliano soldati in fuga; sui volantini c'è scritto: siete circondati, arrendetevi. Chi lancia quei volantini, chi mitraglia i soldati? Non vi è controcampo che possa spiegarcelo. Noi sappiamo che ci sono i tedeschi alle calcagna degli inglesi in ritirata, ma il film si sofferma sulla fuga disperata, sulla lotta per sopravvivere di due giovani che hanno una maledetta voglia di vivere. 


Uno, Tommy che sarà uno dei protagonisti della storia (con lui si apre e si chiude la narrazione), cerca una sigaretta tra i mozziconi di un posacenere abbandonato e poi, una volta sulla spiaggia, soddisfa un bisogno corporale; l'altro, Gibson, seppellisce un compagno ma gli ruba le scarpe. Sono due cani sciolti che non sono ancora allineati con gli altri fuggitivi. Due giovani che vogliono uscire vivi da quell'inferno. Il primo è un fante che non può entrare nelle fila dei dragoni, è destinato ad essere tra gli ultimi a lasciare la spiaggia.


Questa la traccia narrativa di partenza, ma ecco che subito Nolan inserisce un elemento di straniamento: il montaggio parallelo ci conduce nel porto di una cittadina inglese in cui alcuni cittadini stanno preparandosi a sbarcare con la propria barca per correre in soccorso dei soldati sulla spiaggia di Dunkirk. Altro passaggio di montaggio e ci troviamo nei cieli dove tre caccia inglesi, tre Spitfire stanno volando in formazione. I tre luoghi del film sono presentati ma con essi anche le tre dimensioni temporali in cui si dipana la vicenda. Il molo, una settimana, recita una prima didascalia; il mare, un giorno
il cielo un'ora


Terra, aria, acqua i tre elementi naturali fondamento del nostro pianeta, in cui manca, in teoria il fuoco; ma il fuoco c'è, è elemento comune e collega le tre dimensioni spaziali e temporali; è il fuoco delle esplosioni, delle armi, della guerra (è il fuoco purificatore del finale con quell’aereo che brucia e pare quasi un altare del sacrificio). Uomini che cercano di sopravvivere, gli elementi naturali che avvolgono le vicende, è un film che racconta una storia del Ventesimo secolo ma pare evocare motivi ancestrali e primitivi. Uno dei soldati sulla spiaggia urla: dov’è la maledetta aeronautica? Il suo pare un grido inascoltato (per quanto gli aerei veglino su di loro a distanza e arrivino come angeli nel momento cruciale, in quel finale in cui l'aereo plana senza rumore sulle teste dei soldati ammirati), ma da quella voce parte un movimento di macchina, un carrello ad indietreggiare che inquadra la spiaggia attraverso tre pali che la dividono come in un improvvisato split screen. La divisione spaziale della spiaggia corrisponde a quella narrativa del film e alle dimensioni su cui esso si muove: tre dimensioni spaziali, tre dimensioni temporali. Tre sono gli aerei che volteggiano nel cielo. Un procedere quasi cabalistico



I piloti della squadriglia comunicano con la base, il loro nome in codice è Fortis, il loro comandante è Fortis Leader. Evocazione della forza che arriva dal cielo.
I due soldati sulla spiaggia si rivelano tutt’altro che eroici, prendono al volo la barella di un ferito e si catapultano verso la prima nave in partenza dove avranno alloggio per primo proprio i feriti. Intanto nel porto in patria si continua a preparare la barca per salpare: Nolan insiste con l’inquadrare i giubbetti di salvataggio accatastati lungo la banchina. E’ un dettaglio insistito: il motivo del salvataggio (evidenziato fin dal volantino caduto dal cielo), del soccorso trova un correlativo nelle immagini. 


Intanto in aria i tre aeroplani continuano a cercare i nemici (che arriveranno dal sole, come sottolinea uno dei piloti); una inquadratura però attira la nostra attenzione. I tre aerei planano sopra una barca nel mezzo della Manica. Quella barca pare essere quella che è in preparazione per lasciare il porto inglese: un flashforward, oppure un indizio, un primo indizio, che anche in questo film Nolan gioca con il tempo narrativo?


