martedì 30 ottobre 2018

Pulp Fiction

Regia: Quentin Tarantino
Interpreti: John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Bruce Willis, Harvey Keitel, Quentin Tarantino, Tim Roth, Patricia Arquette
Produzione USA, 1994          Durata: 154'
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Il cinema, come forma di arte, è nella sua essenza pura manipolazione del tempo che è interamente nelle mani del regista demiurgo. Pulp Fiction non solo mette in campo orologi come elementi significativi del tessuto narrativo, ma gioca palesemente con i piani del racconto, alterando il flusso cronologico degli avvenimenti. Il suo andare avanti e indietro nel tempo della storia che ci racconta può assumere diversi significati (quello più banale è che sia un puro divertimento del regista che sappiamo ami giocare con i clichè, le aspettative e gli stereotipi del cinema e degli spettatori), certo è che amplia la gamma delle possibili significanze della sua opera. 
Sappiamo che Pulp Fiction ha una struttura ad incastro con tre storie che si intrecciano (quella di Jules e Vincent e quella di Butch) con l’azione che si volge nell’arco di tre giorni. Nella sua particolare ricostruzione temporale, Tarantino apre e chiude il film su un ulteriore intreccio, legato alla rapina al ristorante di Pumpkin “Zucchino” (Tim Roth) e Yolanda “Coniglietta”, i cui personaggi non avranno alcun peso nel resto della storia. Eppure il film si apre proprio su una battuta di Pumpkin che dice di voler chiudere con qualcosa, di voler cambiare vita, di farla finita (come non ricordare l’analogo incipit di “The Truman Show” in cui Truman preconizza la fuga da un mondo). 
La sua voce inizia sul nero dell’incipit: “Ho chiuso con queste stronzate”. Non sappiamo esattamente cosa Zucchino voglia chiudere, ma il riferimento va al finale e a Jules che veramente chiuderà con una parte della propria vita. Pumpkin dice che non lo farà più, non sappiamo cosa, ma le sue parole sono precedute dal rombo di una motocicletta, anzi un “chopper”, che sappiamo avere un ruolo importante nella storia di Butch, Bruce Willis (la sua fuga in moto chiuderebbe la trama e il film, se questo seguisse un andamento cronologico). Buttiamo qui subito uno spoiler della nostra interpretazione, tra le tante possibili o impossibili: la moto porta il nome di Grace, che era la fidanzata storica di Quentin Tarantino, ma è anche la Grazia, in senso biblico, che coglie proprio Butch, nel suo finale atto di misericordia verso Marsellus e coglierà Jules nel suo ravvedimento.
Dunque Pumpkin anticipa uno dei motivi cardine del film: qualcuno sta per chiudere un capitolo della propria vita, sta per cambiare, sta per mettere la testa a posto, sta per ravvedersi e trovare una strada nuova di redenzione, non prima però di aver starnazzato come un’anatra (sempre nel dialogo tra Amanda e Pumpkin), dopo aver fatto quack quack quack, che è quello che faranno i personaggi per tutto il film, un lungo starnazzare intorno a problemi inessenziali come i differenti nomi degli hamburger, o le differenze tra le abitudini europee e quelle americane. 
Poi l’irruzione di una cameriera (inquadrata con uno spiazzante primo piano) interrompe la conversazione (“Volete un caffè?” chiede ai due avventori) che riprende su un tono completamente diverso. Si inizia subito a parlare di una rapina e della sua pericolosità, sembra veramente che quel primo piano abbia chiuso l’incipit per introdurci nel flusso di una azione che sarà poi il cuore pulp del film. La cameriera sembra quasi inviata da una istanza narrante ad interrompere l’iniziale dialogo, piuttosto criptico, vagamente moraleggiante, per sollecitare e solleticare l’azione dei personaggi che diventeranno, nel giro di poco, degli spietati rapinatori. 
Sul piano medio bloccato di Yolanda che intima agli avventori del ristorante di alzare le mani, partono i titoli di testa con una musica sfrenata che ci catapulta in una giostra pulp di violenza e sangue.
Pumpkin, entrando nel merito delle rapine, arriva a tracciare un possibile scenario delle difficoltà di rapinare nella attuale società americana, evidenziando un latente razzismo, ma prefigurando, anche, ciò che vedremo succedere nel corso del film, ed in particolare: “…poi ci saranno quei fottuti ebrei che possiedono il negozio da 15 generazioni e troveremo nonno Irving dietro il bancone con la sua stronza Magnum in mano, entra in questi posti armato solo di un telefono e vedrai che fine fai…” (vedi Butch di cui riparleremo). 
Mentre Pumpkin e Yolanda stanno per concludere la loro delirante discussione vediamo sullo sfondo passare Vincent Vega, che sarà uno dei personaggi chiave della storia. La rapina di Pumpkin e Yolanda, nelle sue premesse, si viene costruendo in un crescendo di doppi sensi allusivi; Yolanda ha l’atteggiamento di una donna che si sta eccitando; la pistola sul tavolo (nei suoi ambigui significati) accende la passione e il bacio che ne segue; “Sono pronta, facciamolo in questo momento, si qui” chiede Yolanda che si passa prima la lingua tra le labbra e poi tiene le sue mani sulle parti intime. Lo stretto legame di sesso e violenza è qui evidenziato, il sesso sarà raramente consumato nel corso del film (in una dimensione quasi onirica da Butch e come atto sodomitico, punitivo per Marsellus), il suo surrogato violento troverà invece larga applicazione. L’intero film sarà un eccitante viaggio in un mondo di orgasmatica violenza, almeno in apparenza…

