mercoledì 18 settembre 2013

La grande guerra


 LA GRANDE GUERRA


1959
ORIGINE: Italia - Francia
REGIA: Mario Monicelli
SCENEGGIATURA: Age e Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Mario Monicelli
FOTOGRAFIA: Giuseppe Rotunno
SCENOGRAFIA: Mario Garabuglia
MUSICHE: Nino Rota
MONTAGGIO: Adriana Novelli
INTERPRETI: Alberto Sordi (Oreste Jacovacci), Vittorio Gassman(Giovanni Busacca), Silvana Mangano (Costantina), Folco Lulli (Bordin), Berdard Blier (Cap. Castelli), Romolo Valli (Ten. Gallina), Livio Lorenzon (Srg. Battiferri), Mario Valdemarin (Sottoten. Loquenzi), Nicola Arigliano (Giardino), Tiberio Murgia (Rosario Nicotra), Ferruccio Amendola (De Concini), Vittorio Sanipoli (Mag. Venturi), Elsa Vazzoler (sig.ra Bordin)
PRODUZIONE: De Laurentiis (Roma) - Gray Film (Paris)
DURATA: 135’


Nel '58 era uscito "Orizzonti di gloriadi Kubrick un film-verità che aveva impressionato tutti. Il film nasce per caso: Monicelli in quel periodo impegnato in un altro progetto, lesse una storia di guerra "Due eroi" scritta dallo sceneggiatore Vincenzoni, ispirata dal film di Kubrick e con il produttore De Laurentis decise di fare un film di guerra. La notizia si sparse velocemente e provocò la levata di scudi di associazioni di reduci, di esponenti dell’esercito e della stampa che temevano che il film potesse gettare un’ombra di ridicolo sulla vittoria italiana del 1915 – 18. L’intervento dell’allora ministro della difesa Andreotti contribuì a placare gli animi e a rassicurare sulle intenzioni degli autori. Il taglio da commedia dato alla sceneggiatura servì, in questo, ad  alleggerire i toni della polemica. La trama, inoltre, richiama al racconto di Moupassant “Due amici”.
Primo film italiano che tocca il delicato argomento della disfatta di Caporetto che solo due anni prima Charles Vidor, con "Addio alle armi", aveva contribuito a far riaffiorare. Monicelli dovette imporre fortemente la propria volontà per far prevalere il finale tragico del film con la morte dei due protagonisti, mentre produzione e distribuzione pretendevano il lieto fine. Il film risultò campione d'incasso, superando abbondantemente il miliardo, tetto accessibile a pochi per quei tempi. Decisivo per questo successo fu la scelta della coppia Gassman-Sordi, attori di grande richiamo sul pubblico.
"Ho narrato la grande guerra dal punto di vista dei soldati qualunque, dei tanti poveri diavoli che furono trascinati al combattimento senza vocazione alcuna" è quanto ha dichiarato Monicelli che con questo film si conferma il regista tematicamente più coraggioso e innovativo del cinema popolare italiano. Ne “La grande guerra” Monelli sintetizza, con straordinaria abilità una serie di suggestioni che invitavano ad una riflessione sugli eventi bellici e che avevano decretato il successo di Orizzonti di gloria (Kubrick), di Attack! (Aldrich), de Il ponte sul fiume Kwai (Lean). Anche in Italia era nata l’esigenza di una revisione critica delle vicende nazionali, testimoniata, tra l’altro, dalla quasi contemporanea messa in cantiere di Il generale Della Rovere di Rossellini, vincitore ex-aequo proprio con La grande guerra del Leone d’oro a Venezia.


ELEMENTO CINEMATOGRAFICO RILEVANTE

Si è parlato, a proposito dello stile del film, del sapiente uso della profondità di campo, efficace specie nelle scene di battaglia. In questo frequente uso fatto da Monicelli ci sentiamo di poter scorgere anche una sottile idea narrativa. La profondità di campo permette la svolgersi di più azioni contemporanee su piani focali diversi. Così facendo si possono coagulare azioni eroiche e vili nella stessa inquadratura, dramma e commedia in un insieme d’impatto. Nel film la profondità di campo è adottata nei momenti in cui i nostri eroi si trovano di fronte ad avvenimenti più grandi di loro (l’esecuzione del soldato austriaco, l’attacco al ponte, il bombardamento notturno della prima linea, la loro stessa fucilazione). La loro inadeguatezza viene così messa ancora più in risalto con questa sorta di spietato confronto tra realtà contingenti (il regista sembra mettere a confronto la storia con la Storia). Insomma, Monicelli sembra dirci, che Oreste e Giovanni sono nella guerra ma la loro maggiore preoccupazione è, per assurdo, starne il più lontano possibile. Noi spettatori seguiamo il tutto con il loro punto di vista e quanto avviene di fondamentale in quei frangenti sembra restare (anche visivamente) sullo sfondo, in lontananza.