La barella sembra arrivare appena in tempo sulla nave che sta per lasciare il molo. Il mare è in tempesta, ma gli aerei non volavano su un mare calmo e assolato?
La barca sta per lasciare l’Inghilterra, il suo nome è Moonstone, pietra lunare (un riferimento al monolito kubrickiano?), il suo equipaggio è composto da padre (signor Dawson), figlio (Peter Dawson) e un suo amico, George, che si aggrega all’ultimo tuffo. Come i due barellieri improvvisati anche questo personaggio corre per imbarcarsi, per non mancare all’evento: nel suo caso, entrare in guerra, nell’altro, fuggirne. La musica si compone di un unico motivo che accompagna le tre azioni (potenti ed incalzanti le sonorità di Hans Zimmer) che sembrano svolgersi in contemporanea, quasi ad avvolgerle in un unica dimensione spazio temporale. Inizia lo scontro tra aerei, mentre la Moonstone è in mare aperto. 


George vede passare un incrociatore carico di soldati che stanno rientrando dall’inferno. Il numero dell’incrociatore è 036 (di nuovo torna il numero tre). George sembra navigare contro corrente, contro il destino. La sua ingenua inconsapevolezza gli sarà fatale. Emblematico è il lapidario dialogo con Dawson. Questi chiede a George se sappia dove stanno andando e il ragazzo risponde: Si, in Francia. Il signor Dawson non potrebbe essere più chiaro: No ragazzo mio, si va in guerra!
Abbiamo di fronte a noi una sorta di microcosmo omerico (la spiaggia, la guerra, il sacrificio, l’assedio sono tutti motivi di una moderna Iliade), costruito da Nolan, in cui entrano tutti i tipi umani a contatto con la guerra (sono veramente maschere, anche materiali, se pensiamo al pilota eroe il cui volto appare soltanto nel finale, e i cui nomi compaiono nei titoli di coda ma che mai vengono evocati nel corso della narrazione, tranne per il padre misericordioso; i piloti poi si chiamano in codice!): Tommy e Gibson i codardi, George l’ingenuo sprovveduto ed ignorante (nel senso etimologico del termine) ma anche il giovane che vuole vivere il proprio battesimo alla vita adulta, i piloti eroi coraggiosi, il naufrago (che troveremo) che è il vinto, reso folle dal conflitto e poi il padre pietoso, Dawson, che deve recuperare il figlio perduto (in realtà il figlio lo ha perso per sempre e deve acquietare la propria angoscia salvando altri “figli”) e il comandante padre simbolico che deve proteggere tutti i suoi figli. La guerra è una prova per tutti loro, Nolan dovrà decidere su chi chiudere la propria parabola.




Il molo è il luogo della salvezza ma è anche un bersaglio facile per gli aerei nemici; i soldati si sentono abbandonati. L’aiuto della barche da diporto è in questo senso fondamentale per permettere ai soldati di essere imbarcati dalle spiagge evitando di diventare vittime sacrificali per il nemico. L’Inghilterra, la terra madre non è lontana, la si può praticamente vedere, ma la salvezza non è a portata di mano. Questo il dialogo tra comandanti che devono decidere il futuro dell’operazione di rientro. Il molo resta il fulcro della messa in salvo dei sopravvissuti, tanti Ulisse da riportare nella loro Itaca, tanti persiani che vivono la loro Anabasi. Il film di Nolan ha certamente un sapore epico, ma Itaca, come vedremo, non attende, si muove in soccorso.


Intanto una sagoma compare all’orizzonte per la Moonstone. Pare quasi una balena morta e coricata sul fianco. Un naufrago viene issato a bordo, è un soldato senza nome e senza identità (sappiamo dai credits che il suo nome è Shivering). La sua è una barca colpita da un U – Boot.
Della squadriglia inglese sono rimasti soltanto due aerei, Fortis Leader è stato abbattuto. Uno dei piloti segna l’ora: sono quasi le 15 (le tre!), le 14,55.
La nave ospedale viene affondata, improvvisamente compare il sole, il mare si è calmato, il molo, nonostante tutto, è salvo. Tommy e Gibson si confondono tra i sopravvissuti della nave affondata e vengono inviati su un caccia che li accoglie a bordo. Certo è che il sole tramonta, scende la notte e i soldati, tranne uno, sono raccolti come topi nella stiva della nave chiusa ermeticamente; sono in una trappola mortale. I nostri anti eroi vedono ancora lontana la sicurezza. 


