lunedì 11 novembre 2013

Departures

Departures


Regia:  Yōjirō Takita
Produzione:   Yasuhiro Mase (Giappone)
Sceneggiatura: Kundo Koyama
Cast:    Masahiro Motoki   Ryōko Hirosue   Tsutomu Yamazaki   Kimiko Yo   Kazuko Yoshiyuki   Takashi Sasano
Musica:   Joe Hisaishi
Montaggio:   Akimasa Kawashima
Distribuzione:  Shochiku (Giappone)
Durata:  130 minuti

Departures, partenze (nell'originale giapponese ancora più esplicito Okuribito cioè Decessi), è il film vincitore del premio Oscar come miglior film straniero del 2009, prevalendo su titoli ben più conosciuti come Valzer con bashir, Kathyn e La classe. La sorpresa è relativa se ci si lascia coinvolgere dalle atmosfere di questo dramma con venature poetiche messo in scena da Yojiro Takita e che in Giappone ha incassato qualcosa come 60 milioni di dollari (splendide le musiche di Joe Hisaishi, il grande compositore delle musiche dei film di Mijazaki e Kitano).


Le partenze cui allude il titolo sono le dipartite, i viaggi ultimi e definitivi di coloro che muoiono e che vengono affidati per questi commiati dal mondo dei vivi alle mani esperte e delicate di professionisti della composizione mortuaria dei defunti. Daigo Kobayashi è il protagonista della storia, il tanatoesteta, che abbraccia la professione, così poco ambita, non certo per una cosciente ispirazione o talento, ma per la stretta necessità impostagli dalle avverse condizioni di vita. Eppure quel lavoro lo intraprende con passione e capacità e scopre dentro sé un talento fin lì rimosso.


Il film si apre sui fari accesi di una automobile che si muove nella nebbia. La bianca nebbia allude al trapasso indefinito verso l'aldilà (il bianco è il colore del lutto nella tradizione giapponese), al motivo cioè che aleggia su tutto il film. Una voce off ci carezza e ci dice: "Quando ero bambino gli inverni non erano così freddi" (l'allusione, capiremo nel corso del film, è ad un freddo esistenziale che circonda il protagonista). Daigo è dentro quella automobile e sta per recarsi ad uno dei suoi riti di composizione dei defunti. 



E' una flash forward nel quale vediamo Daigo prendersi cura del corpo di un defunto che si rivela, sorprendentemente e contro le apparenze, quello di  un uomo che si è suicidato per il fatto di non aver accettato la sua ambigua sessualità (un uomo che si sentiva donna come deve essere truccato per il trapasso?). Per metafora, in fondo la storia di Daigo è proprio questa: la storia di un uomo che fatica ad accettare il proprio destino e la propria identità, soffocato dalle convenzioni sociali e dai pregiudizi e che si sente in colpa per la professione che svolge. Ma Daigo non si fa sconfiggere dal mondo, non abbraccia la morte come soluzione, bensì la morte la accarezza, la sfiora nei corpi che manipola, ma finisce per sconfiggerla nella sua affermazione di sè attraverso l'arte del tanatoestetismo.


Proprio quell'arte che Daigo conosce, perchè orchestrale e musicista, e che dunque è nel suo cuore come una risorsa preziosa da difendere. La fine dell'orchestra (che suona beffardamente L'Inno alla gioia di Beethoven, in stridente contrasto con il precedente rito funebre e con l'imminente disfacimento della stessa) di cui fa parte, è per il protagonista un colpo alle aspirazioni e all'autostima e qui si innesca un tema tipico di certa cultura giapponese (e di certo cinema) e cioè il tema del perdente che non accetta la sconfitta e ricostruisce con tutte le forze una identità svanita o decomposta (pensiamo agli eroi di molti cartoni animati nipponici che superano prove di ogni genere per difendere il proprio io dall'annientamento). Lo stesso Daigo parla di se stesso come di un perdente, di un uomo che ha visto infrangere i propri sogni e ha compreso improvvisamente i limiti del proprio talento (incapace, per questo, anche di fare del bene, come salvare la vita ad un polpo che Daigo rigetta in acqua, ma ormai morto).





Ecco allora il primo dei viaggi, quello intrapreso da Daigo alla ricerca di una nuova identità e il viaggio diventa un percorso a ritroso verso i luoghi d'origine, un abbandono della realtà metropolitana verso la provincia dimessa e anonima del Giappone, quella provincia da cui Daigo è partito tanti anni prima. Potrebbe essere l'ammissione di uno scacco, di una sconfitta, diventa in realtà l'occasione per una rinascita che avviene, per assurdo, attrverso e grazie alla morte, propria (in senso simbolico) e altrui (in senso fisico).



La rinascita di Daigo (visualizzata da quel cactus che fiorisce) è un percorso lungo e faticoso, 


un percorso che lo conduce all'imbarazzo, alla diffidenza e all'umiliazione, tanto è vero che i primi passi nella necrocosmetica il giovane li compie in un ambiente stretto, opprimente e lo vediamo inquadrato tra i bordi di una bara o le verdi pareti di una stretta scalinata o tra due legni che lo incorniciano dopo la sua performance da finto cadavere necessaria per la realizzazione di uno spot sul tantoestetismo. 



Daigo è come morto, ma dà segni di vita (le sue smorfie mentre lo stanno truccando), metaforicamente vuole continuare a sperare, non accetta la morte dello spirito.




La sua reazione vitale (giunge a casa e puzza di morto) si materializza nell'amplesso sessuale con la fidanzata che avviene subito dopo che un pollo impiattatogli di fronte aveva provocato in lui una reazione di nausea.