Intanto la musica di una radio interrompe quella extradiegetica dei titoli di testa, irrompono Vincent e Jules che saranno la chiave di volta dell’intera vicenda, o meglio delle vicende narrate. Vincent è un bambino abbagliato dalle meraviglie di Amsterdam, vero e proprio paese dei balocchi da cui è rientrato da poco, dove puoi legalmente fumare in un tranquillo coffee shop. E’ un interessante antefatto (nonché il vero inizio cronologico delle vicende raccontate nel film) il dialogo tra Vincent e Jules che si svolge prima in macchina e poi nel corridoio del palazzo dove abitano le malcapitate vittime dei due killer, perché ci suggerisce alcune delle caratteristiche fondanti i caratteri dei due personaggi: Jules ha un codice etico più rigoroso di Vincent che pare, da questo punto di vista, più grossolano, infantile; se per Vincent è giusto uccidere, o quanto meno gettare dal quarto piano di un palazzo, un uomo che ha massaggiato i piedi di una donna sposata (Mia, la moglie di Marsellus), per Jules la vendetta o il castigo devono essere proporzionati alla colpa (per Vincent che un uomo che non è il marito massaggi i piedi di Mia è una grave colpa). 
Jules pare avere un background più articolato di Vincent (che non sa cosa sia una puntata pilota di una serie perché non guarda la tv, ma successivamente dirà di aver visto un programma televisivo dunque contraddicendosi o mostrando semplicemente di essere un bambino bugiardo, un po' sbruffone, come quando dice di aver fatto migliaia di massaggi a migliaia di donne diverse); la sua visione della vita è meno grossolana rispetto a quella di Vincent (non ci stupiamo quindi se alla fine troverà una via alternativa). Vincent è inconsapevole, vive senza farsi troppe domande e fonda i suoi comportamenti su codici semplicistici dei quali non ha una coscienza piena: “Quando uno gioca col fuoco prima o poi si brucia” dice fatidicamente, ma sarà il primo a non accorgersi di aver scherzato troppo con il fuoco; e ancora in modo più candido dirà più avanti dopo aver ucciso per sbaglio Marvin: “Quando un uomo ammette di aver sbagliato, gli vengono perdonati tutti i suoi errori”. Jules, in fondo, non è migliore di Vincent fino a che non prende consapevolezza e dà un senso diverso a quello che fa. E’ interessante notare come i due killer compiano le azioni più crudeli quando sono nei loro impeccabili abiti gessati, mentre escano senza violenza da una situazione intricata (la rapina al ristorante) quando sono in abiti ridicoli ed adolescenziali. 