Si torna al giorno e al Moonstone che si sta avvicinando a Dunkirk. Il naufrago dà segni di nervosismo, non vuole tornare in quell’inferno. Ecco un altro giovane che chiede soltanto di sopravvivere. I soldati paiono bambini impauriti, i civili sono i padri che corrono in loro soccorso. Coloro che si affidano al mare sono impauriti, storditi; la forza è dal cielo, qui stanno i Fortis disposti ancora a sacrificarsi. Anche il naufrago come i soldati del molo è chiuso in una sorta di ripostiglio, come un bambino in punizione. E’ un vigliacco? Chiede George al signor Dawson. E’ semplicemente traumatizzato e fuori di sè, questa la risposta del “padre”. 


Sono le 15,20 e c’è un altro scontro aereo, il secondo aereo della squadriglia inglese è colpito ed ‘è costretto ad un ammaraggio.
E’ di nuovo notte, la nave carica di soldati viene colpita da un siluro e affonda; Gibson, con un gesto di altruismo improvviso, salva il suo amico aprendo la porta stagna che lo aveva imprigionato. Poco prima, altri soldati, intanto, su scialuppe improvvisate, chiedevano inutilmente di salire a bordo. Altri giovani che volevano semplicemente sopravvivere, luci nella notte profonda.
Intanto i tre Spitfire incrociano il Moonstone sorvolandolo; il signor Dawson ne elogia le qualità. Ecco che un primo cerchio si chiude: ciò che avevamo visto in precedenza ora si ripropone. Abbiamo la conferma che Nolan giochi con i piani temporali della narrazione (il sole, il cielo in burrasca, il mare calmo e il mare in tempesta in una alternanza quasi casuale e poco rispettosa del realismo; talvolta in una stessa sequenza il sole che si alterna alle nuvole; in realtà a Nolan poco interessa la verosimiglianza spazio temporale, la coerenza ambientale, la sua pare essere una storia sospesa sul tempo, come l’eternità aleggia sulle ore e Nolan è artefice della creazione di un nuovo tempo che è quello artefatto del cinema). 



Dawson intanto, di fronte al marinaio sotto shock, confessa una amara verità: gli uomini della sua età hanno voluto la guerra e non possono lasciare che i figli muoiano senza poter far nulla per loro. Dawson è la patria, nel senso di padre, pater che riporta a casa il figlio disperso, la pecorella smarrita.
L’ammaraggio del pilota inglese pare vicino all’imbarcazione di Dawson. Di nuovo un incrocio tra le due vicende.
Altro colpo di scena: il naufrago, Shivering, raccolto da Dawson nella notte è tra coloro che stanno sulla scialuppa che si muove attorno alla carcassa della nave appena affondata dal siluro. Shivering, un altro codardo, non soccorre i naufraghi e li lascia al loro destino. Torneranno a riva con le proprie forze.
Di nuovo sulla barca dei Dawson, Shivering si macchia della colpa del ferimento mortale di George.
Il pilota sopravvissuto ingaggia un altro duello ma vede all’orizzonte la sagoma di un grande aereo avvicinarsi mentre una barca sta affondando. Il suo carburante sta scemando e non ha altra indicazione che l’ultima nota sull’ora segnata sul cruscotto. Non ha più la nozione esatta del tempo. Ma fa una inversione e si mette alla caccia di un aereo nemico che sta volando verso Dunkirk. E’ pronto al sacrificio. Dunkirk è il luogo del fuoco e del fumo che si innalza verso il cielo, diventerà una sorta di altare del sacrificio su cui immolare l’eroe, l’Ettore, che permette ai suoi compagni di salvarsi.


All’alba del secondo giorno Tommy e Gibson sono di nuovo sulla spiaggia di partenza. Per loro la vicenda assume sempre più i contorni di un incubo. Altri soldati provano disperatamente a lasciare la spiaggia, ricacciati indietro dalla forza delle onde, qualcuno si vota al suicidio. Negli occhi del naufrago si fa spazio l’idea della morte non più procrastinabile. Anche lo spazio interno alla spiaggia si dilata, i corpi scompaiono; compare un molo improvvisato ma nella sequenza successiva sparisce. I due naufraghi dove sono? 