Ma Daigo ha anche un'altra battaglia da affrontare, quella dei sensi di colpa che lo affliggono e lo assillano. Nel suo passato si nasconde il rimorso per non aver potuto assistere la madre in punto di morte e il rimpianto per un padre di cui ha un vago ricordo (l'immagine del padre è sfuocata nel ricordo del giovane, sembra nascondersi come il sasso dentro lo spartito, sasso che riapre le porte del ricordo) e così quella sua nuova passione per il tanatoestetismo diventa una sorta di catarsi purificatrice e riparatrice di quella colpa originaria.


Così cominciano ad emergere anche le immagini sfuocate del padre e il suo suonare il violoncello diventa un modo per non lasciarsi sopraffare dai ricordi (o forse anche per renderli più dolci; ben presto veniamo a sapere che la musica classica era la grande passione del padre di Daigo e dunque essa si connota come una vera e propria eredità morale e spirituale).



La natura, ancora una volta, offre un correlativo oggettivo alle sensazioni che attanagliano il protagonista. Gli aironi in volo sono i suoi stessi pensieri che la mente libera, come a rimuovere dei fantasmi, i salmoni che risalgono la corrente per tornare al luogo da cui sono partiti (per andare a morire) rappresentano lo stesso Daigo che è ritornato da Tokyo al paese natale come in un percorso a ritroso (ma nel suo caso per tornare a vivere, per risorgere a nuova vita), percorso che è simile a quello dei suoi ricordi che riaffiorano.




Questa parentesi lirica e poetica è interrotta dal suono di un clacson, ma Daigo ha colto l'essenza del suo essere di nuovo al punto di partenza. Così la bellezza che ha toccato nella sua musica la può ritrovare nella sua nuova arte che si prefigge di restituire lucentezza e quindi vita ai volti pallidi e inespressivi dei morti.
Il bagno che Daigo torna a frequentare, era il luogo del dolore dove da bambino egli piangeva; di nuovo il ricordo che circonda il protagonista come la neve e il buio che circondano le case, ora luoghi caldi come il thè che la fidanzata offre al giovane protagonista.




L'umiliazione si materializza per Daigo in una sorta di resa dei conti con quanti lo circondano: l'amico lo incalza chiedendosi se non si vergogna del lavoro che fa, la moglie (che si sente ingannata per le bugie con le quali Daigo ha nascosto la sua nuova attività) addirittura lo lascia, uno dei parenti (la madre) di un defunto che Daigo cura si accoda al coro di coloro che disprezzano una attività che lucra sulla morte.




Il protagonista vacilla, ma ecco l'incontro con il datore di lavoro, in un ambiente pieno di bare, ma anche di piante vive, verdi. E proprio di questo contrasto vita-morte parla l'anziano al giovane. "Gli esseri vivi mangiano i morti per sopravvivere" gli dice di fronte ad un piatto di pesce. E' una verità banale ma illuminante; tutti gli uomini sopravvivono sulla morte di altre creature, Daigo con il suo lavoro non infrange alcuna regola sociale o naturale, deve semplicemente chiarire a se stesso il senso del suo esistere e del suo persistere in quel tipo di vita. Per Daigo si avvia così la discesa verso la presa di coscienza del proprio stare al mondo, verso la rimozione dei sensi di colpa e il recupero di una identità che affiora proprio attraverso la nuova arte che ha intrapreso. 




Eccoci dunque che si torna al punto di partenza del film, a quella ragazza dentro un corpo di ragazzo che può finalmente essere truccata secondo la vera essenza della sua interiorità; allo stesso modo Daigo può finalmente mostrare il proprio volto sereno ed orgoglioso, il suo lavoro è un'arte, la sua arte, la sua vita, lo strumento attraverso cui realizzarsi. Il Natale, la nuova nascita, è solitario, ma sereno per Daigo che suona il motivo che lo legava al padre. 


Daigo sta sciogliendo ormai i nodi della sua vita come la neve che circonda quel mondo si sta sciogliendo per l'imminente primavera (per quanto il fuoco della distruzione incomba sugli aironi e su quel mondo in una bellissima dissolvenza che raccoglie in immagini questa minaccia). 



Il giovane suona il violoncello con la stessa passione con cui abbellisce i volti dei defunti. Il suo ritrovato equilibrio interiore è rafforzato dal ritorno della moglie (che ora lo accetta completamente, tanto che lo aiuta in uno dei suoi riti) e dalla prossima nascita di un figlio. 


Resta soltanto una cosa da fare: risolvere l'ultimo nodo della sua esistenza, rimuovere il sasso (letteralmente) che ha nel cuore del suo non risolto commiato dal padre. E il padre improvvisamente si materializza, è morto in attesa di essere sepolto e salutato per l'ultima volta. Daigo ritrova dunque il padre, se ne prende cura, lo trucca con tutta la sua arte e scopre che l'uomo ha con sé il sasso, simbolo del suo mai dimenticato rapporto con il figlio abbandonato prematuramente. 




Ora il cerchio si può chiudere (la moglie con orgoglio dice che il marito è un tanatoesteta): Daigo ha dato un senso alla propria esistenza, ha risolto i fantasmi della propria infanzia (l'immagine del padre del ricordo è finalmente messa a fuoco, mentre in precedenza era avvenuta la simbolica  chiusura del luogo del dolore che erano i bagni pubblici) e può ora, a sua volta, offrire al figlio nascituro quel sasso, per trasmettergli, come il primo mattone di un nuovo edificio, lo slancio vitale e augurargli di costruire il suo sogno di vita.



I titoli di coda scorrono su una ennesima rappresentazione di necrocosmetica come se Daigo offrisse lo spettacolo da un palco di teatro: è la sua opera, la sua arte, la sua vita.


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