venerdì 18 ottobre 2013

A bug's life

A bug's life


Regia: John Lasseter
Prodotto da: Darla K. Anderson Kevin Reher  per la Pixar Animation (Walt Disney )
Sceneggiatura: Andrew Stanton, Donald McEnery, Bob Shaw
Soggetto: John Lasseter, Andrew Stanton, Joe Ranft
Voci: Dave Foley, Kevin Spacey, Julia Louis-Dreyfus,  Hayden Panettiere
Musica: Randy Newman
Montaggio: Lee Unkrich
Distribuito da: Buena Vista Pictures
Anno 1998
Durata: 96'   Origine: Stati Uniti

Ovvero Flik e la filosofia dialettica


La società delle formiche di A bug's life è certamente una summa della società di massa, o meglio di uno stereotipo della società di massa, totalmente votata ad un compito collettivo prestabilito dall'alto. La fila ordinata in cui si muovono le formiche conduce ad una piramide totem che richiama anche a forme arcaiche di organizzazione umana. 



Nel loro impiego quotidiano le formiche sono come i proletari marxisti, gli operai di chapliniana memoria, gli schiavi egizi intenti nella costruzione della piramide (per quanto sappiamo che in quest'ultimo caso proprio di stereotipo trattasi, in quanto la costruzione delle sacre piramidi avveniva su base volontaria attingendo alla stessa popolazione egizia; in questo senso, nel finale, lo sforzo collettivo delle formiche di issare l'uccello meccanico creato da Flik ricorda figurativamente lo stereotipo degli schiavi egizi che spostavano enormi blocchi di pietra).


La loro assoluta incapacità di prendere coscienza della propria condizione è ben evidenziata dall'incapacità di risolvere banali problemi (come quello di evitare una foglia) che richiedano un minimo di iniziativa personale. La stessa regina è vittima di questa aderenza ad un ruolo che è fissato a-priori e non è discutibile. In sostanza la loro vita è dedicata completamente ai padroni: "Per la servitù, inizialmente, l'essenza è il signore" (il filosofo Hegel nella Fenomenologia dello Spirito).


L'arrivo di Flik comporta uno stravolgimento dello status quo e non è un caso che sia proprio il nostro eroe, seppur involontariamente, a distruggere la piramide totem, pronta da offrire alle dominanti cavallette.



Queste ultime incombono sulla povera comunità di formiche come divinità patrigne (tipiche delle civiltà antiche) e il loro arrivo, che peraltro è figurativamente costruito su atmosfere da seconda guerra mondiale con l'analogo arrivo dei bombardieri sulle città e la popolazione che si nascondeva nei bunker sotterranei, non può non ricondursi ad una materializzazione propria di divinità distanti e punitive. Le formiche stanate devono rendere conto della loro inadempienza e alle cavallette non resta che inasprire il compito e la pena di queste schiave. Non vi è altro strumento, nelle mani di chi domina, che quello della violenza e della sopraffazione, ma alla lunga proprio qui starà il limite del dominio delle cavallette.


Flik è lo strumento della provvidenza pronto a condurre le formiche all'autocoscienza, alla affermazione del sé come elemento indispensabile del reale, di contro alle cavallette che, in quanto parassiti, risultano alla fine non indispensabili e dunque superflue e cancellabili. Il finale discorso di Flik sembra uscire dalla bocca di un sindacalista marxista o di un filosofo idealista: Non siamo noi che dipendiamo dalle cavallette, ma sono loro che dipendono da noi formiche ("Nel lavoro, dice Hegel, in cui essa sembrava essere solo un senso estraneo, la coscienza ritrova sé mediante se stessa e diviene senso proprio"). La presa di coscienza è premessa per la liberazione che è passata attraverso la paura iniziale ("...la paura dinanzi al signore costituisce l'inizio della saggezza." dice Hegel), l'angoscia e la disperazione per il possibile annientamento (paura della morte che ad esempio il signore non prova e che è all'origine, per assurdo, della sua debolezza), il lavoro e la conoscenza (il viaggio di Flik è un viaggio di scoperta, di uscita dialettica da un mondo chiuso, ben evidenziato nella sequenza d'inizio del film, di confronto con una realtà altra, che è la realtà degli artisti di circo). 



La scoperta della propria identità, che è sempre e comunque confronto con identità altre (confronto che, ad esempio, le cavallette evitano), diventa consapevolezza della propria forza (le formiche nel finale strette le une alle altre come un popolo di lavoratori in marcia ribaltano la situazione di forza nei confronti delle cavallette).



Le cavallette escono sconfitte, o meglio esce sconfitto un modo di organizzazione sociale chiuso su se stesso, gerarchico e dittatoriale (se vogliamo anche le formiche hanno una regina ma non è certo dispotica come il capo, Hopper, delle cavallette), che impedisce con la forza ogni possibile confronto (emblematica la scena in cui Hopper, nella taverna in stile messicano, dimostra come l'apertura verso le formiche sia un segno di debolezza e metta a rischio l'esistenza della loro comunità) e che dunque impedisce, in sostanza, una vera e propria presa di coscienza collettiva e con essa ogni possibile sviluppo e progresso civile. 




Il capo è la vittima sacrificale e il suo sacrificio, ottenuto dall'eroe Flik, libera non solo le formiche, ma anche le cavallette, finalmente in grado di trovare una dimensione autonoma e felice.


Flik, colui che, citando Buzz Lightyear, aspira all'infinito ed oltre, è il grimaldello che ha permesso la liberazione dalla condizione di asservimento di due intere comunità e come tale sostituisce il capo (come avviene nell'orda primordiale freudiana) arrivando al possesso della principessa Atta. 


Ma chi è Flik? Egli è la genialità (di contro alla alienante ripetitività dei suoi compagni), la non aderenza al clichè, la cellula impazzita, il germe, il batterio incarnato di un sistema che "non prevede l'imprevedibile" e che proprio per questo è destinato ad andare in tilt (ed è inevitabile, ad un certo punto, l'allontanamento di Flik dalla comunità, che non tollera l'indisciplina e la violazione della norma, e la sua punizione per il mancato rispetto della gerarchia costituita). 




Egli è l'inventore leonardiano incompreso ed emarginato che non può trovare ascolto che tra emarginati sgangherati come lui ed altrettanto creativi, come sono gli artisti del circo. E' loro l'idea dell'uccello gigantesco, macchina leonardesca e pacifica per destabilizzare il potere costituito.




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