George, morente, confessa di aver cercato di diventare qualcuno e quell’impresa era un modo per vincere le frustrazioni ed affermare una propria identità. Il sacrificio gli sarebbe valso come prova iniziatica verso la vita.
I comandanti sono in attesa degli aiuti ma questi arriveranno da barche piccole e non militari. I soldati sulla spiaggia trovano ricovero dentro una barca arenata ma sono fuori dal perimetro di sicurezza e dunque sono un bersaglio del nemico. Il pilota sta attaccando il suo nemico. Il montaggio si fa sempre più serrato, le storie si intrecciano sempre più rapidamente. Dal Moonstone vedono ciò che noi abbiamo già visto, ovvero i due Spitfire che attaccano un grosso aereo nemico difendendo un dragamine che stava per essere attaccato, ma uno degli Spitfire è stato colpito (e ammarerà).
Nella nuova barca i soldati sono ancora una volta topi in trappola, come il pilota che non riesce ad uscire dall’aereo appena ammarato. Continuano le analogie narrative, quasi similitudini visive.


Dawson accelera per aiutare il pilota e il figlio mostra di non avere la stessa urgenza del padre che pare dover rimediare una colpa, una mancanza e non può recedere dall’impresa. Egli rappresenta il senso di colpa dei padri che sentono di dover far qualcosa per salvare i figli che loro stessi hanno mandato in guerra. 
La spiaggia diventa il luogo d’incontro dei personaggi: i soldati presi di mira dai cecchini con il loro peschereccio che va alla deriva e sta affondando, il Moonstone che sta arrivando mentre nel cielo lo Spitfire superstite sta ingaggiando un duello con aerei tedeschi. L’esclamazione del comandante di fronte alla flotta di barche da diporto è eloquente, quella che sta aprendosi di fronte a lui è la patria stessa, non solo entità geografica e statale, ma unione di cuori e di uomini che si muovono nella stessa direzione. 



Come un polo magnetico tutto porta alla spiaggia e tutto riparte dalla spiaggia. La storia va verso il redde rationem ed emergono lentamente anche i nuclei tematici più forti; e il tutto mentre l’azione si fa sempre più incalzante. Tutto ruota attorno al Moonstone che diventa il simbolo della patria da difendere, la patria dei padri che corrono in soccorso dei figli. Dawson emerge come un padre che ha perso il figlio in guerra, un pilota, ed è a Dunkirk per recuperare idealmente ciò che ha perso. La salvezza di altri figli come espiazione della colpa abramitica del sacrificio del proprio. Un altro figlio, adottivo, George, si perde però nell’impresa. Un buon numero di soldati sono riportati in patria attraccando nelle coste del Dorset. Un angelo dall’alto difende i figli smarriti da riportare a casa, figli che non vogliono più nascondersi, vogliono soltanto tornare. Lo Spitfire colpisce l’aereo nemico. Tommy rimane attaccato al Moonstone che lo trascina con sé, il fuoco invade anche il mare ma il soldato è salvo. Il giovane Dawson dimostra di aver capito il senso di quell'impresa e tranquillizza Shivering bluffando sulle reali condizioni di George. Il giovane Dawson è pronto per diventare un uomo, il padre lo guarda con profondo rispetto. In mezzo a tanti giovani smarriti, scioccati, perduti un ragazzo che trova il modo di formarsi, di dare speranza al futuro.



Questi figli sono impauriti ma ben presto la paura lascia il posto alla vergogna di aver deluso i padri della patria. Noi siamo soltanto sopravvissuti dice un soldato ad un uomo cieco che li accoglie nel porto del Dorset; pare poco ma è già tanto. La mestizia del rientro è ancor più accentuata dall’ambientazione notturna che avvolge gli uomini che, ora sì, vorrebbero nascondersi come topi nella stiva. Intanto l’angelo in volo, lo Spitfire superstite che ha salvato il Moonstone sta planando nella spiaggia del destino. Soldati che si risvegliano come da un brutto incubo. Prima un soldato sconosciuto, poi Tommy. Nel mezzo il comandante che rimane per salvare anche i francesi.
L’angelo plana su Dunkirk e con lui il fuoco purificatore che libererà il vecchio mondo dagli orrori che lo attanagliano. Il volto dell'eroe, appena intravisto all'inizio della missione, può ora svelarsi e guardarci, illuminato dalla luce del fuoco e sostenuto dalle parole di Churchill.



Le parole del soldato, nel treno che lo riporta mestamente a casa, che legge il discorso di Churchill alla nazione sono contrappuntate proprio da queste immagini che compongono l’ultimo raccordo temporale asimmetrico, l’ennesimo viaggio nel tempo, in questo caso un flash back che chiude l’ora del volo sul tramonto. Un nugolo di elmi militari sono abbandonati sulla spiaggia, in una sineddoche in cui Nolan cita se stesso e i cappelli da borghese abbandonati nel parco di The prestige, di cui torna anche il finale con il fuoco (sorprendenti sono le assonanze tra i due finali, compresi i primi piani dei personaggi che guardano verso il fuoco e sono illuminati dalla fiamma, compresi i carrelli laterali ad inquadrare gli elmi e i cappelli entrambi legati a personaggi che sono sacrificati, che diventano vittime).



