mercoledì 16 ottobre 2013

Il concerto

Il concerto


Regia: Radu Mihăileanu   Anno 2009
Cast:   Aleksei Guskov: Andreï Filipov
Dimitri Nazarov: Sacha Grossman
Mélanie Laurent: Anne-Marie Jacquet / Lea
François Berléand: Olivier Morne Duplessis
Miou-Miou: Guylène de La Rivière
Valeri Barinov: Ivan Gavrilov
Lionel Abelanski: Jean-Paul Carrère
Laurent Bateau: Bertrand
Vlad Ivanov: Piotr Tretiakine
Anna Kamenkova Pavlova: Irina Filipova
Roger Dumas: Momo
Anghel Gheorghe: Vassili
Aleksandr Komissarov: Victor Vikitch
Titolo originale: Le concert
Paese di produzione Russia, Francia, Italia, Belgio, Romania
Durata 120 min   Rapporto 2.35:1
Genere commedia, drammatico
Soggetto: Hector Cabello Reyes, Thierry Degrandi
Sceneggiatura: Radu Mihăileanu, Alain-Michel Blanc, Matthew Robbins
Produttore Alain Attal  Casa di produzione: Les Productions du Trésor, Oï Oï Oï Productions, France 3 Cinéma, Castel Films, Panache Poductions, RTBF, BiM Distribuzione, EuropaCorp
Distribuzione (Italia): BiM Distribuzione

Il Concerto, nella sua apparente leggerezza compone, con meraviglioso virtuosismo, una delle più profonde e taglienti metafore della contemporaneità, come a suo tempo il Prova d'orchestra felliniana si poneva come sguardo affilato sullo scontro dialettico tra derive anarcoidi ed autoritarie, potenzialmente insite e conviventi nella società degli anni Settanta.


Proprio come metafora il film di Mihaileanu trova la sua radice più profonda e la sua lettura più accattivante. Sono troppe le discrepanze logico narrative e troppo scoperto il gioco del paradosso e della caricatura (spesso nei personaggi e nelle situazioni si sfiora lo stereotipo) per prendere troppo realisticamente la vicenda. Come già in Train de vie, ma qui con ancora maggior forza espressiva, il regista rumeno compone una sarabanda gitana e kusturicana di situazioni che conducono al virtuosistico finale, per proporre una lettura politica e già storica di un’Europa in profonda mutazione. Dove prima vi era la varia umanità di un intero villaggio in movimento alla ricerca di un luogo dove mettere radici e di una identità da salvaguardare di fronte alla minaccia nazista, qui vi è una eterogenea orchestra di russi, in buona parte ebrei, che riprende a vivere, sopravvissuta alle macerie del comunismo e che si muove fracassona e anarcoide nella nascente Europa unita.


Il film si muove lungo una duplice direttrice narrativa, muovendo in parallelo, proprio come l’avanzare di un’opera contrappuntistica, il direttore Andrej Filipov e l’orchestra nei suoi eterogenei componenti. Come la bacchetta che si spezza tra le mani di Andrej, per il rude intervento del burocratico brezneviano, nonchè spia del KGB e amministratore del Bolshoi, Gavrilov, così l’orchestra viene sciolta d’imperio la sera del 12 giugno del 1980 quando viene bruscamente interrotto il concerto che doveva segnare la raggiunta armonia tra la solista Lea e i musicanti ebrei. 


E’, in flashback, una delle scene chiave del film: il regime brezneviano e comunista ha interrotto un processo di interazione tra le diverse anime della cultura e dell’arte russa coagulate attorno alla musica di Tchaicovsky. La caduta del muro e le nuove prospettive europee sembrano schiudere una nuova possibilità di armonizzare le anime della cultura non solo di quella parte remota del vecchio continente ma dell’Europa intera. Non è un caso che il concerto, che riannoda i fili con il passato, si svolga a Parigi, il cuore della cultura dell’Occidente moderno, la patria dell’Illuminismo che ha figliato le idee da cui è nata l’utopia materializzatasi nella Comunità Europea.
Attorno a questa grande metafora la trama sviluppa un intreccio che ha nel personaggio di Andrej Filipov il cardine ;


questi discende agli inferi della dimenticanza (è ora inserviente del Bolshoi e bellissimo è l’incipit stretto sul suo primo piano di direttore di una orchestra che però solo con l’immaginazione riesce ancora a guidare) e risale alla ribalta del successo con la sola e segreta speranza di riprendere quel concerto interrotto nel 1980 e riannodare i fili con la figlia di Lea, che il film insinuerà essere più di una amica per il protagonista (Anne Marie Jacquet potrebbe essere sua figlia naturale).


Se Andrej Filipov è l’incarnazione della vecchia generazione di musicisti che coniugano la passione per la musica ad un sofferto vissuto che rende tragica ed interiore la loro esperienza artistica, Anne Marie è invece la musicista della nuova generazione del benessere, figlia inconsapevole di quelle sofferenze, che non per caso ci viene introdotta nel film mentre fa la prova di un abito come un bellissimo manichino (la bellezza senza anima, la grande musicista virtuosa che deve trovare un senso più profondo alla bellezza di cui si fa portatrice).


