mercoledì 16 settembre 2015

L'infernale Quinlan

L'infernale Quinlan

(USA 1957-58, 1958, L'infernale Quinlan, bianco e nero, 111m); regia: Orson Welles; produzione: Albert Zugsmith per Universal; soggetto: dal romanzo Badge of Evil di Whit Masterson; sceneggiatura: Orson Welles; fotografia: Russell Metty; montaggio: Virgil Vogel, Aaron Stell, Edward Curtiss; scenografia: Alexander Golitzen, Robert Clatworthy; costumi: Bill Thomas; musica: Henry Mancini.
Interpreti e personaggi: Charlton Heston (Ramon Miguel 'Mike' Vargas), Janet Leigh (Susan Vargas), Orson Welles (Hank Quinlan), Joseph Calleia (Pete Menzies), Akim Tamiroff (zio Joe Grandi), Marlene Dietrich (Tanya), Joanna Moore (Marcia Linnekar), Ray Collins (Adair), Dennis Weaver (portiere di notte), Valentin De Vargas (Pancho), Mort Mills (Schwartz), Victor Millan (Sanchez), Lalo Rios (Risto), Michael Sargent (Pretty Boy), Phil Harvey (Blaine), Joi Lansing (Zita), Joseph Cotten (medico legale), Zsa Zsa Gabor (proprietaria del night), Mercedes McCambridge (capobanda).

L’infernale Quinlan (Touch of evil) è un concentrato di significati e significanti che la critica passata e recente non ha mancato di rimarcare; quello che ci interessa approfondire, in questo contesto, è la rilevanza filosofica di alcuni temi che il film affronta.
Il capolavoro di Welles ha come oggetto una storia noir che si apre a bomba, letteralmente, su un caso di omicidio e si dipana poi come lo scontro tra due opposte visioni del mondo e della giustizia, tra quelli che possiamo ritenere i protagonisti della storia: l’investigatore Quinlan (Orson Welles) americano e Vargas (Charlton Heston) rappresentante della legge messicana.  Attorno all’inchiesta sull’attentato che vede la morte di un potente imprenditore americano e della sua amante, i due uomini della legge rincorrono prove e soluzioni secondo una divergente dinamica etica e morale che li porterà all’inevitabile scontro finale.


 
Vargas è l’uomo di legge ortodosso e ligio, Quinlan è la faccia oscura della giustizia che si avvicina al giustizialismo e adotta metodi non legali per raggiungere i propri obiettivi (confeziona la prova contro il messicano Sanchez che poi si rivelerà effettivamente colpevole). Il desiderio di giustizia e quello della legalità si scontrano. Legge e giustizia sono sinonimi ma talvolta percorrono strade parallele che non riescono ad incontrarsi.

 
Secondo Aristotele l’uomo giusto e virtuoso è colui che rispetta la legge e le è conforme in ogni sua sfumatura. Questa virtù, lo stagirita, la definisce giustizia intesa come la massima tra le virtù umane. Vargas è dunque, in apparenza, un giusto in senso aristotelico, un virtuoso, mentre Quinlan è un vizioso. Sono emblematici a questo proposito alcuni passaggi del film, specie nelle sequenze finali; Vargas incalzato da Menzies e registrato, a sua insaputa, da Vargas, afferma che Vargas “è uno di quegli stupidi idealisti che sono la gente più pericolosa al mondo”. In precedenza Vargas di fronte al suo avversario aveva retoricamente domandato: “Chi comanda il poliziotto o la Legge?” rispondendo che era più facile “amministrare” la giustizia in uno stato di polizia, in una dittatura. Ma ciò che muove Quinlan è fondamentalmente la sete di giustizia (“tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per aiutare la giustizia” afferma a Menzies nella sequenza finale) che con i suoi metodi trova, paradossalmente ma non troppo, una maggiore aderenza alla verità.
Il finale non lascia spazio a dubbi. Quinlan è condannato alla morte sociale (diventa rifiuto tra i rifiuti) perché il fine della convivenza civile non va nella direzione della giustizia ma della legalità. Le amare parole finali di Tanya (Marlene Dietrich) non regalano alcuna consolazione: “Quinlan, dice, era un grande investigatore e uno sporco poliziotto; a modo suo era un grand’uomo, ma che importa quel che si dice di un morto”.