Il primo piano di Tommy chiude il film, non sorride, forse è più perplesso e disorientato; nel discorso di Churchill emerge la convinzione che da quella disfatta nasceranno i germi che sconfiggeranno il grande Male. Ma è anche il segno che la retorica dello statista rimane lontana dalla sofferenza di chi la guerra l’ha vissuta sulla propria pelle. C’è poco da gioire, c’è poco da sentirsi rassicurati, le parole di Churchill suonano come un invito al ritorno all’inferno che, Tommy, il milite ignoto (mai il suo nome viene evocato) del film sembra con terrore prefigurare nuovamente. Se torniamo a The prestige e pensiamo alle parole del finale, “voi non volete vedere”, possiamo proiettarle in questo perché è vero che le parole di Churchill evocano riscossa e orgoglio (e dunque potremmo celebrare il film come una sorta di evocazione dell'eroismo patrio, dello spirito di sacrificio e di abnegazione di un popolo stretto e unito attorno alla propria patria) ma il primo piano di Tommy e gli elmi abbandonati suscitano ben altro. C’è poco da inorgoglirsi di fronte ad una generazione di giovani votata al sacrificio e alla morte. Nell'inquadratura finale prende maggior significato l'estremo soggettivismo dell'assunto di Nolan che ha voluto correre con i suoi soldati, ha voluto sdraiarsi con loro, nascondersi e addirittura ondeggiare come nella sequenza del pontile bombardato. Nolan ci ha chiesto una immersione in una realtà per porci nella condizione di viverla. In questo senso le parole di Churchill mostrano la propria evidenza retorica che stride con la realtà tragica e disumana (o forse troppo umana) della guerra. L’epica sfuma nella tragedia greca.


Questo è parte del discorso pronunciato il 4 giugno 1940 da Churchill per commentare la disperata operazione Dynamo raccontata nel film di Nolan, l'evacuazione da Dunkerque che ha avuto luogo tra maggio e giugno del 1940, mettendo in salvo circa 338 mila soldati, di cui 26 mila francesi.
"Dobbiamo stare attenti a non assegnare a questa liberazione gli attributi della vittoria. Le guerre non si vincono con le evacuazioni, le nostre perdite materiali sono state enormi, la situazione si rivela come un colossale disastro militare. Vorrei osservare che non c'è mai stato un periodo, in tutti questi lunghi secoli, nel quale potesse essere data al nostro popolo una totale garanzia che non si verificherà un'invasione [...] proveremo a noi stessi, ancora una volta, che siamo in grado di difendere la nostra isola, di superare la tempesta della guerra, di sopravvivere alla minaccia della tirannia, se necessario per anni, se necessario da soli. Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e gli oceani; combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell'aria. Difenderemo la nostra isola qualunque possa esserne il costo. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui luoghi di sbarco, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. Non ci arrenderemo mai, e persino se - ciò che io non credo neanche per un momento - questa isola o una larga parte di essa fossero asservite e affamate, in quel caso il nostro Impero, oltre i mari, armato e vigilato dalla Flotta britannica, condurrà avanti la lotta sinché, quando Dio voglia, il Nuovo Mondo, con tutte le sue risorse e la sua potenza, non venga avanti alla liberazione e al salvataggio del Vecchio Mondo".



Nel contrastante finale emerge con chiarezza l’immagine complessiva della guerra come incubo senza fine. I tre soldati che si risvegliano nelle sequenze finali sono altrettanti giovani che escono da un incubo, ma le parole di Churchill suonano beffarde perché prefigurano la prosecuzione illimitata di quell’incubo. Il nemico non ha volto e non ha identità, per i giovani coinvolti si tratta solamente di un disperato gioco di sopravvivenza. Il pilota che corre nella direzione opposta, il padre che naviga verso Dunkirk rappresentano l’altra faccia della medaglia, gli eroi, quelli che la guerra evoca. Il pilota sulla spiaggia di fronte alla pira che brucia (l’aereo) è l’Ettore che si sacrifica di fronte alle porte di Troia, è l’eroe tragico greco che vola fuori dal tempo, ma l’ultima immagine del film è per il soldatino spaurito e perplesso che non ha parole per esprimere il miscuglio di sentimenti ed emozioni che lo attanagliano: dalla vergogna per la fuga, al sollievo per la sopravvivenza fino alla preoccupazione per un futuro che preannuncia una nuova immersione nell’incubo. 