Ma quello che compiono nei loro completi neri è una sorta di rito di cui loro sono i sacerdoti, una rappresentazione che devono mettere in scena, tanto è vero che Jules, prima di entrare nella stanza di Brett e compagni dice a Vincent: “Coraggio entriamo nei personaggi”! Per Jules quella vita è una sorta di recita a soggetto, ripetitiva pronta ad essere abbandonata appena un segno si affacci all’orizzonte; per Vincent non c’è alternativa perché la vita è quella senza se e senza ma; Jules insomma si presenta come un personaggio pronto a cambiare se stesso, Vincent no, perché vive ancora nel suo bozzolo infantile. Si è voluto vedere in Jules una sorta di superuomo nietzschiano che rinnova il senso della propria esistenza annullando i valori fin lì perseguiti, pronto ad una vita da asceta errabondo, proprio come lo Zarathustra del filosofo tedesco, oltre che il Carradine del film Kung Fu che Jules stesso cita come esempio. 
Poco prima di entrare nella stanza di Brett (sono le 7,23 del mattino) Jules ricorda a Vincent l’incombente impegno di occuparsi della donna del capo, Mia, e gli fa il segno della pistola, ancora una volta nel duplice senso che quell’oggetto evoca nella poetica tarantiniana. Il tutto con i due personaggi ripresi di spalle.
La sequenza della mattanza dei giovani “traditori” di Wallace si compie in due atti che rompono la linearità temporale del plot (già violata nella sequenza d’apertura del film). All’interno di questa, Jules pronuncia il famigerato passo biblico tratto dal libro di Ezechiele. Ne riportiamo il testo integrale, nella prima versione che Jules scandisce:
Ezechiele 25:17. “Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.”
E’ una sorta di formula sacrale che precede il rituale del sacrificio della vittima, in questo caso Brett, ucciso a sangue freddo con la complicità di Vincent. Il passo come sappiamo è un pastiche inventato da Tarantino che mescola passi di varia provenienza inserendoli in questo fantomatico Ezechiele 25,17. Per tre volte nel corso del film noi sentiremo scandire questa formula; nei primi due casi Jules la pronuncerà in modo meccanico e ripetitivo, con i crismi appunto della frase rituale; nell’ultima evocazione Jules avrà una consapevolezza nuova e la formulazione sarà seguita anche dalla interpretazione.
Il soggetto del passo, tanto discusso, è l’uomo timorato di dio il cui cammino è minacciato dall’iniquità degli uomini malvagi. Questi, per sopravvivere nel mondo, sembra aver bisogno di una sorta di angelo custode che lo conduca per mano attraverso le tenebre della violenza: il famoso pastore. Dio punirà i malvagi di una giusta vendetta e benedirà il pastore di buona volontà.
C’è un uomo timorato di dio nel film di Tarantino? Probabilmente no, e colui che Jules salverà nel finale può dirsi tutto fuor che una pecorella smarrita. Ma torneremo in seguito sull’argomento.
Questa sequenza è anche quella della scoperta della valigetta, il Mc Guffin del film, il Graal da riconquistare, il cui contenuto, che possiamo scoprire grazie al codice del diavolo, 666, non viene però mai rivelato allo spettatore. Tarantino ha detto di non aver voluto mostrare il contenuto così che ogni spettatore potesse inserirci ciò che più desiderava. La luce d’oro ci rimanda al mistero del contenuto della borsetta in Bella di giorno di Luis Bunuel e al contenuto dell’Arca dell’Alleanza nel primo Indiana Jones. 
Jules prima di uccidere la sua vittima mangia con lui (anzi, a dire il vero gli ruba letteralmente il panino che i francesi chiamano Royal e gli americani Quarto di libbra e Brett sa rispondere del perché di quella differenza di nome, cosa che Vincent non era stato in grado di fare!!!), atto supremo di umiliazione che ci riporta all’analogo gesto di Sentenza ne Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, cui Tarantino deve certamente una buona fetta di ispirazione (tre personaggi, tutti a loro modo cattivi, che bene o male si incrociano e uno solo di loro muore; per non parlare del triello finale di Jules, Yolanda e Vincent che ci rimanda a quello di Tuco, Sentenza e il Biondo). Come Sentenza, Jules compie un lavoro e una missione che deve portare fino in fondo perché così gli impone il suo codice etico. 
"Penso che ti ritroverai, quando tutta questa merdata sarà finita, ti ritroverai un figlio di puttana sorridente. …In questo momento ha talento, ma, per quanto sia doloroso, il talento non dura e il tuo tempo sta per finire…" Nel discorso in voce off di Marsellus a Butch, che introduce il capitolo dedicato a Vincent e la moglie di Marsellus, Mia (Tarantino ama, in modo molto letterario, dividere le sue storie in capitoli), c’è un concentrato di allusioni interessanti: innanzitutto la voce di Marsellus, una sorta di grande padre per molti (sicuramente per Vincent e Jules) e dunque la voce del principio di realtà, la voce del padrone; pare anche per Butch essere una sorta di voce interiore perché le parole che Marsellus pronuncia sono scandite sul primo piano di Butch senza che il boss sia inquadrato ( e Butch non guarda in camera, quindi non possiamo nemmeno parlare di una soggettiva di Marsellus).
Quella voce interiore da una parte prefigura un sogno del futuro (sarai un figlio di puttana felice), dall’altra fa i conti con i fantasmi del tempo che passa (come ogni buona voce della coscienza alterna il bastone alla carota). Nella prefigurazione del suo futuro c’è un velato riferimento al comune destino che lo lega a Jules: entrambi salvi, entrambi pronti ad una nuova vita, entrambi dei sorridenti figli di puttana (ricordiamo la scritta sul portafogli di Jules che Pumpkin aveva osato rubargli). 
Butch è l’altra figura che la fa franca nel film e accompagna idealmente Jules in questo percorso di redenzione prestandosi al finale gesto di pietà verso Marsellus violato da Zed. E Butch è proprio il personaggio della voce interiore, del padre perduto che è lì pronto a riemergere. L’apparentemente inspiegabile gesto finale di pietà verso Marsellus, non è soltanto un escamotage per conquistarsi la libertà e il perdono del boss, ma è anche una adesione alla voce interiore che si era fatta sentire poco prima del combattimento. Butch sogna o meglio ricorda l’incontro con l’amico del padre, morto in un campo di prigionia in Vietnam, la consegna dell’orologio e il carico di responsabilità, anche morali, che quell’eredità gli aveva lasciato (Walken, descrivendo la sorte del padre a Butch, fa una sorta di profezia: Speriamo che due uomini non debbano vivere una situazione del genere (la prigionia e la tortura ndr.)…tu ti fai carico di certe responsabilità dell’altro). Il principio di realtà è per Jules nelle scritture, per Butch nella voce paterna. Padre celeste e padre terreno.

