lunedì 25 novembre 2013

La passione di Giovanna d'Arco

La passione di Giovanna d'Arco


Regia: Carl Theodor Dreyer
Titolo originale La passion de Jeanne d'Arc
Paese di produzione: Francia
Anno: 1928
Durata: 110 min (versione originale restaurata del 1985);  85 min (versione del 1952)
Colore B/N          Audio: muto
Genere drammatico, storico
Regia: Carl Theodor Dreyer    Soggetto: Joseph Delteil   Fotografia: Rudolph Maté   Montaggio: Marguerite Beaugé, Carl Theodor Dreyer   Musiche:  Richard Einhorn, Ole Schmidt   Scenografia: Hermann Warm, Jean Hugo    Costumi: Valentine Hugo
Interpreti e personaggi:   Renée Falconetti: Giovanna d'Arco   Eugène Silvain: Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais   Maurice Schutz: Nicolas Loyseleur, giudice   Antonin Artaud: Jean Massieu   André Berley: Jean d'Estivet, pubblico accusatore   Jean d'Yd: Guillaume Evrard   Louis Ravet: Jean Beaupère   Michel Simon: Jean Lemaitre

Uno dei capolavori assoluti della storia del cinema, merita un approfondimento particolare; 
Il film fu realizzato nel 1927 e non ebbe un gran successo commerciale, venendo poi rivalutato con il tempo. Il negativo originale andò distrutto in un incendio dei laboratori  in cui era custodito, nel 1928, tanto che da allora iniziarono a circolare diverse versioni del film più o meno fedeli all'originale. Una versione di G.M. Lo Duca, del 1952, si componeva addirittura di una nuova colonna sonora molto poco fedele allo spirito dell'originale. Una copia del negativo andato distrutto fu ritrovata nel 1981 in un manicomio norvegese e ciò ha permesso di rimettere mano al film realizzando una versione che è quella che è poi circolata in vhs e dvd.


Carl Theodor Dreyer lavorò per più di un anno alla realizzazione del film basandosi sui documenti del processo della santa (ricevendo la collaborazione alla sceneggiatura di Joseph Delteil che aveva lavorato alla biografia di Giovanna), ma ritoccandone profondamente la scansione temporale. Il processo, nella sua realtà storica, si svolse nell'arco di un anno nella città di Rouen, capitale dei possessi inglesi in Francia, articolandosi in 29 interrogatori; Dreyer concentra la vicenda in un solo giorno, l'ultimo del processo reale, ovvero il 30 maggio 1431, mostrandoci un'unica udienza che precede di poco l'esecuzione della giovane. In questo modo il regista danese ci offre una narrazione di tipo quasi teatrale con una adesione pressoché totale alle unità aristoteliche di tempo e spazio. Mancano del tutto i flashback che ci riconducono alle radici e alle ragioni del processo, per far si che la vicenda si svolga come un'unico, intenso conflitto psicologico tra carcerieri e vittima, carico di sensazioni ed emozioni.


L'uso intensivo dei primi piani, secondo un canone estetico all'epoca rivoluzionario, aveva molteplici implicazioni: in primo luogo si esalta la componente psicologica dei personaggi, in secondo luogo si accentua la partecipazione emotiva dello spettatore. Potente diventa il contrasto tra il cinismo dei giudici cospiranti, dietro l'ipocrita compassione di facciata, e l'innocenza solitaria della giovane ragazza. La scenografia mescola componenti moderne ad altre più storicamente giustificate, ma l'ossessivo uso del primo piano contribuisce a destoricizzare la vicenda proiettandola in una dimensione metafisica e senza tempo.


Due sono le situazioni chiave attorno a cui ruota la vicenda: la confessione di eresia, dettata dalla paura e la successiva abiura, volta alla salvezza dell'anima, che porterà l'eroina al rogo. 
Il titolo allude al tema portante della vicenda, ovvero della necessità della sofferenza come un passaggio decisivo per la liberazione dell'individuo, liberazione spirituale, non certo materiale, che proietta la vicenda di Giovanna in una sorta di riproposizione moderna della passione del Cristo. 


Ma se desacralizziamo la figura della protagonista, abbiamo di fronte un personaggio profondamente tormentato, la cui fede e vicinanza con Dio risultano incomunicabili e distanti da coloro che la circondano, facendone una vittima innocente dello spietato cinismo dei giudici, "umani troppo umani", che ha di fronte, simbolo di una oppressione delle istituzioni, in questo caso ecclesiastiche, ma non solo, nei confronti dell'individuo (le uniformi inglesi risultano sinistramente simili a quelle fasciste; non solo, ma la croce di Lorena, regione di provenienza di Giovanna, verrà usata dai francesi come simbolo di resistenza contro l'oppressore nazista).


Straordinaria l'interpretazione di Reneè Falconetti che si prestò ad un vero e proprio tour de force attoriale che la mise a dura prova psicologicamente.

