mercoledì 2 ottobre 2013

Il segreto dei suoi occhi

Il segreto dei suoi occhi 
Regia: Juan Josè Campanella
Argentina 2009
Vincitore del premio Oscar 2010 come miglior film straniero
Cast: Soledad Villamil (Irene), Ricardo Darin (Benjamin), Guillermo Francella, Javier Godino, Pablo Rago
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 127'
Produzione: Canal+Espana
Sceneggiatura: Eduardo Sacheri (autore dell'omonimo romanzo), Juan Josè Campanella
Costumi: Cecilia Monti
Musiche: Federico Jusid, Emilio Kauderer
Fotografia: Felix Monti


Una stazione affollata, l’intenso sguardo di una donna (sono i primi occhi che il film ci svela, ma altri sguardi saranno scandagliati, evidenziati, al punto che sarà difficile poter attribuire ad un unico sguardo la paternità del segreto del titolo; di quali occhi parliamo, di quelli di Irene, di Isidoro, di Benjamin, di Ricardo?), un uomo che si allontana con la propria valigia, una musica romantica, la fotografia ricercata (con un effetto acquarello combinato con il ralenty); uno struggente addio che potrebbe alludere al finale di una storia melò; così si apre la storia raccontata da Campanella nel suo bellissimo Il segreto dei suoi occhi. Potrebbe essere l’introduzione  ad una fiammeggiante trama alla Douglas Sirk, ma in realtà ben presto ogni premessa si sfalda. 



Quelle immagini sono la visualizzazione delle pagine di un romanzo che il protagonista (Benjamin Esposito) sta scrivendo e che derivano direttamente dal suo travagliato passato. Catturare la bellezza di un attimo di passione, incastonarla nelle pagine di un romanzo (e per metafora, nella stampa di una fotografia o nei fotogrammi di un film) sembra opera proibitiva o forse solamente inutile. Così quelle pagine sono strappate da Benjamin quasi che non esprimessero compiutamente quanto andava ricercando, come le note di una partitura letteraria che non lo convincono. 


Troppa poesia (lo dirà la donna dello sguardo, Irene, più avanti nel corso del film), troppo sentimentalismo, lo scrittore non è soddisfatto e il film, con lui, ci dischiude un dubbio che ci porteremo fino alla fine: quello a cui stiamo per assistere è solo il frutto della penna del protagonista? Il finale può essere letto come, non solo il finale del film, ma anche come quello del romanzo che Benjamin andava scrivendo? Certo, fin da subito, il film ci svela i suoi aspetti tematici più importanti, ovverossia la sua potente riflessione sul rapporto tra arte, bellezza e realtà, tra ragione e fantasia, ragione e passione.


La dolcezza dell’incipit, ulteriormente prolungata nei dettagli di intimità di una giovane coppia che di nuovo lo scrittore prima descrive e poi cancella dalla sua “partitura”, è subito contrappuntata dalle crude immagini di una violenza (questa volta solo ricordata da Benjamin), che evoca  l’episodio attorno a cui ruoterà l’intera trama del film. Una giovane ragazza vittima nel 1974 (l’anno che precede l’avvento della dittatura militare in Argentina, e anche l’aspetto storico non va sottovalutato) della bestialità di un bruto. Iniziamo a mettere insieme i primi tasselli: l’eccesso di poesia, di romanticismo (il dolce sorriso della ragazza, Liliana, la marmellata che assapora il fidanzato, Ricardo, frutto solo forse della fantasia romantica di Benjamin, mal si coniugano con la violenza della realtà che quel quadro ha irrimediabilmente distrutto) non sembrano poter risultare i registri giusti con cui raccontare quanto avvenuto (gli effetti sonori della sveglia e del traffico sono altrettanti richiami alla realtà)
Benjamin, ormai in pensione, cerca di riordinare il bandolo di una vicenda che con il romanzo ha riesumato, ma che evidentemente lo conduce oltre la semplice esigenza di rievocazione. Quel romanzo che, appena abbozzato, mostra alla ritrovata Irene, è una sorta di confessione che l’uomo fa a se stesso nel tentativo di sciogliere non soltanto i nodi di un caso giudiziario, che a distanza di anni ancora era irrisolto, ma anche quelli personali di una vita trascorsa e che sembra voler presentare il conto (“Di inizi ne ricordo parecchi, ammette Benjamin, ma dubito che abbiano a che fare con la storia”).



Una macchina da scrivere diventa l’oggetto, offerto da Irene, per poter meglio lavorare su questo percorso di revisione interiore cui Benjamin ha deciso di sottoporsi, ma è lei stessa, fondamentalmente, la chiave attorno a cui ruotano le emozioni non risolte del protagonista. 