Quinlan non può sperare in una riabilitazione postuma e men che mai in un giudizio esterno (divino) che garantisca la giustizia e non la legge. In fondo Sanchez, colui che Quinlan aveva incastrato, si è rivelato colpevole e mai in precedenza il detective aveva imprigionato qualcuno innocente, mai almeno fino alla comparsa di Vargas che mette in crisi le sue certezze e corrompe l’infallibilità di Quinlan. E qui sta il punto: la punizione di Quinlan è inevitabile non per i suoi metodi, ma per l’abbandono deciso della via della giustizia in nome della pura sopravvivenza sociale (mantenere la reputazione e lo status di investigatore).
Quinlan tradisce se stesso dunque, e la sua diventa una deriva esistenziale che lo porterà all’autodistruzione finale (si ubriaca, tenta inutilmente di riannodare i fili del passato a casa della prostituta dove campeggia una testa di toro che ci richiama alla passione di Welles per le corride ma che è anche simbolica correlazione del diavolo Quinlan la cui zoppia contribuisce alla identificazione luciferina del suo personaggio e che ha indotto i titolisti italiani ad introdurre nel titolo l’aggettivo “infernale”).

 
Menzies che è un osservatore delle vicende vede l’ingiustizia penetrare nel mondo di Quinlan (è chiave la sequenza in cui Menzies vede l’amico allontanarsi con Grandes mentre l’effetto sonoro di campane a morte sottolinea l’inizio della fine della loro amicizia), la vede nel compromesso che questi stringe con Grandes e la vede nei due sposini imprigionati.




Per Menzies è la caduta di un mito, il suo eroe Quinlan ha perso la strada della rettitudine e la sua giustizia si è trasformata in qualcos’altro (lo stesso Menzies ammette di essere diventato un poliziotto onesto grazie a Quinlan). Ecco spiegato il tradimento di Menzies, il migliore amico di Quinlan, un tradimento che passa per il bastone simbolo del loro legame (Quinlan era rimasto zoppo per salvare l’amico da una pallottola) che Menzies recupera sul luogo del delitto di Grandes e passa idealmente a Vargas come a liberarsi del pegno che ancora lo teneva legato a Quinlan.

 
Ecco il vero tradimento di Quinlan, che non è nei suoi metodi illegali, che in fondo Menzies ha sempre avvallato, ma nel suo deragliamento dalla via della giustizia, un tradimento delle proprie convinzioni che ha richiamato e provocato il tradimento dell’amico.

Colui che si veste dei panni del giustiziere, la nemesi incarnata di Quinlan, è Vargas, un corpo estraneo in una realtà che solo in apparenza sembra tollerarlo, come quando compare di fronte all'enorme manifesto di benvenuto agli stranieri.


Quinlan non manca di ricordare a Vargas che è uno straniero in quella terra di confine e prende decisamente le distanze quando ricorda che "Gli uomini di legge (come Vargas n.d.r.) si occupano di legge" (Vargas non manca di ricordare che "In un paese libero i poliziotti devono tutelare la legge"). Ma Vargas con il suo comportamento, almeno inizialmente, irreprensibile si introduce in quel mondo proprio come la bomba ad orologeria dell'incipit, pronto ad esplodere e a rompere gli equilibri. Vargas è, come si chiarisce nel finale quando compare riflesso in uno specchio tra ritratti, un vero e proprio torero pronto a matare il diabolico toro Quinlan.


 
Vargas vince, perché egli rappresenta il mondo nella sua mediocrità retta ed inflessibile; una mediocrità non assoluta se è vero che, una volta toccato negli affetti più cari, sa destreggiarsi con decisione anche con metodi molto vicini a quelli di Quinlan (vedi la rabbia che si scatena nel bar dove assale gli uomini di Grandes affermando di aver abbandonato il ruolo di poliziotto e aver ritrovato quello di marito; e pure nel pedinamento finale la legalità viene rispettata ma a costo del tradimento, e dunque di una sconfitta morale, che Vargas induce ed incoraggia nell’amico di Quinlan). L’impeto di Vargas, dunque, sembra dirci come la sete di giustizia sia primaria nell’uomo, un senso innato che si conforma alla personalità di ciascuno e solo la Legge, totem impersonale ed autoritario, sembra poter garantire ma in senso relativo e non assoluto. Di qui la permanenza di un bisogno di giustizia più grande, un bisogno che si materializza nella divinità e nella fede.
Ecco allora che la vicenda di Vargas non può assumere i connotati di una vicenda morale, non può il suo caso limite porsi come kantiana legge universale perché corrompe la morale (l’induzione al tradimento) in nome della giustizia, conduce due uomini alla rovina (anche l’innocente Menzies) in nome del ristabilimento della legalità, peraltro da lui stesso sospesa nel momento che ha dovuto difendere i propri affetti più cari. E non è un caso che per raccogliere le prove contro Quinlan, Vargas debba letteralmente infangarsi, sporcarsi, immergersi nello stesso sudicio fiume in cui finirà a galleggiare il corpo di Quinlan. Guidato da un macchinario che registra la verità e che lui non riesce a dominare perché egli non è, naturalmente, uno spione (è dunque il registratore che lo costringe a muoversi in precise direzioni), Vargas cerca la verità scavando nella psiche del suo nemico come le trivelle scavano nel terreno alla ricerca del petrolio, che è però viscoso liquido nero, oscuro come le pulsioni che si nascondono in Quinlan.