Questo nel dettaglio il dipanarsi del film in una delle versioni successive al ritrovamento del negativo del 1981:
Aula del tribunale: Pierre Cauchon e Lemaitre, i più accaniti accusatori della giovane eroina, sono di fronte a Giovanna la cui fragilità è accentuata dal suo essere senza corazza militare. La carrellata dietro le sagome dei frati inquisitori introduce lo spettatore tra gli spettatori diegetici (interni allo spazio filmico). 


Il dettaglio delle catene (ai piedi, sulla Bibbia, attorno alla veste del soldato) sottolineano l'atmosfera di costrizione ed oppressione che circonda la protagonista. 



Assiste alla scena il rappresentante di sua maestà inglese, lord Warwick, figura imponente e ulteriormente minacciosa. 


L'interrogatorio si svolge come un susseguirsi drammatico ed incalzante di domande poste dai giudici, che appaiono singolarmente perché sicuri di sé, supportati da una procedura consolidata cui la solitaria Giovanna deve far fronte e rispondere. E' uno scontro tra individui, ma presto la grandezza di Giovanna farà si che lei rimanga come personaggio-individuo, mentre gli aguzzini diventeranno sempre più congrega e compagnia di morte e persecuzione. 



Il rifiuto di recitare il Padre Nostro stride con le smorfie di scherno dei giudici nei confronti di Giovanna inquadrata con un intenso primo piano (pp) dal basso. E' subito evidente il dissolvimento della composizione spaziale della scena; ad esempio ancora non sappiamo la posizione di Giovanna all'interno dell'aula del tribunale che rimane così un luogo astratto ed indefinito. Le dimensioni delle figure sono innaturali; Giovanna pare avere la stessa presenza fisica dei soldati, ma in realtà tale accostamento evidenzia una sua grandezza spirituale più che corporea. Lo sguardo di Giovanna è fermo, solido e saldo (certo non scevro di paura) come la sua dirittura morale, mentre gli sguardi dei suoi giudici non riescono ad essere altrettanto fermi, si incrociano, si cercano segnalando una turpe complicità. 




Un frate parla, ma non compaiono didascalie, il suo è un ciarlare vuoto, scontato, senza anima, le sue formule di rito pronunciate secondo un clichè prestabilito. Così, se è vero che un frate riconosce Giovanna come santa, nel loro insieme i giudici si rivelano spietate macchine e nel momento di decidere sono semplici mani senza volto che approvano all'unanimità senza alcuna coscienza individuale (sono letteralmente ombre, non uomini in carne ed ossa, confermandosi come carnefici la cui libertà di decisione è pressoché nulla).



Il passaggio narrativo e scenografico dall'aula alla cella avviene con movimenti di macchina ed inquadrature che per la prima volta inseriscono Giovanna nel contesto, ne fanno personaggio tra personaggi e non più figura solitaria ed isolata.


Cella di detenzione: Mentre Giovanna, all'ombra di una croce che sembra dare un senso a quella sofferenza, piange disperatamente, i giudici ordiscono una trama losca ed illecita falsificando la firma del re. 



L'ombra di un frate inquisitore copre minacciosamente quella della croce anticipando la scoperta dell'ingannevole lettera (anche in questo caso i giudici scambiano tra loro sguardi di intesa, formando un insieme di individui senza una propria coscienza individuale). La cella ha la stessa consistenza scenografica dell'aula di tribunale, rimane luogo senza anima e senza tempo. I primi piani di Giovanna si alternano ai campi medi e alle carrellate che inquadrano i suoi giudici aguzzini. Compare in tutta la sua evidenza il tema del confronto tra l'individuo e la spietata macchina del potere. 




I giudici che come gli aguzzini di Cristo si prendono gioco della ragazza contro cui rigettano con disprezzo le affermazioni che lei stessa aveva sempre pronunciato (la accusano di essersi definita figlia di Dio, in missione per conto di Dio e piena dello stato di grazia che pervade i santi). L'incoronazione di Giovanna da parte di mostruosi carcerieri come ultimo gesto di scherno è l'ennesimo momento che simbolicamente ci rimanda alla passione del Cristo.




Stanza della tortura: Con una analoga carrellata a quella che aveva inquadrato i giudici (i giudici sono come altrettanti strumenti di tortura), vediamo, illuminati da una luce innaturale, scorrere di fronte a noi gli strumenti di tortura che attendono Giovanna nel suo martirio. Quest'ultima continua ad essere ripresa singolarmente mentre i suoi giudici sono sempre un gruppo, raramente individui (lo sfondo su cui si staglia la figura della giovane è sempre neutro, indefinito, metafisico).



Tornano le catene e gli strumenti di tortura si mettono in moto in una sequenza surreale, in cui il vorticoso girare della ruota è l'equivalente della vertigine che coglie la mente della martire che resiste alla minaccia delle torture e non abiura.




Cella di Giovanna: I giudici, ed in particolare Warwick a nome del re Enrico d'Inghilterra, sono presi dalla preoccupazione che la giovane possa morire per le conseguenze delle torture e dunque grottescamente si preoccupano della sua salute in quanto l'esecuzione, inevitabile, si deve svolgere ad ogni costo come monito e carica di un significato politico ed emotivo nel contesto della guerra in corso. Il dettaglio del salasso e del sangue che esce dal corpo di Giovanna alludono all'imminente martirio, mentre la giovane conferma di avere paura. 