Marsellus in mano ai torturatori non deve finire come il padre, Butch ha la possibilità di redimersi salvando simbolicamente quel padre perso in una prigione in cui non può morire per la seconda volta. Il cameo di Walken ci conduce al suo ruolo ne Il cacciatore, alla roulette russa nel campo di prigionia vietnamita che certo nella conta finale di Zed è richiamata. La ruota della fortuna può condannarti alla salvezza o alla morte.
Prima di uscire dal locale di Marsellus, Butch incrocia Vincent e Jules vestiti in modo eccentrico. Hanno la valigetta e mentre Jules va in bagno, Vincent affronta a muso duro Butch. Nella sceneggiatura questo incontro aveva una conseguenza nel fatto che Butch avrebbe poi rigato la macchina di Vincent (e sappiamo quanto abbia discusso Vincent su quell’episodio e su quale vendetta meritasse l’autore dello spregio); ma al di là di questo, è interessante notare come, in una scansione cronologica del film questo sarebbe stato l’ultimo passaggio di Jules sullo schermo. Il suo commiato è emblematico: "Devo andare a pisciare…" dice ridendo di gusto sulla sfida che attende Vincent che deve portare a divertirsi Mia, la moglie di Marsellus. 
Ebbene Jules va dove è sempre andato il suo compare, al bagno, luogo simbolo del film. Vincent va sovente in bagno e lo fa sempre in momenti decisivi estraniandosi dal contesto per rinchiudersi nel bozzolo infantile dell’intimità per eccellenza. Qui può leggere Modesty Blaise, può sproloquiare di fronte allo specchio, facendosi coraggio per l’approccio a Mia, ma questo suo isolarsi nel luogo sporco ne segna anche il destino, perché è proprio uscendo da un bagno che viene ucciso. Ebbene la vicenda scatologica di Vincent è lì a rimarcare la sua candida idiozia di uomo a una dimensione dalla quale non può uscire. Se potessimo riordinare il film in senso cronologico però questa fuga nel bagno sarebbe anche l’ultimo gesto che vedremmo compiere da Jules…e allora? L’ironia tarantiniana colpisce ancora: Jules ha parlato, si è redento, ma poi le cose nella vita cambiano in fretta…e allora quella vita da asceta potrebbe essere solo una pia illusione, una colta e momentanea elucubrazione di Jules che poi non ha nessuna intenzione, pure lui, di cambiare… un enorme Mc Guffin tesoci da Tarantino? Perché no?