La raccolta dei musicanti di Filipov è come un viaggio dentro le tante anime del crogiuolo russo. Non possono mancare i gitani (una nota di colore nel grigiore complessivo)e proprio uno di loro pronuncia una verità: "Tchaicovksy l'hai nel sangue è come liberarlo dalla mente in cui è rinchiuso"; i musicisti, chiamati a suonarlo trent'anni dopo, devono ritrovare dentro di loro quel patrimonio spirituale dormiente. Così sembra poter perfettamente corrispondere all'arte del musicista (anche se nella realtà non è vero e ciò conduce il film verso una direzione sempre più smaccatamente simbolica) quanto detto in precedenza per la diplomazia: "L'arte del negoziare è come andare in bicicletta, una volta che hai imparato non lo scordi più".


L'orda barbarica così assemblata è pronta per invadere la civile Parigi, pronta a mettere in crisi la perfetta efficienza occidentale (come i nuovi stati dell'est che turbano l'equilibrio della nascente Europa unita). Da entrambe le parti sembra comune la sensibilità per gli affari e il denaro, frutto del cinico liberalismo occidentale e della grigia miseria prodotta dal sistema comunista (da cui la reazione opposta verso l'ossessione della ricchezza e dello sfarzo esibiti, ad esempio, con palese volgarità, dal magnate russo finanziatore del viaggio dell'orchestra). 


La giovane Jacquet si trova a confrontarsi con una nuova realtà, la sua musica così perfetta, ma anche così fredda, deve toccare l'anima e così l'arpeggio improvvisato del gitano avvolge ed incanta la giovane violinista ("No tecnica, ma anima, spirito" ribadisce Filipov).
Il dialogo al ristorante tra Andrej e Anne Marie è, in questo senso un momento chiave. Filipov ribadisce il concetto di una armonia perduta che il regime brezneviano ha interrotto e sfaldato. C'è la speranza di ricucire quell'armonia, riavvolgendo il bandolo di una matassa bruscamente interrotta. Il concerto, dice Filipov, è come una confessione, un grido, una porta comunicativa che si apre al mondo. Anne Marie sembra non cogliere a pieno quel messaggio, la vera musica sembra prigioniera dentro di lei, ostaggio di una tecnica perfetta ma algida. Lea non c'è più e il passato non può essere rivissuto (Io non sono Lea, ribadisce Anne Marie). 


Ma ecco che, metaforicamente, una porta si apre di fronte ad Anne Marie e si schiude la via che condurrà la violinista al recupero di un tesoro perduto e alla coscienza di sé (le origini della propria identità e dunque della verità; "Alla fine del concerto troverà i suoi genitori", viene detto alla Jacquet) come un ponte che collega passato e presente e che si visualizza (messo a fuoco mentre Anne Marie è fuori fuoco) di fronte a lei allorchè legge la lettera lasciatale dalla matrigna. 



Così per Filipov la passione torna a zampillare come l'acqua di una fontana (dissolvenza incrociata) e si riapre il varco che permetterà di ritrovare l'armonia perduta.


Mentre Gavrilov cerca di riannodare i fili di un discorso politico che non ha futuro (la sua patetica visita al comitato comunista francese), Filipov realizza a suo modo il vero spirito comunista, quello per intendersi non inquinato dalla Storia, cercando nella mutua collaborazione degli orchestrali la piena empatia e comunistica solidarietà tra gli uomini di ogni razza ed etnia. 


Il concerto finale è dunque un ponte verso il passato (che viene rievocato nelle parole di Filipov in tutta la sua evidenza, rimasta per anni nascosta), ma anche un momento di ricostruzione di un presente nuovo e liberatorio. In questo senso la musica libera ciò che era rimasto soffocato, gli istinti (i due gay che si dichiarano e si baciano), le passioni, i desideri.



La solista, Anne Marie, è lo spirito di un Occidente che non può camminare da solo (lo spirito dell'individualismo), l'orchestra è lo spirito comunistico dell'Oriente (lo spirito della collettività). 


Il loro incontro, guidato dal direttore Filipov, dà vita alla nuova armonia che si realizza nel "Concerto europeo". Le ferite del passato non possono rimarginarsi ma non possono essere dimenticate. Le nuove generazioni, di cui Anne Marie è l'incarnazione, devono ritrovare le radici della propria esistenza per dare senso al presente. Così Anne Marie Jacquet ritrova simbolicamente padre e madre, contribuisce a ricomporre la bacchetta spezzata a Filipov (che la guarda proprio come un padre) trent'anni prima, e può così raggiungere l'estasi del successo personale.





Questa metafora che Mihaileanu ci propone è forse soltanto una utopia, forse è l'ennesima illusione di un pazzo (come l'intera vicenda di Train de vie; lo stesso Filipov parla del suo concerto come di un "sogno folle") che il finale così spudoratamente enfatico ed ottimista lascia intuire (la stessa perfezione dell'esecuzione degli orchestrali rimasti senza suonare per trent'anni è alquanto inverosimile).



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