giovedì 17 dicembre 2015

Maria full of grace




Maria full of grace


 

Un film di Joshua Marston. 
Con Catalina Sandino Moreno (Maria), Yenny Paola Vega (Blanca), Guilied López (Lucy)
Titolo originale Maria Full of Grace - María, llena de gracia eres. durata 101 min. -
USA, Colombia 2004


Maria full of grace denuncia fin dal titolo i suoi debiti nei confronti della cultura biblica cui si ispira nel costruire questa storia di passione e redenzione.

Maria è una giovane ragazza colombiana operaia in una fabbrica di fiori protagonista di una esistenza grigia e monotona come quella di molti suoi coetanei di quella realtà. 

 

Così come ci viene illustrata, proprio questa realtà si presenta nel suo dipanarsi ciclico, uguale a se stesso, tipico della civiltà contadina che vediamo nelle prime sequenze del film. La natura, il lavoro, i contadini sono chiusi in una circolarità che Maria aspira a superare guardando letteralmente oltre l’orizzonte, verso un cielo che è un altrove indefinito e sfuocato.
 


I giovani sono inglobati in questo mondo e Maria e il fidanzato (da cui aspetta un figlio) non sfuggono a questo monotono ripetersi degli eventi, scandito dal suono delle campane, dalle preghiere quotidiane (alla vergine Maria!) e segnato dalle feste di piazza e dalle chiacchiere attorno alle moto.


Maria ha però una aspirazione che va oltre, ma non trova gli strumenti per metterla in atto; quando chiede al fidanzato di seguirla sul tetto di una casa questi si rifiuta; Maria ha guardato oltre quel tetto, ha puntato il cielo, ma il fidanzato non è disposto a mettersi in gioco ad uscire dall’orizzonte limitato del proprio paese e così Maria guarda dall’alto la propria realtà aprendosi all’orizzonte del cambiamento (Maria, nel suo guardare dall’alto il fidanzato, lo schiaccia letteralmente al suolo).
 

 

Nel silenzio quasi opprimente di questa realtà ecco irrompere il rumore di una moto che diventa quello strumento di fuga che Maria attendeva (la giovane è alla fermata dell’autobus quando vede arrivare il cavaliere sconosciuto che può prometterle una nuova vita e diventa letteralmente l’autobus da prendere). Il giovane motorizzato la conduce fuori dal paese, altrove, rompendo la circolarità ed aprendo ad una divergenza che sarà poi definitiva. 

 

La fuga in moto (verso Bogotà) è uno degli ultimi squarci di sole nella vita di Maria prima di immergersi in una sorta di limbo grigio – verdastro che caratterizza i luoghi che dovrà frequentare fino alla sua risurrezione finale.
 

 

Maria, tornata a casa da questa gita fuori programma, chiude la porta alla famiglia e quindi a quella realtà che ora guarda con occhi osservativi ed esterni (il fidanzato in campo lungo è ormai distante in ogni senso, non solo spazialmente, chiuso nel suo cerchio di amici). 
 

 

Maria cambia look, ha deciso e lascia la comunità. Questa fuga ha però un dazio da pagare, richiede il superamento di una prova che mette a rischio la sua esistenza e quella del figlio che porta in grembo. Quelle capsule che deve ingurgitare e condurre dentro il proprio corpo fino alla terra promessa degli Stati Uniti, sono il doloroso lasciapassare verso una nuova vita. Quello a cui si sottopone la ragazza è un vero e proprio rito, la musica si interrompe in quella camera d’albergo in cui Maria deve prestarsi ad essere corriere vivente di droga e, indirettamente, di morte (in un contrasto stridente tra la vita del feto e la morte dell’eroina che porta dentro di sé). L’ingurgitamento delle capsule appare come una sorta di rito eucaristico con tanto di intingimento delle stesse nell’olio e di gesto del porgere da parte dell’officiante sacerdote della “grazia” (in questo caso intesa come eroina) che promette una nuova vita. Maria vola verso l’altro mondo ma ha paura di volare, ha la paura di chi ha operato una scelta definitiva e non può tornare indietro.
 