Jodie è la moglie di un pusher che fornisce Vincent di droga; sta parlando dei suoi piercing che sono altrettanti peni sul suo corpo; in questo modo ha inizio la parte centrale del film, concentrata su Vincent e Mia, che è la parte che potremmo associare all’idea del sesso nella sua accezione più naturale. 
Quello tra Mia e Vincent è un incontro potenzialmente erotico il cui gioco è immediatamente scoperto con quei dettagli sulle labbra e sui piedi (feticismo) di Mia, una donna abituata a comandare, tanto che guida letteralmente Vincent attraverso un telecomando e una serie di telecamere (e Vincent si muove nello spazio quasi sacro della casa di Marsellus guidato da una voce femminile che lo telecomanda). 


Il potenziale erotico della situazione si intensifica con il ballo nel locale Jack Rabbit Slim, un concentrato di cultura pop, pieno di sosia e di oggetti di culto dei mitici anni Cinquanta e Sessanta (tappezzato di film di culto di quella generazione), all’interno del quale Mia e Vincent procedono al rito del ballo, del twist, che è un vero e proprio rituale di corteggiamento e un lungo ed intenso preliminare da concludere a casa di lei, dove infatti continuano a ballare. Ma l’esplosione erotica che ci aspetteremmo non avviene, Vincent emerge ancora una volta come un adolescente a una dimensione incapace di penetrare la fanciulla che lo sta seducendo. E’ un rito che si interrompe, un coito che non parte e, alla fine, l’unico modo in cui Vincent riuscirà a penetrare Mia sarà con quell’ago gigante, surrogato del pene gigante ed ideale (del resto gli aghi sul corpo, i piercing, lo aveva detto Jodie, sono altrettanti peni). E il risveglio di Mia ha vagamente il sapore di un orgasmo.