Dal letto di Giovanna vediamo in soggettiva i carcerieri che celebrano la messa e offrono alla ragazza l'ennesima opportunità di redimere la propria anima. Ma la fanciulla esita, sa che la salvezza non può passare attraverso un formale percorso tracciato dalla istituzione, ma è puramente interiore e personale. La soggettiva prosegue con movimenti circolari, Giovanna è letteralmente circondata e sotto assedio




Esterno, luogo dell'esecuzione: Con prospettive insolite, angolazioni oblique che accentuano il pathos drammatico della sequenza ci troviamo catapultati all'esterno anche se il fondale su cui si stagliano i primi piani di Giovanna resta neutro, uguale a se stesso. Scheletri emergono da una fossa e  Giovanna li vede come immagine della sua paura di morire; un giudice si staglia con la sua figura minacciosa accentuata dall'inquadratura dal basso. Gli strumenti del martirio incombono minacciosi, e angolazioni d'inquadratura alla Eisenstein, accentuano la lugubre messa in scena. 




Proprio la paura della morte conduce Giovanna all'abiura; la ragione di stato sembra prevalere, "lei serve al re" è quanto emerge dalle parole dei giudici e Giovanna firma il proprio pentimento. Un bambino gioca sul luogo dell'esecuzione, come i giudici sembrano giocare con la condannata e lei con loro secondo il parere di Warwick, ma questa è anche una immagine di festa del popolo che intorno ai saltimbanchi e ai giocolieri si stordisce e dimentica il destino di Giovanna che nel frattempo si prepara al carcere a vita.



Cella di Giovanna: La ragazza subisce il taglio dei capelli che è la metafora di una parte di lei che se ne va. E' quella parte spirituale che la giovane preservava dalla minaccia del peccato e del male e che ha abdicato per paura. 


Giovanna vacilla e la faticosa ed artificiosa costruzione dei giudici (come allude, in una sorta di montaggio analogico, l'immagine delle pietre portate dai soldati) è ormai sul punto di crollare. "Ho solo confessato la mia paura di morire" ammette Giovanna che torna sui suoi passi ed annulla l'abiura.


I giudici, inquadrati ad uno ad uno, finalmente coscienze individuali e non semplici macchine del potere, piangono e comprendono la grandezza della fanciulla che hanno di fronte. La grande vittoria è il martirio, necessario, inevitabile, ma è una vittoria sulla inumana spietatezza dei giudici (che come singoli sembrano avvolti dal fascino della martire).



Esterno, luogo dell'esecuzione:  Il dramma di Giovanna diventa esempio vivente per la collettività che accorre alla condanna (montaggio alternato del popolo che corre verso il castello). Una anziana donna porge da bere a Giovanna nel ricordo del gesto di compassione di Simone di Cirene verso Cristo; 


sul palo compare una scritta, "Idolatra, spergiura" che non può non richiamare alla analoga scritta sulla croce del Cristo. Mentre Giovanna, che stringe a sé la propria croce, compie il proprio destino di morte, le molte Madonne ai piedi del suo calvario piangono e un bimbo innocente ed inconsapevole, succhia il latte dalle mammelle della madre; 



è la vita che prosegue, inesorabile, indifferente, ma cristologicamente è la natura che dà un ulteriore segnale di una presenza trascendente in quel contesto; mentre Giovanna sta esalando gli ultimi respiri, alcune colombe volano verso il cielo. 


Il fumo prodotto avvolge la folla e costringe anche i più duri ad un pianto, indotto o meno; non è possibile l'indifferenza, il sacrificio si è compiuto. Come il terremoto accompagna la morte del Cristo, così il castello sembra oscillare per quella di Giovanna. E' un effetto cinematografico, ma è la partecipazione dell'autore che vuole scuotere anche coloro che assistono al dramma (dentro e fuori lo spazio filmico, personaggi e spettatori).


Ma la realtà è lì pronta ad interrompere il flusso emotivo; i soldati irrompono sulla scena per disperdere il popolo accorso nella piazza del castello. In soggettiva vediamo un cannone sparare sulla folla con la stessa spietata disumanità delle armi dei soldati contro i cittadini inermi nei film di Eisenstein. 


E' un ultimo accesso di violenza, il montaggio alterna la sagoma di Giovanna che brucia sul rogo, all'esplodere della violenza dei soldati. Una donna corre via con un agnello tra le braccia, un uomo tiene la croce, mentre i soldati si accaniscono sulla folla dei contadini alcuni bambini piangono disperati. 



La folla è cacciata via, il ponte levatoio può chiudersi e lasciare i resti di Giovanna nelle mani dei suoi aguzzini, mentre il popolo, sconfitto e umiliato rimane fuori dal castello del potere. Le fiamme si volgono verso il cielo, l'anima di Giovanna ascende, protetta nel suo viaggio da una croce che tra il fumo si erge con il suo candido biancore. E' la speranza cristiana di resurrezione, la speranza di una vittima del potere e della malvagità umana.



Nessun commento:

Posta un commento