L’arrivo nella terra promessa non è il gioioso sbarco in una realtà carica di prospettive, ma è il brusco incontro con una realtà che vista con gli occhi di Maria risulta claustrofobica ed opprimente. L’aeroporto è un non luogo dentro cui i personaggi, ed in particolare Maria e un’amica che condivide la sua stessa esperienza, sono altrettante cellule isolate, inquadrati in modo che lo sfondo non è a fuoco, su primi piani che li isolano e ne accentuano la solitudine e lo smarrimento. Solo un poliziotto è messo a fuoco, tra quella folla anonima, ma il suo prendere sostanza di personaggio si connota semplicemente come figura minacciosa e potenzialmente ostacolante il rischioso progetto di Maria. La ragazza abbandonando i luoghi dove ha subito la perquisizione dei poliziotti ha alle spalle un cartello che non è semplicemente una indicazione di servizio ma è un monito per lei stessa: Non rientrare (non tornare indietro). 
 



 

L’impatto con gli Stati Uniti è dunque nei corridoi dell'aeroporto, negli spazi claustrofobici del camioncino, che condivide con l’amica Blanca e con la bella Lucy, e della camera d'albergo dove dovrà consegnare la merce che porta con sé. 

 

Quell'America che si apre in squarci e flash (le industrie, i grattacieli, il traffico) agli occhi dell'ingenua Maria è dunque tutt'altro che il luogo del sogno (una scritta "Casa Colombia" sembra quasi ricondurre la ragazza al rimpianto di aver lasciato il luogo d'origine), tanto che Maria, in un contesto scenografico dominato dai colori freddi del blu e del verde, si lascia andare ad un pianto disperato di solitudine e smarrimento. 
 



 

La comparsa della cugina di Lucia, Carla (che è incinta), l'Elisabetta biblica (che vive fuori della Grande Mela a New Jersey (proprio come Elisabetta che viveva a Betlemme il piccolo sobborgo di Gerusalemme), offre a Maria la possibilità di trovare un rifugio, un nido su cui costruire le premesse per una nuova esistenza. 

 

Il lento inserimento di Maria (un inserimento in cui permangono ancora i segni del mondo da cui proviene: va con Blanca a mangiare in un ristorante colombiano, è colpita da un giovane come lei che sta lavorando con i fiori proprio come faceva lei in patria) in quella realtà inizialmente così ostile è anche coincidente con la presa di coscienza del prezioso dono che la ragazza porta dentro il suo ventre. La sacralità del dono è lentamente percepita in un cammino che vede Maria soffermarsi di fronte alle vetrine che vendono immagini e gadget religiosi e prosegue nelle lunghe analisi cliniche cui si sottopone, controlli che la invitano alla prudenza e all'attenzione per preservare la creatura che porta in grembo.
 


 

Il denaro, guadagnato nel losco traffico della droga, si fa strumento sempre meno indispensabile, tanto che Maria lo donerà offrendolo a Carla in un gesto di purificazione che anticipa la scelta finale (Maria, redenta, come Lucy, pare rappresentata come nei ritratti di opere rinascimentali).

 

La protagonista ha compreso che ciò che conta è dentro (What's inside it's count recita una scritta pubblicitaria che compare alle sue spalle nella sequenza finale all'aeroporto) e dunque è proprio per quello che lei porta dentro (il figlio) che la scelta finale di rimanere negli Stati Uniti si rivela l’unica possibile perché è lì che il bambino potrà crescere trovando un mondo alternativo a quello che Maria ha dovuto subire nei suoi anni in Colombia; i grattacieli sono ora spazi pronti ad accoglierla e Maria può camminare verso una (nuova) luce che l'avvolge nella inquadratura finale.
 


La vicenda della Maria biblica, della sua visita alla Elisabetta riecheggia lungo tutta la vicenda in una moderna parabola di dannazione e redenzione che passa attraverso la cura di una nuova creatura (quel grembo che ha trasportato morte, che è "pieno" della grazia intesa come droga, si redime custodendo la vita, la Grazia intesa come dono divino che si materializza nel bambino). New York come Gerusalemme, New Jersey come Betlemme, il sobborgo dentro cui trovare la grotta, lo spazio protetto in cui poter far venire alla luce la creatura sacra.
 
 
 
       L'incontro tra Maria ed Elisabetta nell'affresco giottesco della cappella degli Scrovegni a Padova