Vincent sedotto da Mia è alle prese con le sue paure da adolescente immaturo, certo ingigantite dal timore della punizione di Marsellus (la voce del super io) e così diventano scrupoli di coscienza volti a provare il proprio senso di lealtà. Ma nel bagno Vincent fa quello che farebbe un adolescente al primo incontro, si fa coraggio, si mette alla prova per poi ceder alla tentazione di concludere con una fanciullesca masturbazione (del resto la stessa Mia balla una canzone che ha nel ritornello il motivo della ragazza che si farà donna, in un clima da primo incontro adolescenziale). Certa critica ha bollato Tarantino come omosessuale, talaltra come autore che rivive nei suoi personaggi le proprie frustrazioni giovanili, certo è che Vincent anche in campo sessuale si mostra un personaggio infantile, oseremmo dire impotente nella sua immobilità (che le statue africane che costellano la casa di Mia sembrano alludere). 
Mia, respinta sul suo terreno, quello della seduzione maliziosa, è come una zombie (anche e soprattutto nell’aspetto) che risorge per tornare alla sua esistenza di morta vivente dentro le mura della prigione costruitale da Marsellus (nella sceneggiatura era previsto che Mia si risvegliasse proprio come una zombie). 
Vincent sembra un uomo debole manovrato dagli altri (in fondo Marsellus lo comanda, Jules lo rimprovera, Wolf lo rimprovera, Mia lo comanda) un mammone che ben conosce le tre M che si aggirano per il locale da ballo (Marylin, Mansfield e Mary Van Doren altrettante sosia di star degli anni Cinquanta) con la loro mise quasi felliniana, stereotipo di una donna irraggiungibile, divina e dunque castrante che sostituiscono Mia, la quarta M, l’unica veramente raggiungibile (M anche come Mother, naturalmente). 
Dopo averle conficcato la siringa nel cuore (e Lance si era raccomandato di colpire con una sola coltellata e poi premere sullo stantuffo!!!) Vincent si accascia al suolo come un amante sfinito dopo l’orgasmo. L’amica di Lance esclama: Uau, meglio di una strippata! I due zombie ritornano a casa e Mia racconta la barzelletta del pomodoro: il pomodorino è Vincent che deve stare concentrato se non vuole essere schiacciato, se non vuole bruciarsi col fuoco; ma noi sappiamo che ciò è troppo per il nostro antieroe). Del resto se Vincent non fosse stato un debole probabilmente Marsellus si sarebbe guardato bene dall’affidargli la propria arzilla mogliettina…
L’altro personaggio che se vogliamo somiglia al Vincent impacciato dell’incontro con Mia è proprio Jimmie, ovvero lo stesso Tarantino (guarda caso) che ha paura della moglie, che vive in un contesto in cui la consorte sembra dominare (Bonnie, che è una donna di colore come Marsellus, somiglia molto a Connie, il nome della madre di Quentin Tarantino) e che, simbolicamente, passa i suoi goffi vestiti ai due gangster inzuppati di sangue. Nella sceneggiatura originale sulla maglietta di Jules doveva campeggiare una scritta che chiariva, se ancora ce ne fosse stato bisogno, lo status di Vincent: I am with a stupid (io sono con uno stupido). Quando poi Tarantino vede i due killer in brachette si lascia andare ad una esclamazione che è altrettanto chiarificatrice: Sembrate due cazzoni…salvo poi sentirsi ribattere che i vestiti sono i tuoi, stronzo!!!

