venerdì 22 novembre 2013

The queen

The Queen


Regia: Stephen Frears
Gran Bretagna 2006
Prodotto da: Andy Harries, Christine Langan, Tracey Seaward, Francois Ivernel
Sceneggiatura: Peter Morgan
Cast: Helen Mirren (Elisabetta), Michael Sheen (Tony Blair), James Cromwell, Helen McCrory, Alex Jennings, Roger Allam, Sylvia Syms
Musica: Alexandre Desplat
Montaggio: Lucia Zucchetti
BIM Distribuzione,
Produzione: Pathé Renn Production, France 3 Cinéma, Canal+
Durata: 97'

"Inquieto giace il capo che porta la corona"

"Son già troppe le buone vecchie cose che questo paese va perdendo"


Tony Blair è stato appena eletto, una folla festante accoglie la notizia amplificata dai media inglesi; eppure qualcuno non è coinvolto in quel tripudio di entusiasmo che avvolge un'intera nazione. Chi è? E' una arzilla signora, non più giovane, che è immobile su di un piedistallo, come statua vivente fuori dalla storia: è la regina Elisabetta II, la donna che quel regno guida  e che guarda con fredda indifferenza verso la mdp e gli spettatori, fedele al proprio ruolo di imparziale giudice delle vicende nazionali (intanto Blair è padrone dei media e lo vediamo nelle immagini di un notiziario televisivo).




Quel 2 maggio 1997 non è però un giorno come gli altri e la regina viene letteralmente risvegliata, non solo ai suoi obblighi istituzionali, ma anche ad una presa di coscienza di una realtà che sta cambiando, suo malgrado. Blair deve imparare l'etichetta per incontrarla, ma forse è proprio la regina che avrà da imparare di più da questo evento (in questo primo incontro ufficiale, il primo ministro è ingabbiato in una procedura cerimoniale molto stretta e gli ambienti paiono esageratamente grandi anche per accentuare il suo senso di disagio ed imbarazzo, nonché la distanza che ancora c'è tra lui e la regina).





Il 30 agosto 1997 un evento, ben più tragico, cambia ulteriormente la carte in tavola della politica inglese. Lady Diana muore in un incidente stradale, i media la assediano fino al momento fatale e forse ne provocano accidentalmente la morte, lei disperatamente cerca di coprire gli obbiettivi che la filmano con le proprie mani ma è una lotta persa.




Un nuovo risveglio attende la regina, ancora più brusco e questa volta la sua glaciale indifferenza viene messa a dura prova. Il privato dolore si mescola a quello pubblico che con la sua invadenza e forza spiazza la famiglia reale. La musica dei Queen, dedicata alla memoria di Diana, entra, tramite la radio, nella stanza dei figli di Lady Diana. Elisabetta, toccata nella dimensione sacrale del suo intimo privato spegne la radio, ma è un gesto che non può salvarla dall'onda emotiva che ha colpito l'intero Regno Unito (la vediamo ostinatamente scrivere sul proprio diario mentre immagini di cordoglio nazionale, trasmesse dalle tv, si alternano con cinica precisione).



Blair, che è la modernità, il nuovo che avanza, ha colto l'evento in tutta la sua portata e detta il discorso di commiato dalla principessa indossando, al telefono, la maglietta del Newcastle. Vorrebbe e dovrebbe parlare anche con la regina ma ci sono problemi di linea, di sintonia e Tony attende in linea con la sua maglietta sportiva (la difficoltà di entrare in comunicazione con il mondo di Elisabetta). Elisabetta deve muoversi per parlare con il primo ministro ed attraversa un corridoio pieno di trofei di caccia, teste di cervi imbalsamate come imbalsamata sembra essere la famiglia reale al completo.






I due mondi, quello informale e vorticoso del primo ministro e quello algido, ordinato ed ingessato della regina, sono destinati inevitabilmente ad incrociarsi e scontrarsi. La regina rimane sulla difensiva preferendo il silenzio e la riservatezza che le vengono da una educazione privata e politica che sembrano però destinarla ad una inevitabile catastrofe mediatica. Proprio sugli schermi tv, in uno stridente contrasto con l'invisibilità scelta dalla famiglia reale, compaiono i volti dei nuovi eroi viventi come Blair e di coloro che sono pronti a diventare mitici come quello di Diana. I collaboratori della regina si commuovono di fronte alla tv; la macchina da presa di Frears si ferma un attimo prima di entrare nel morboso gioco del dolore esibito e resta fuori dalla camera ardente in cui giace Diana.




La residenza di Balmoral, nella sua statica imponenza, si dimostra una dimora fuori dal tempo, come è fuori dal tempo la famiglia che la abita in quei frangenti così drammatici; famiglia che è spettatrice spettralmente immobile di fronte al flusso emotivo che ha scatenato la morte di Diana e che la trasmissione televisiva ininterrotta ha amplificato (perfino il cambio della guardia a Buckingham Palace, il simbolo della sacralità della tradizione, è impedito dall'enorme quantità di fiori ammassati in ricordo della principessa). In modo ingenuo Carlo si chiede perchè loro siano così odiati, mentre la mediatica Diana continua, seppur morta, a profondere le proprie parole dagli schermi televisivi: "Mi piacerebbe, dice, essere regina di cuori nel cuore della gente".



