giovedì 12 novembre 2015

Vampyr

Vampyr
Regia di Carl T. Dreyer
Produzione: Germania, Francia 1932 
Interpreti: Julian West, Maurice Schutz, Rena Mandel, Sybille Schmitz

 
Così ha inizio il capolavoro horror di Dreyer, l'autore danese de "La passione di Giovanna d'Arco"; un cartello ci informa delle caratteristiche del protagonista della storia e ci introduce al tema della ricerca, la ricerca della verità, attorno al mistero dei vampiri. Allan Gray (l'attore Julian West) è uno scienziato che sta compiendo questi studi sui vampiri del passato e l'impresa lo ha talmente coinvolto che egli ora è un sognatore che attraversa continuamente i labili confini tra reale ed irreale. Addentrandosi nei misteri dell'irrazionale, la sua lucida razionalità scientifica è messa a dura prova. Quel retino per farfalle da entomologo, esploratore ottocentesco lo connota si come uno scienziato, ma allo stesso tempo ne inquadra la fragile convinzione speculativa razionale che sta per essere messa a dura prova. 


L'ingresso di Allan nel tetro albergo è accompagnato dal suono di una campana che scandisce rintocchi di morte, come alla morte richiama la strana figura di spalle che aziona il meccanismo. Non basta l'immagine di un angelo, simbolo della locanda, a rendere meno cupa l'atmosfera in cui si immerge in protagonista.


Allan viene introdotto nella sua stanza da una ragazza. Dreyer posiziona la macchina da presa in modo da inquadrare persino i soffitti, lezione di stile, insolita ed innovativa, che verrà ripresa da Welles, e ciò accentua l'atmosfera straniante e claustrofobica in cui si muovono i personaggi.


Allan osserva la nuova realtà attraverso i vetri di una finestra, che fanno dunque da filtro, o servendosi di una candela con la quale illuminare (la luce della ragione osservativa come direbbe Hegel), ad esempio, i dettagli di un quadro che mette in scena la morte.


Ma Allan ben presto abbandona la luce della candela (la ragione) per iniziare una esplorazione più profonda di quel mondo che lo avvolge con immagini, ombre e rumori (una strana voce lo attira immediatamente). Inizia il suo viaggio verso la verità, un viaggio che lo vedrà attraversare il mondo delle ombre e che ha inizio con la comparsa di un vero e proprio mostro, un uomo senza occhi che pure sembra guardarlo, tanto che Allan lo fugge terrorizzato.


Un inspiegabile terrore attanaglia Allan che si barrica letteralmente dentro la propria camera. Ma la serratura è forzata e una strana figura lo richiama all'azione, all'intervento. Allan deve salvare una ragazza, la sua ragione si deve fare attiva, la sua scienza è chiamata a trovare una soluzione; la voce interiore di un dovere astratto lo conduce verso il suo destino, il suo sforzo di chiarezza viene subito frustrato nel momento che pretende di capire chi di fronte: Chi sei tu? chiede Allan all'inatteso ospite, senza ricevere una reale risposta.

 
Il ti esti socratico rimane senza risposta, nel buio della camera la razionalità vacilla. Ma Gray accetta la sfida, è lì per quello ed inizia così il suo viaggio verso la conoscenza e la verità, viaggio che presuppone di lasciare indietro la candela della razionalità per affrontare le ombre e i riflessi del mondo che si apre di fronte a lui. Così una strana figura sembra camminare sulla superficie di un fiume e la sua immagine riflessa attira Allan. L'angelo sembra vegliare su di lui. 
 

Il mondo che si presenta ad Allan è completamente ribaltato. Le ombre dominano e il tempo sembra stravolto (l'ombra del contadino che sembra muoversi alla rovescia).
 

Come nella caverna di Platone ciò che si presenta all'uomo è pura ombra, ma Allan, illuminato dalla ragione vuole vedere oltre e risalire dalla doxa all'episteme, dall'inganno dei sensi alla verità della mente. Ma, come penserebbe Schopenhauer, Allan si renderà conto che con la sola luce della ragione il suo viaggio non potrà raggiungere la meta.  


Il mondo del vampiro è sorvegliato da un reduce di guerra la cui ombra sembra avere vita propria, un guardiano cerbero alla porta dell'inferno, zoppo come il diavolo stesso. Ma il vampiro è una donna.




 
 
 
Una strana orchestra fa ballare coppie le cui ombre si stagliano in questo luogo bianco eppure spettrale, abitato eppure in stato di semi abbandono. Catene qua e là richiamano all'idea della prigione, una sorta di prigione di anime soggiogate e tenute in ostaggio dal vampiro che si muove tra quelle mura con il piglio del padrone. Gli schiavi della caverna di Platone vivono delle ombre che il genio maligno cartesiano offre loro come unica realtà. Allan è colui che deve liberare gli schiavi dal giogo.
 

Tra le ombre di quel mondo si muove una figura reale, carnale, solida, una figura che ha che fare con la scienza e la medicina. Nel suo antro ci sono pozioni e provette di vetro. Lo scienziato al servizio del Male, si muove con circospezione di fronte ad Allan, egli è l'altro volto della scienza razionale, colui che si è votato al servizio dell'oppressione e della malvagità, che contribuisce a tenere in schiavitù le vittime del mostro. C'è un inquietante ed impressionante senso di presagio in tutto questo. Siamo nel 1932, la produzione è franco - tedesca. L'ennesimo dottor Caligari che ipnotizza le proprie vittime prende qui la forma di un vampiro, ed un medico offre la propria competenza scientifica per consolidare il perverso meccanismo. Gli schiavi che suonano in antri mortiferi ci conducono da Platone direttamente alle baracche dei lager nazisti, alle orchestrine improvvisate ed imposte ai poveri perseguitati e agli esperimenti dei medici del Reich. La Germania stava iniziando il proprio viaggio nell'incubo e questo film ne è una agghiacciante premessa. 
 