Ecco allora che per contrasto la vicenda del combattimento di Butch (che resta nel non mostrato) e del ritorno al motel dalla fidanzata che lo aspetta ci offrono un personaggio antitetico a Vincent sotto molti aspetti. Butch è un malvagio, al pari di tutti gli altri personaggi del film, ma è capace di violare il totem di Marsellus e dunque è libero di giacere con la donna che lo aspetta. Al pari degli altri personaggi non ha rimorsi per quello che ha fatto (ha tradito il patto con Marsellus e ha ucciso il suo avversario) ma ha poi un ravvedimento finale che lo porta ad abbracciare la pietà e la compassione nei confronti di Marsellus. Butch è un duro vero, un uomo forte che ha una figura paterna di riferimento, per quanto ideale, che lo guida nelle sue azioni. 
Jules troverà una sorta di padre celeste verso cui volgersi, mentre Vincent rimarrà l’uomo con una madre (tre M) e nessun padre, tranne quel Marsellus che è padre di tutti. Abbiamo detto del sogno rivelatore di Butch, dobbiamo soffermarci sulla sua fidanzata Fabienne che lo aspetta nel motel. Perché è francese? Alcuni critici hanno evidenziato un metadiscorso di Tarantino rivolto al cinema francese. Il film è pieno di riferimenti alla cultura francese (dal discorso sugli hamburger, ai nomi di tanti personaggi che sono francesi come Jules e Vincent) e Fabienne rappresenterebbe il cinema francese che evidentemente tarantino non ama. Ad un certo punto la ragazza si trova letteralmente dentro uno schermo nel bel mezzo di una sequenza di un action movie di serie b americano (movie e non film); pare schiacciata, minacciata e Butch la rimprovera aspramente per essersi dimenticata del suo orologio paterno (comprato da un bisnonno a Knoxville, città natale di Quentin Tarantino): Fabienne non ha il senso del tempo, ha perso il senso del tempo, come tutto il cinema francese (è la tesi di Randall E. Auxier, nel saggio Il pessimo giorno di Vinnie), frigna quando Butch torna al motel sano e salvo e vuole le coccole, da un macho che invece avrebbe ben altra carica erotica (vedi l’eccitazione della tassista nel solo vederlo riflesso nello specchietto).


Quello che il caso apparecchia per Butch è spassoso. Incrocia Vincent che lo stava aspettando nel suo appartamento e Vincent è ucciso e punito perché ancora una volta in bagno, ultimo gesto di ritiro fetale dal mondo; poi incrocia Marsellus, in una sequenza che è una citazione da Psycho di Hitchcock. Nel folle inseguimento che ne segue i due finiscono bene o male là dove Pumpkin Zucchino aveva predetto qualcuno sarebbe pur dovuto finire, in quel negozio di ebrei pronti ad ucciderti se non ti presenti armato (con un Irving qualsiasi che tira fuori la sua arma e ti uccide, ma qui sarà anche peggio). Il negozio dove finisce Butch non è espressamente un negozio ebraico, ma Tarantino sparge indizi interessanti: intanto è un negozio che vende di tutto e nel quale è possibile prendere denaro a prestito (l’ebreo usuraio) e poi nello scantinato compare l’angelo vendicatore, quello Zed, poliziotto biondo che ha il simbolo dello sceriffo sul petto e che, senza dubbi, è anche la stella a sei punte di Davide. Zed in ebraico vuol dire Il Signore è giusto, La giustizia di dio e non aggiungo altro. 

Butch e Marsellus devono passare per la punizione che permette loro di rinascere. La sofferenza in chiave catartica e la redenzione di Butch che torna indietro per salvare Marsellus dall’inferno di Hanoi, pardon dall’inferno del retrobottega (fra i cartelli che compaiono nel negozio merita attenzione quello che recita: 4 ore per redimere, riscattare, i gioielli!). Nella scelta dello strumento adatto per colpire gli stupratori, c’è chi vi ha letto una metafora dello sceneggiatore che sceglie una soluzione narrativa tra mille e quindi scarta la motosega perché non è Venerdì 13, scarta la mazza da baseball perché non è I guerrieri della notte e così via, portando Butch a scegliere la katana perché è lo strumento tarantiniano per eccellenza, tanto più che il regista stava scrivendo la sceneggiatura di Kill Bill in cui la katana è l’arma della vendetta e della giustizia. 


La fuga con Fabienne non poteva che avvenire a cavallo di un chopper rubato a Zed (il chopper di Easy Rider, simbolo di libertà) su cui campeggia la scritta Grace che era sì la prima fidanzata di Tarantino, ma è anche la Grazia che scende su Butch per salvarlo. Questa sarebbe la fine cronologica degli eventi ma sappiamo che Tarantino ha rimescolato le carte ed ecco allora che il finale va a raccontare la storia della redenzione di Jules. 