Una visione aerea ci conduce alla campagna intorno a Balmoral. Il principe Carlo è a caccia, una caccia che si chiude senza trofei; "Il cervo non si è fatto prendere" esclama amaramente Carlo e il sospetto che quel cervo sia il correlativo di Diana è legittimo.


I due piani, quello pubblico e quello privato continuano a correre come su due binari paralleli e vediamo i media pronti ormai a divorare la regina, colpevole di indifferenza e cinismo (non fa abbassare la bandiera di Buckingham in segno di lutto, ma questo, secondo la sua difesa, andrebbe contro una tradizione plurisecolare). Tradizione e modernità, dinamismo e staticità si confrontano e Blair sembra essere l'arbitro designato a risolvere la questione.
E proprio di Blair, Frears inizia più dettagliatamente ad occuparsi. Si entra nella sua vita privata, nel rapporto con la moglie che lo rimprovera di avere una immotivata soggezione della regina, dettata da un inconfessato complesso edipico che attanaglia l'intero popolo inglese. La grande madre è nel suo eremo, distante ed inarrivabile, ma Blair ha l'onere e il dovere di chiamarla in causa. Il loro primo vero scontro si risolve in uno scacco per il primo ministro. La sua volontà di vedere la regina a Londra cozza  contro le motivazioni di quest'ultima che difende il senso del proprio contegno e della propria dignità come un fortino assediato.


Eccoci alla scena chiave. la regina è con le spalle al muro. I media sono sempre più spietati nei suoi confronti e lei si perde nella campagna della sua residenza fuori dal mondo. La sua jeep si blocca, è in panne in balia degli eventi ed ecco comparire di fronte a lei il cervo che il figlio invano aveva inseguito. "Come sei bello" si lascia sfuggire la regina che piange. Ora il cervo, superbo e solitario, è lei, e come lei è braccato; uno sparo lo fa scappare e lei lo incita a fuggire, a mettersi in salvo da coloro che vogliono farne una facile preda.




Blair sembra entrare sempre più nel mondo privato della regina in un colloquio telefonico che Elisabetta conduce in un ambiente informale come quello di una cucina, di fronte a gigantesche verdure. La regina sta ormai cedendo il suo regale contegno, ammette di non capire il suo popolo e Blair si dimostra quel figlio attento e scaltro che forse non ha mai avuto in casa. Il primo ministro è dalla sua parte, il cervo sta ormai per capitolare.



Mentre la regina sta per uscire dal suo ritiro dorato e per gettarsi in pasto alla folla di Londra andando incontro al suo destino istituzionale e presenziando al funerale della principessa, il cervo viene ucciso e con esso, forse, muore un mondo aristocratico e troppo superbamente ancorato ad una tradizione che sembra essere decisamente fuori tempo massimo (il simbolo di un'Inghilterra che non c'è più, non casualmente, è stato ucciso, uscendo incautamente fuori dal parco della dimora, proprio come la regina, da un banchiere di Londra!!!).


Ecco finalmente che Elisabetta è dentro i media al pari di Blair e della principessa Diana (la vediamo letteralmente inglobata dentro quattro monitor contemporaneamente), è il contrappasso che deve subire, il passaggio per una gogna mediatica che ora la chiama in causa anche in modo cinico (il suo pianto di fronte a certi biglietti offensivi è emblematico), ma i fiori offerti da una bambina segnano la simbolica riconciliazione tra Elisabetta e il suo popolo.





Blair commenta il discorso televisivo della regina, un discorso che la salva ("E' così che si sopravvive" esclama il primo ministro) ed ai funerali la guarda con l'ammirazione di un figlio per la madre e il compiacimento per aver contribuito alla salvezza di una istituzione e di un mito (per quanto all'applauso di tutti i convenuti per l'addio a Diana, non partecipi la regina che si mantiene in un composto distacco).


Il finale incontro di Elisabetta con Blair chiude il cerchio apertosi con l'iniziale faccia a faccia tra la regina e il nuovo primo ministro. Sembra un colloquio tra due personaggi che hanno affrontato le scale della notorietà e del gradimento popolare in senso inverso, l'uno salendole, l'altra scendendole, ma la regina appare meno sconfitta di quanto si potesse supporre (e Blair si aspetterebbe una attestazione evidente di riconoscenza che in realtà non arriva), disorientata da quanto il circo mediatico ha scatenato intorno a lei, ma fondamentalmente fedele a quei principi che le hanno consentito di sopravvivere per più di mezzo secolo in quella regale ma scomoda posizione (in fondo il giardino in cui i due amabilmente parlano è intatto ed integro come se il tempo si fosse fermato secoli addietro).



Elisabetta conclude: "La gente oggi vuole glamour e lacrime ma i miei sentimenti io li tengo dentro" in difesa di una dignità che Blair-Frears non troppo velatamente ammirano come figli orgogliosi della propria madre.


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