Si parla di bambini che il dottore nega essere presenti, si parla di cani che non ci sono. Allan ha intravisto qualcosa, ma ogni accesso diretto alla verità è al momento negato. La comparsa della vampira è accompagnata da un montaggio analogico che associa la figura della strega a quella di teschi. E' la morte in persona che si presenta in tutta la sua banale normalità (non è contraddistinta da un pallore evidente nè compaiono i famigerati denti aguzzi). Ciò che la vampira consegna al proprio dottore è un veleno che questi dovrà utilizzare con le vittime malcapitate.


Le provette del veleno e di altre sostanze sono posizionate sulla mensola del dottore similmente al modo in cui vediamo apparire, con un raffinato passaggio di montaggio, i tronchi degli alberi tra cui si muove Allan. Seguendo le ombre egli giunge alle soglie di un castello isolato in cui vive il misterioso uomo che lo aveva cercato nella locanda, ma seguendo le ombre egli sembra abbandonare definitivamente il mondo delle provette, della scienza, di cui comunque anche lui fa parte. Al contrario del filosofo platonico Allan non corre verso la luce, ma si ostina  seguire le ombre nella convinzione che in quella realtà si celi la verità e non altrove. Scendere nel buio nero del mondo per carpirne il senso e poi riemergere. E' nella natura che Allan ha deciso di muoversi abbandonando, seppur temporaneamente, il mondo speculativo della pura scienza.
 
L'arrivo di Allan al castello segna un ulteriore passaggio nel suo cammino verso la verità; questo è il ritorno alla luce della ragione minacciata e oltraggiata dalle tenebre del Male. Il padrone del castello viene ucciso (ed anche in questo caso Allan non vede altro che ombre) e sua figlia ha i segni del maleficio, il morso sul collo che la costringe a letto malata e bisognosa di sangue. Il libro che Allan apre è un omaggio del padrone, una storia dei vampiri che dovrebbe aprire gli occhi al giovane studioso. Di nuovo la strada della ragione si impone. E' significativo quanto vi trova scritto su questo libro: i vampiri hanno bisogno d sangue di giovani per proseguire la loro vita nella terra delle ombre. La terra delle ombre, la platonica caverna di Platone è ora il regno dei non morti e non vivi, una sorta di terra dannata in cui è sospeso ogni giudizio ed ogni principio.
 
 
 
"Chi può penetrare i segreti nascosti dalla luce del giorno?", continua la lettura, anche per noi spettatori, del libro dei vampiri. La luce nasconde la verità, la rende più confusa ed indefinita, è necessario scendere nel mondo delle ombre per recuperarla e farla emergere. Ecco allora che Allan dona il proprio sangue per la salvezza della fanciulla ma, di fatto, si consegna nelle mani del dottore che ha venduto l'anima al diavolo ed è colui che aiuta la vampira. Allan perde lentamente coscienza ed entra in quel mondo del sogno e della allucinazione che è necessario per l'attraversamento del ponte verso la verità.
 
Il mostro senza pace deve essere ucciso affinché le sue vittime possano liberarsi dal suo giogo e dal suo incantesimo malefico. Così Allan, aiutato dal servo che ha appreso e fatte sue le storie del libro sui vampiri, uccide il mostro, la vampira nella sua tomba e con lei uccide, soffocandolo con la farina in un silos, lo scienziato che l'aveva servita fedelmente. Ma a questo si arriva passando per la porta dei sogni, attraverso un vero e proprio allontanamento da sé che conduce Allan nella dimensione dell'oggetto prima e del soggetto poi. Allan, insomma, si vede, si tocca, si sente come se ciò che vedesse fosse altro da sé. La soggettiva dalla bara accentua questo dualismo e noi spettatori siamo con lui, vediamo con lui, percepiamo il suo terrore.
 
 
 
 
 
 

Non vi è risveglio in lui, il sogno si integra alla perfezione con la vita e ne è una sua naturale prosecuzione. La liberazione delle vittime, in particolare della ragazza è un ritorno alla vita per lei e uno alla morte per il carnefice vampiro che ha così concluso il suo indefinito vagare tra la vita e la morte. Ora il vampiro può giungere al giudizio di Dio e liberarsi della sua condizione di non Essere.
 
 
 
La vittima è libera, al contrario di Giovanna D'Arco, la fanciulla può proseguire la sua esistenza e con Allan vagare mano nella mano nei boschi, tra quella natura che i due riscoprono nella sua immediatezza percettiva. Lo scienziato non ha più il retino per le farfalle, il suo desiderio di osservare e misurare l'esistente è ora superato da un desiderio di vivere l'esistente, di coglierne l'essenza attraverso il sentimento e la percezione intuitiva e non più con la ragione che trova la sua più definitiva sconfitta nella morte punizione del dottore malvagio, soffocato nel silos dalla farina gettata dal servo su di lui. Gli ingranaggi di un mulino, frutto della tecnologia, vicina e affine al mondo della scienza sono gli strumenti con cui il razionale scienziato viene punito e soffocato.
 
 
 
 E, beffardamente, sugli ingranaggi tecnologici si chiude il film nel suo allucinato percorso tra la vita e la morte, la realtà e il sogno.