Così il colore rosso è lì ad evidenziare una passione, ora probabilmente sopita, ma un tempo forte ed intensa come tutte le passioni giovanili. Il fiore sul tavolo di Irene nel presente, il cappello e il vestito della prima apparizione di Irene  di fronte a Benjamin, nel flashback che si apre e che ci riporta indietro di venti anni al 1974, l’anno dell’omicidio della giovane Liliana (ma anche anno in cui Benjamin vede fiorire la sua passione per la nuova collega), sono gli indizi cromatici che ritroveremo associati alla figura di Irene ( e, come vedremo, in generale  al motivo della passione).



Benjamin cammina lungo le colonne del palazzo in cui lavora ed accenna, alle donne che incontra, ad una porta del cielo che sta per aprirsi... La sua porta del cielo è quella della stanza di Irene, allora avvocatessa in carriera, di cui è perdutamente innamorato, troppo presa dagli obiettivi della propria esistenza per potersi occupare di lui. Le porte sono le occasioni che Benjamin ha avuto, quelle porte che apre e che poi non riesce a chiudere.
Benjamin, una volta sul luogo del delitto  (la stanza della ragazza uccisa ha i colori accesi, come l’arancione, ed è un luogo che trasuda passione e amore e che è stato violato, come un tempio sacro, dalla barbarie della violenza umana), di fronte al corpo martoriato della giovane Liliana Colostro ha un moto, un sussulto. Non è probabilmente la prima volta che si trova sulla scena di un delitto, ma in quel corpo egli vede un oltraggio alla stessa bellezza, una violenza che rompe l’incanto di una vita che sembrava incarnare un ideale più alto e profondo (le foto sul comodino sono lì a ricordarlo).



Benjamin scrive tutto questo e riflette sul futuro che avrebbe atteso Ricardo Morales, ma una caffettiera fischia, la lettera A della macchina da scrivere non funziona, la realtà disturba quel flusso interiore che si fa narrativo e richiama il protagonista alla realtà che sembra non volerne sapere di rispettare questo sforzo di ricostruzione e ricerca .
La parte centrale del film si dipana con le caratteristiche di un poliziesco, con il detective e il suo aiutante (Pablo Sandoval, una sorta di giullare che  della realtà vede e vive il lato più comico e grottesco, ma che è anche la voce della verità), le false piste poi svelate, le ricerche e le indagini (talvolta maldestre) e la soluzione finale con la scoperta del colpevole. Nelle indagini Benjamin conosce Ricardo Morales, il compagno di Liliana e lentamente si trova a condividere con lui una sensazione di vuoto per una passione che sembra essersi perduta nei meandri della vita (l’una interrotta drammaticamente, quella di Ricardo, l’altra mai realizzata, quella di Benjamin per Irene).


Così entrambi i personaggi sono spesso inquadrati tra oggetti che li incastonano, porte che li limitano, attraverso spazi che si fanno angusti e ristretti come se si evidenziasse la loro angusta prospettiva di vita e un senso di soffocamento esistenziale. 




Ma entrambi non rinunciano a cercare, l’uno la vendetta, l’altro una risposta definitiva e così sono destinati a incontrarsi di nuovo a condividere l’idea di una passione che è destinata a non venir meno. Entrambi, come dice Benjamin, sono accomunati dal destino di una passione che non è stata logorata dal tarlo del quotidiano (l’illusione del romanzo e della foto come capaci di cristallizzare ed eternare quegli attimi) e che dunque si è potuta mantenere viva e accesa
Ma un altro grande tema del film si dipana con le scene dedicate alle indagini: la riflessione sullo sguardo, su quel segreto che il titolo stesso indaga. E allora allo sguardo di Benjamin e di Irene se ne aggiungono altri, in particolare quello di Isidoro, il colpevole, che attira l’attenzione di Benjamin che lo coglie con uno sguardo particolare in una foto mostratagli da Ricardo. Perché Benjamin è attratto da quello sguardo? Semplice, perché in esso egli ha visto la stessa passione che in prima persona egli prova per Irene, ha visto accesa la stessa fiamma che lo divora, Isidoro è un altro Benjamin che non sa rinunciare a ciò che lo ossessiona.