L'emblematica scena della fucilazione di un traditore. Oreste e Giovanni con la loro compagnia sfilano, richiamati all'ordine dal capitano, tra l'indifferenza e lo stupore, di fronte all'esecuzione capitale. La profondità di campo è usata in funzione espressiva per sottolineare il contrasto tra la vicenda dei due protagonisti e il tragico svolgersi di una guerra nella quale i due sembrano proprio non volersi far coinvolgere.


LA TRAMA DIVISA PER SCENE

I titoli di testa offrono una carrellata di dettagli su oggetti che appartengono a soldati, oggetti che richiamano ad una quotidianità che il film racconterà, una quotidianità che sarà continuamente minacciata dall'ombra della morte che aleggia sui protagonisti, Oreste e Giovanni, strenuamente impegnati in una lotta per allontanarne lo spettro. La storia dei due protagonisti e la Storia con la S maiuscola che si contendono la scena; la prima che si ritaglia il primo piano, la seconda che si svolge prevalentemente sullo sfondo con il suo carico di eventi tragici che i due antieroi monicelliani si ostinano a scansare ed eludere.











Scena 1: 
In un palazzo anonimo una lunga fila di uomini è in attesa della visita che precede il reclutamento nell’esercito. Tra questi emerge la figura di un milanese che non sembra particolarmente entusiasta della prospettiva di un suo arruolamento. Abborda, allora, un soldato romano di aiuto ai dottori e cerca di corromperlo per ottenere l’esonero. Quest’ultimo fa credere di aver sistemato la faccenda e si fa consegnare trenta lire.


Un primo esempio del magistrale uso della profondità di campo che avrà in questo film una straordinaria importanza dal punto di vista narrativo e tematico. In questo caso  la contrapposizione tra figure in primo piano e sullo sfondo serve a costruire la gag comica che, tematicamente, è funzionale ad introdurci ai caratteri dei due protagonisti (Oreste e Giovanni) che fin da subito si rivelano degli antieroi finiti casualmente nel terribile meccanismo della guerra


Scena 2: 
L’addestramento delle reclute si rivela alquanto duro, ma il nostro milanese sembra riuscire sempre a cavarsela con il minimo sforzo



Scena 3: 
Sul treno con le truppe in partenza per il fronte il milanese ritrova il romano. Questi lo insegue fin sopra i vagoni del treno, poi rinuncia a fargli del male perché non si scampi la guerra con la scusa di un infortunio.

Scena 4: 
Accampamento tra le mura di un paese di fondovalle (Tigliano), vicino al fronte dell’Isonzo. I soldati si sistemano in un capannone diroccato insieme ad una compagnia di ritorno dalle trincee. 


Di nuovo la profondità di campo: i due protagonisti in primo piano mentre sullo sfondo sfilano gli stanchi soldati di ritorno dal fronte (chi fra loro è imprigionato? Le sbarre della finestra richiamano l'idea del carcere, della detenzione forzata). E' il primo momento in cui Oreste e Giovanni entrano in contatto con la realtà della guerra (la loro presenza in primo piano sarà una costante lungo tutto il film; ciò che accadrà alle loro spalle sarà lo svolgersi tragico della Storia con la S maiuscola, una Storia da cui i nostri Oreste e Giovanni vorranno rimanere esclusi). La loro marginalità rispetto alle sofferenze che li circondano sarà difesa e perseguita con astuzia e sfrontatezza fino al redde rationem finale nel quale i due "eroi" non potranno fare a meno di operare una scelta ben diversa rispetto a quelle fin lì sostenute.