In quei pochi secondi che chiudono il film c’è la profondità di un dilemma etico che tragicamente si lega al motivo della guerra: il destino individuale, il diritto alla vita che è di ogni uomo contrasta con il destino collettivo che chiama invece al sacrificio della vita in nome del bene comune. In questo senso tornano in mente le parole del soldato Johnny in Johnny prese il fucile, il romanzo di Dalton Trumbo, feroce atto di accusa contro ogni forma di militarismo e giustificazione della guerra (il discorso collettivo e politico di Churchill mostra con evidenza la propria retorica se messo a confronto con quello individuale del soldato) :
...E in ogni caso per quale tipo di libertà stavamo combattendo?...E di chi era quell’idea di libertà? Combattevano per la libertà di mangiare coni gelato gratis tutta la vita o per la libertà di derubare chiunque volessero tutte le volte che volessero o cosa altro?...E comunque cosa cavolo vuole dire libertà?E’ soltanto una parola come casa e tavolo. Solo che è un tipo speciale di parola. Uno dice casa e può segnare con il dito una casa per indicarla. Ma quando uno dice andiamo a combattere per la libertà non ti può mostrare la libertà...Nossignore chiunque sia andato a combattere nelle trincee del fronte in nome della libertà era un emerito cretino e chi ce l’ha mandato un maledetto ipocrita...Perdio la gente ha sempre combattuto per la libertà. Nel 1776 l’America ha combattuto una guerra in nome della libertà. Tantissima gente ci morì. E alla fine l’America aveva forse più libertà del Canada o dell’Australia che non avevano affatto combattuto?...Se si guarda un uomo si può dire è un americano che ha combattuto per la sua libertà ha un aspetto molto diverso da un canadese che non l’ha fatto?...La guerra si faceva per salvare la democrazia nel mondo nei piccoli paesi in tutti gli uomini. Se la guerra fosse finita in quel momento allora la democrazia sarebbe stata salva. Ma lo era davvero? E quale tipo di democrazia? E quanta? E di chi?...Tutti dicevano che l’America stava facendo una guerra per il trionfo della dignità umana. Ma quell’idea di dignità di chi era? E per chi era? Ci dica ci spieghi bene signore di che dignità si tratta. Ci dica come mai un degno uomo morto si debba sentire molto meglio di un indegno uomo vivo...Cristo fateci combattere per cose che possiamo vedere e sentire e toccare con mano e capire. Basta con le parole altisonanti che non significano niente come patria...Se ti fai ammazzare combattendo per la madre patria è come entrare in un negozio a comprare qualcosa con gli occhi bendati. Paghi per qualcosa che non avrai mai...Ma i morti cosa dicono? Ne è mai tornato indietro uno uno solo dei milioni che sono stati uccisi ne è mai tornato indietro uno a dire perdio sono contento di esser morto perchè la morte è sempre meglio del disonore? Hanno detto sono contento di essere morto per salvare la democrazia nel mondo?...Solo i morti sanno se vale la pena o no di morire per tutte quelle cose di cui parla la gente...La vita è terribilmente importante perciò se l’hai data via per qualcosa negli ultimi minuti che ti restano penserai con tutte le tue forze alla cosa per la quale l’hai tradita. Dunque tutti quei ragazzi sarebbero morti pensando alla democrazia e alla liberazione e alla libertà e all’onore e alla sicurezza del focolare domestico e alle strisce e alle stelle della bandiera americana? Hai proprio ragione tu non l’hanno fatto. Sono morti piangendo dentro di sé come neonati...Lui (Johnny) era un uomo morto con una mente che sapeva ancora pensare. Lui sapeva tutte le risposte che sapevano i morti ma loro non potevano più pensarle...Lui poteva dire caro signore non c’è niente per cui valga la pena morire io lo so perché io sono morto...Non c’è niente di nobile nel morire...Se vi dicono che siete dei vigliacchi non fateci caso perché il vostro mestiere è quello di vivere e non di morire...Non c’è niente di più importante della vita...(E Johnny prese il fucile, Libro I, capitolo X)