E’ chiaro, poi, che l’ossessione di Isidoro diventa perversa e si trasforma, nel suo inappagamento, in violenza e morte, in Benjamin si sublima nella sua inquieta ma pacifica ispirazione artistica (nella stesura del romanzo). Benjamin poi, parlando con Irene (una Irene il cui sguardo è fermo e deciso come quello di chi ha trovato nella realtà un approdo fermo al bisogno di bellezza, con la sua scelta di un matrimonio conformista ma sicuro)  riflette sulla purezza dello sguardo pieno di amore di Ricardo e sulla sua persistenza nel tempo, immune come sarà, suo malgrado, dal logorio del quotidiano (di nuovo la realtà che in contrapposizione all’ideale).
La bellezza è passione e come un vortice avvolge e conduce l’uomo. Pablo ricorda a Benjamin, che in questo modo è condotto alla soluzione del caso, come ogni essere umano possa rinunciare a qualsiasi cosa tranne che alla propria passione. La sequenza che si apre sulle parole e sullo sguardo di Pablo è vorticosa proprio come la passione che va evocando. Con un piano sequenza straordinario, Pablo ci conduce per mano dentro quel vortice che, nel caso specifico, è la passione di Isidoro per il calcio.





La scena dell’interrogatorio di Isidoro, l’intrusione di Irene, la scandalosa provocazione di lui sono la cerniera per la seconda parte del film che vede nella vicenda l’irruzione della Storia di quegli anni, dell’Argentina dei militari (quell’Argentina che non si insegna ad Harward come ricorda l’ispettore ad Irene) e della loro ascesa al potere (Isidoro e la sua liberazione diventano il simbolo di un potere che ha fatto uso della violenza, che ha soffocato la vitalità di un popolo, che ha letteralmente privato una nazione delle sue migliori energie). Isidoro è una spia del governo, è il lato oscuro con cui Benjamin deve confrontarsi, la pulsione di morte che si cela dietro il desiderio inappagato.  Qui è la realtà storica che subentra  (1974, anno nel quale Isabela Peron prende il potere e segna il lento passaggio alla dittatura militare che si svelerà in pieno due anni dopo) , violenta quanto lo stupro di Isidoro, una realtà che spazza via il giullare Pablo (vittima sacrificale perché anello debole della catena; la sua morte è di nuovo raccontata tra le righe del romanzo e Benjamin la vuole come il sacrificio di un amico, estremo, bello, importante) e ogni illusione giovanile di Benjamin e Irene. Ecco tornare la scena dell’inizio (Benjamin se ne deve andare per salvarsi dalla vendetta di Isidoro), senza più le sfumature acquarellate e romanzesche frutto diretto della fantasia dello scrittore Benjamin.


Realtà e fantasia si fondono e qui si risolvono (di nuovo scopriamo che la scena è letta nel romanzo e Irene si lascia scappare una affermazione emblematica - “che finale orrendo per un romanzo!” – finale troppo realistico, pessimistico e dunque esatto ed indigeribile, contrario di quello eccessivamente romantico del primo finale ). Ma la vita è un flusso che sembra non esaurire mai tanto le illusioni quanto il loro possibile svanire e così se una fiammella rimane accesa (quel fiore sulla scrivania di Irene) essa è destinata a riaccendersi. Così passano venti anni e ciò che è rimasto sotto la cenere si riaccende, agli occhi di Benjamin, tra le pareti di una fattoria in cui Isidoro si è rinchiuso. Negli interni di questa, di nuovo ritroviamo il rosso (il televisore, la tenda) che è l’indizio che la passione di Morales non si è spenta. Non si è spenta, ma certo è mutata e il finale la svela: la vendetta, nella sua metodica e quotidiana violenza tiene in vita Morales, è il carburante della sua non sopita passione.


Benjamin che aveva ammesso che per 20 anni si era distratto, che aveva accettato la massima che “gli occhi parlano e dicono fesserie, a volte è meglio non guardare”, questo Benjamin si risveglia e decide di guardare là dove non aveva mai osato guardare (il temo del foglietto, monco di una A che mancava nella macchina da scrivere, diventa te amo), oltre il segreto degli sguardi e decide di guardare in faccia la vita (di chiudere finalmente dietro di sé la porta); forse è tardi, forse è soltanto il finale del suo romanzo…



Come Benjamin nel romanzo, Campanella tesse una tela raffinata e romantica descrivendo una realtà violenta e disgregante ma non arrendendosi a questa , bensì opponendo la sua indomita fiducia nella possibilità di inseguire il barlume di una luce di bellezza. Il cinema è il suo strumento passionale che può impressionare e “imprigionare” su pellicola gli istanti carichi di bellezza che nella realtà sfuggono (come la fotografia fa con il sorriso di Liliana salvato dal “logorio del quotidiano”), e sappiamo che possiamo rinunciare a tutto tranne che alla passione…






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