Scena 5:
Giovanni fa la conoscenza della prostituta Costantina con cui passa una notte d’amore. Al ritorno tra i compagni, si accorge che questa gli ha rubato il portafogli. Giovanni ed Oreste cercano invano di farsi prendere nel corpo degli assaltatori, cosa che avrebbe permesso loro di allontanarsi per qualche mese dal fronte. Alla fine devono partire, come tutti gli altri, per le trincee

Scena 6: 
Tra le trincee. Nella notte si cercano due volontari per portare dell’esplosivo sui reticolati esterni. Giovanni se la scampa soltanto perché un compagno, Nardi, si fa pagare per sostituirlo. Nell’azione muore un soldato. Nel giorno dell’attacco ad un ponte tenuto dal nemico, Oreste e Giovanni sono incaricati di montare le linee di comunicazione, per cui restano ai margini dell’assalto che costa la vita a molti uomini, compreso il comandante della compagnia. Il ponte viene conquistato. Si susseguono scene di “normale” quotidianità tra la lettura di una rivista, il rito della posta e una mangiata di castagne arrosto. In seguito Oreste e Giovanni, in missione esterna, non hanno il coraggio di uccidere un austriaco. 





Nella costruzione scenica della battaglia certamente si sente l'influenza del kubrickiano Orizzonti di gloria specie per l'uso del carrello laterale che permette di entrare nel vivo dell'azione e di enfatizzare la drammaticità dell'evento


Nell’imminenza di un attacco nemico i due vengono mandati a reperire filo spinato e pali. In questo modo passano la notte lontano dalla trincea (e Giovanni ne approfitta per tornare da Costantina) e scampano al pesante attacco nemico. Al loro ritorno la compagnia è decimata e viene mandata in licenza.



Di nuovo Oreste e Giovanni sono spettatori, di uno spettacolo pirotecnico i cui effetti tragici ancora non li tocca. La distanza dagli eventi garantisce loro la sopravvivenza.


Scena 7: Una festa accoglie i soldati di ritorno dalla prima linea. Ad un ricevimento Oreste riesce ad escogitare un modo per ottenere soldi, fingendo di fare un colletta per i reduci. Con quei soldi Oreste e Giovanni dovrebbero spassarsela ad Udine, ma alla stazione incontrano la moglie del soldato Bordin, che chiede loro notizie. Commossi, senza lasciar trapelare la verità sulla fine del marito, lasciano i soldi alla povera vedova. Ultimo incontro di Giovanni con Costantina, di cui vede il figlio. Nel frattempo gli austriaci hanno sfondato le linee e gli italiani si sono attestati sul Piave da cui sono pronti a contrattaccare.

Scena 8: La compagnia è chiamata alla strenua difesa di una osteria, sulla cima di una collina. Anche in questo caso i due vengono mandati in missione per inviare notizie al comando di zona, che si trova presso un cascinale. Qui i due si addormentano dentro un fienile, senza accorgersi che i soldati italiani se ne sono andati per l’arrivo del nemico. Gli austriaci trovano i due, che accortisi del loro arrivo, avevano cercato di fuggire con le divise nemiche. Interrogati da un ufficiale austriaco si lasciano scappare alcune informazioni sui movimenti delle truppe italiane. Richiesta una loro piena collaborazione, dapprima accettano per aver salva la vita, poi derisi dagli ufficiali austriaci per la loro codardia, mossi da un ultimo impeto d’orgoglio, si rifiutano di collaborare e vengono fucilati. Le truppe italiane nel frattempo ritornano ad avanzare e l’osteria viene difesa eroicamente da quel che resta della compagnia. Anche questa volta, commenta il capitano, sembra che quei due se la siano scampata.









Oreste, rimasto ai margini fino all'ultimo (tanto che l'esecuzione di Giovanni è ancora una volta rappresentata con una prospettiva che gioca sulla profondità di campo e sulla contrapposizione tra un primo piano che coincide con quello di un personaggio spettatore, che in questo caso letteralmente apre la finestra come fosse il sipario di un palco e lo sfondo che mette in scena l'ennesimo dramma e sacrificio imposto dalla guerra) è ora protagonista della Storia, ha deciso di abbandonare la propria passività; il suo è un sacrificio frutto di un moto di orgoglio forse più istintivo che razionale. La sua esecuzione non è più sullo sfondo, egli è ora al centro dell'azione, con la sua paura.


Piccola notazione storica 
L’ufficiale austriaco, commentando i movimenti delle truppe di quei giorni, si lascia andare ad una considerazione storicamente fondata. E cioè, che l’improvvisa avanzata austriaca di Caporetto fosse in realtà stata troppo veloce per gli austriaci stessi. Se gli italiani, come avvenne, avessero velocemente contrattaccato, per le truppe austriache penetrate nel nostro territorio, lontane dalle proprie retrovie, sarebbe stato un accerchiamento fatale.