 
E gli affetti più cari in ballo sono quelli per la neo mogliettina di Vargas, Susan (Janet Leigh), il prototipo della donna americana piccolo borghese che si ritrova catapultata in una realtà che mette a rischio il piccolo paradiso che va costruendosi (poco dopo l’esplosione dell’auto Susan, camminando un po’ disorientata tra le strade della cittadina di confine, ha alle proprie spalle una enorme scritta che ci richiama al tema del Paradiso che la donna va perdendo; e le scritte, come ha dichiarato lo stesso Welles non sono per niente casuali, come vedremo anche in seguito).



Questo andirivieni intorno al confine è un correre lungo il filo che divide la sicurezza dalla minaccia, in qualche modo il male dal bene. Le distanze tra i due mondi, specie in un territorio di confine, non sono così visibili e dunque, ben presto, il viaggio di Susan (ricordiamo che era in luna di miele) diventa una sorta di incubo le cui coordinate spazio temporali si confondono e si perdono in un labirinto dove diventa sempre più difficile capire se siamo in Messico o negli Stati Uniti. Le minacce alla pax privata di Susan sono soprattutto, almeno allusivamente, di ordine sessuale (non casualmente, del resto, il bacio tra lei e il marito corrisponde alla esplosione dell'automobile, una deflagrazione dei sensi);


lei diventa oggetto di attenzioni morbose (certo dettate dalla intenzione di incastrare Vargas), il suo corpo è veramente un corpo sensuale oggetto di desiderio (illuminata con una lampada da un misterioso vicino o sensualmente sdraiata nel letto di un motel) che invano va cercando la sicurezza nel matrimonio con il funzionario Vargas.



 La minaccia si presenta sempre in chiave ambigua a metà tra il sogno e l’allucinazione (la voce di donna che nella stanza accanto a quella di Susan sussurra alla donna le cattive intenzioni degli altri avventori del motel sembra quasi una sorta di voce interiore ed immaginaria) come se le paure di Susan fossero paure inconsce frutto di pulsioni represse (la droga, la violenza, il sesso).

L’inferno che si spalanca di fronte alla donna (che cammina letteralmente tra le fiamme nella notte dell’attentato) è dunque sfuocato, indistinto, quasi virtuale e il brusco risveglio di Susan di fronte a Grandes ucciso ha i contorni dell’incubo materializzato (Grandes pare quasi una maschera carnevalesca);



ma la donna continua a dormire anche in prigione, non sa vedere la reale minaccia che la attende nel motel, è insomma cieca di fronte a quanto minacciosamente si sta costruendo intorno a lei; e così si può interpretare la scritta che campeggia alle spalle di Vargas che telefona alla moglie affiancato da una commessa cieca: If you are mean enough to steal from the blind help yourself (se sei così meschino da rubare ad una cieca allora serviti da solo). Se la cieca è la moglie (che risponde al telefono quasi dormiente), il meschino che la minaccia è Quinlan e Vargas dunque è chiamato "ad aiutare se stesso", ad agire da solo, a farsi giustizia personalmente per difendere il menage matrimoniale appena avviato (del resto, lo stesso Vargas ammette che il suo vero scopo, alla fine, è quello di riabilitare il buon nome della moglie, la rispettabilità dunque).

 
E’ interessante notare come Touch of evil preceda di due anni l’uscita di Psycho nel quale vi è una diretta corrispondenza con l’episodio del motel wellesiano. La bella Leigh in un malfamato motel sperduto nel nulla insidiata ed oggetto erotico di attenzioni, con un guardiano che anche fisicamente ricorda sinistramente il Norman Bates hitchcockiano.