Il tutto riparte dalla sparatoria nella casa di Bratt. Sul muro ci sono già i segni dei proiettili (errore di Quentin, svista voluta, o miracolo cinematografico???) prima che il giovanotto nascosto nel bagno (!!!) esploda i suoi sei colpi contro i due killer (come ricordava il Biondo ne Il buono, il brutto e il cattivo, sei è il numero perfetto perché sei sono le pallottole dentro alla sua colt). Nessuna pallottola colpisce i nostri eroi ed è la rivelazione, l’epifania, ma solo per chi può e vuole vedere. Vincent, lo stupido intorpidito, non sa veder niente altro che una pura coincidenza e non sa capire l’euforia di Jules che crede nel miracolo. Jules è convinto della rivelazione, Vincent è cieco e non sa vedere. 

La vicenda a casa di Jimmie è una sorta di parentesi che ci riporta poi al ristorante dell’inizio. Mr Wolff è un personaggio grottesco che pare la caricatura di un piccolo borghese in grado di ordinare qualsiasi cosa con la forza della propria matematica efficienza. Vincent trova ancora il tempo di farsi rimproverare perché non sa lavarsi (come i bambini), viene rimproverato da mr. Wolf e si becca del cazzone da Jimmie in quella che è l’apoteosi dell’evidenza della sua inadeguatezza.
Il ritorno al ristorante, in quel cerchio narrativo che si chiude, diventa l’occasione per verificare il cambiamento avvenuto in Jules. Jules è pronto a ricreare un nuovo senso alla propria esistenza proprio partendo dall’analisi del senso delle parole che ha sempre detto meccanicamente. La riproposizione della formula biblica è ora oggetto di interpretazione che deve fare luce sul messaggio che nasconde e sul senso che essa deve assumere per la vita di Jules. Questi ha deciso che farà l’asceta, ma agli occhi di Vincent non diventerà altro che un barbone senza lavoro e senza un soldo. Vincent è l’uomo comune che deride il folle portatore del messaggio del superuomo che carica la vita di un nuovo significato. Vincent corre di nuovo in bagno ed esce dal mondo, nuovamente, mentre Jules si fa portatore di una diversa novella. Jules vuole diventare il pastore e abbandonare la via degli uomini malvagi e così risparmia la vita a Pumpkin e Yolanda (mentre Vincent, di rientro dal cesso, vorrebbe, come al solito, farli fuori in un colpo solo).

Nella sequenza finale, l’uscita di scena dei due killer, per quanto in coppia e sintonizzati nei movimenti, ci racconta di due destini ben diversi (e la costruzione cinematografica del racconto operata da Tarantino ci permette di cogliere appieno questa contraddizione tra la simmetria dei movimenti dei due protagonisti e la differenza sostanziale che li separa), di due personalità ben diverse pur nella somiglianza del loro abbigliamento e dei loro modi. Vincent fa quasi tenerezza nella su ostentazione di una sicurezza e di una forza che, abbiamo visto, non possiede assolutamente. 
La scelta della compassione e della pietà vincono sulla vendetta e la ragione dell’occhio per occhio. Jules è portatore di un nuovo modo di pensare (potremmo definirlo evangelico) che bandisce il mondo veterotestamentario del dio che punisce e scende con somma potenza sugli uomini. L’ebreo punito, Zed pronto al martirio, rappresenta la fine di questa visione manichea che il film sembra in qualche modo esorcizzare. Sappiamo che il cinema di Tarantino in realtà non abbandonerà la via tracciata dalla parole di Ezechiele e andrà continuamente cercando personaggi che incarnino una mano vendicatrice che rappresenti l’arma del Signore Onnipotente (a partire dalla sposa di Kill Bill). La fascinazione per la giusta vendetta fa parte del suo mondo e del resto, abbiamo visto, anche l’asceta Jules presto avrà bisogno di tornare in bagno.