 Di seguito il racconto a cui gli sceneggiatori si sono ispirati per la stesura de La grande guerra


DUE AMICI
Un racconto di Guy De Maupassant

Parigi era bloccata, affamata, rantolante. Sui tetti i passeri diminuivano e le fogne si stavano spopolando. Si mangiava qualsiasi cosa.
          In una limpida mattinata di gennaio Morissot, orologiaio di professione e guardia nazionale per necessità, stava passeggiando tristemente sul boulevard di circonvallazione, con le mani nelle tasche dei calzoni della divisa e la pancia vuota, quando si fermò di botto davanti a un suo confratello, nel quale riconobbe un amico. Era il signor Sauvage, una conoscenza fatta sulla sponda del fiume.
          Tutte le domeniche, prima della guerra, Morissot partiva all'alba, con una canna di bambù in mano, e un barattolo di latta a tracolla. Prendeva il treno d'Argenteuil, scendeva a Colombes e arrivava a piedi fino all'isola Marante. Appena giunto nel luogo dei suoi sogni cominciava a pescare, e pescava fino a buio.
          Tutte le domeniche s'incontrava laggiù con un ometto grasso e gioviale, il signor Sauvage, merciaio in via della Madonna di Loreto, anche lui fanatico pescatore. Spesso stavano una mezza giornata a fianco a fianco, con la lenza in mano e i piedi penzoloni sull'acqua; erano diventati amici.
          Certi giorni non parlavano affatto; altre volte facevano quattro chiacchiere. Ma andavano benissimo d'accordo anche senza dir nulla, poiché avevano gli stessi gusti e una identica sensibilità.
          Nelle mattine di primavera, verso le dieci, quando il sole ringiovanito faceva galleggiare sul fiume tranquillo quella nebbiolina che scorre insieme all'acqua, e riversava sulla schiena dei due accaniti pescatori il benefico calore della nuova stagione, Morissot diceva talvolta al suo vicino: - Che dolcezza, eh? - e Sauvage rispondeva: - Non c'è nulla di meglio. - Questo bastava perché si capissero e si stimassero.
          In autunno, verso la fine della giornata, quando il cielo insanguinato dal sole al tramonto rifletteva nell'acqua le nuvole scarlatte, imporporava tutto il fiume, infiammava l'orizzonte, rendeva incandescenti e dorava, intorno a loro, gli alberi già imbionditi, e frementi del brivido dell'inverno, Sauvage guardava sorridendo Morissot, e diceva: - Che spettacolo! - E Morissot rispondeva, senza levar gli occhi dal suo sughero: - È meglio del boulevard, no?
          Appena si furono riconosciuti, si strinsero energicamente la mano, commossi di ritrovarsi in tempi così mutati. Sospirando, Sauvage mormorò: - Quante ne son successe... - Morissot, serio serio, gemette: - E che tempaccio! Questa è la prima bella giornata dell'anno.
          Difatti il cielo era azzurro e luminoso.
          S'incamminarono l'uno accanto all'altro, tristi e pensierosi. Morissot continuò: - E la pesca, eh? che bel ricordo!
          - Quando ci torneremo? - chiese Sauvage.
          Entrarono in un caffeuccio e presero insieme l'aperitivo; dopo ricominciarono a passeggiare sul marciapiede.
          D'un tratto Morissot si fermò: - Un altro gocciolino? - Sauvage approvò: - Ai vostri ordini. - Entrarono in un secondo caffè.
          Si sentivano storditi uscendo, turbati come chiunque a digiuno si riempia la pancia d'alcool.
          L'aria era dolce. Un venticello carezzevole solleticava i loro visi.
          L'aria tiepida finì di ubriacare Sauvage, che si fermò: - E se ci andassimo?
          - Dove?
          - A pescare.
          - E dove?
          - Alla nostra isola. Gli avamposti francesi sono dopo Colombes. Io conosco il colonnello Dumolin; ci farà passare senza difficoltà.
          Morissot fremeva di desiderio: - Sicuro, ci sto. - E si lasciarono per andare a prendere i loro arnesi.
          Un'ora dopo camminavano, accanto, sulla strada maestra; giunsero alla villa occupata dal colonnello. Alla loro richiesta costui sorrise e acconsentì al capriccio. Si rimisero in cammino forniti di un lasciapassare.
          Ben presto oltrepassarono gli avamposti, attraversarono Colombes abbandonata, e si trovarono sul margine dei piccoli vigneti che scendono verso la Senna. Erano circa le undici
          Di fronte, il villaggio di Argenteuil pareva morto. Le alture di Orgemont e di Sannois dominavano il paese. La grande pianura che arriva fino a Nantes era completamente vuota, i ciliegi spogli e la terra grigia.
          Sauvage mostrando a dito le alture mormorò: - Lassù ci sono i prussiani. - I due amici si sentivano paralizzati dall'inquietudine davanti al paese deserto.
          I prussiani! Non li avevano mai visti, ma erano mesi che li sentivano, intorno a Parigi, distruggere la Francia, saccheggiare, massacrare, affamare, invisibili ed onnipotenti. Un superstizioso terrore s'aggiungeva al loro odio per quel popolo sconosciuto e vincitore.
          - E se li incontrassimo? - balbettò Morissot.
          Sauvage rispose, con la spavalderia parigina sempre viva nonostante tutto:
          - Gli offriremo un po' di fritto.
          Tuttavia esitavano a inoltrarsi nella campagna, intimiditi dal gran silenzio.
          Infine Sauvage si decise: - Via, andiamo; però, attenti...
          Scesero in un vigneto, chinati in due, strisciando, approfittando dei cespugli per coprirsi, con lo sguardo inquieto, e l'orecchio teso.
          Dovevano ancora attraversare una striscia di terra nuda, per raggiungere la sponda del fiume. Si misero a correre; e appena furono arrivati alla riva, si rannicchiarono tra le canne secche.
          Morissot incollò l'orecchio a terra per sentire se qualcuno camminasse d'intorno. Non sentì nulla. Erano soli, proprio soli.
          Rinfrancati, cominciarono a pescare.
          Di fronte a loro, l'isola Marante, abbandonata, li nascondeva alla vista dell'altra riva. La piccola trattoria era chiusa, pareva abbandonata da anni.
          Sauvage pescò il primo ghiozzo, Morissot il secondo, e continuamente essi tiravano su le lenze con una bestiolina d'argento che guizzava in cima al filo: una vera pesca miracolosa.
          Mettevano delicatamente i pesci dentro una borsa di rete a maglie molto fitte, che era immersa nell'acqua, ai loro piedi. E si sentivano prendere da una deliziosa gioia, la gioia di chi ritrova un piacere prediletto del quale è rimasto privo per parecchio tempo.
          Il buon sole scaldava dolcemente le loro spalle; non sentivano più nulla; non pensavano più a nulla; il resto del mondo non esisteva più: pescavano.
          A un tratto un sordo rumore che pareva venir di sottoterra fece tremare il suolo. Il cannone ricominciava a tuonare.
          Morissot volse la testa e vide, al disopra della riva, verso destra il gran profilo del Mont-Valérien con un pennacchio bianco sulla fronte: la schiuma della polvere che aveva sputato allora allora.
          Subito dopo un altro schizzo di fumo partì dalla cima della fortezza: dopo alcuni istanti si sentì il brontolio d'un'altra detonazione.
          Altre ancora ne seguirono: ogni tanto la montagna alitava il suo fiato mortale, soffiava i vapori che si levavano pian piano nel cielo calmo, formando una nuvola sopra la cima.
          Sauvage alzò le spalle: - Eccoli che ricominciano - disse. Morissot, il quale stava guardando con ansietà il piumino del suo sughero immergersi senza interruzione, fu preso da un'improvvisa collera di uomo pacifico, contro quegli arrabbiati che combattevano in quel modo e brontolò: - Bisogna essere dei veri imbecilli per ammazzarsi così!...
          - Son peggio delle bestie - rispose Sauvage.
          E Morissot, che aveva pescato allora un'argentina, dichiarò: - Purtroppo sarà sempre così, fintanto che ci saranno i governi...
          Sauvage lo fermò: - La Repubblica non avrebbe dichiarato la guerra...
          - Coi re c'è la guerra all'interno; con la repubblica c'è la guerra all'esterno, - lo interruppe a sua volta Morissot.
          Cominciarono tranquillamente a discutere, sbrogliando le grandi questioni politiche col loro sano criterio di uomini quieti e limitati, trovandosi d'accordo su questo: che non sarebbero mai stati liberi. E il Mont-Valérien tuonava senza quiete, demolendo, un colpo dopo l'altro, le case francesi, macinando le strade, sfracellando la gente, troncando tanti sogni, tante gioie attese, tante felicità sperate; aprendo i cuori delle donne, i cuori delle ragazze, i cuori delle madri, laggiù, in altri paesi, a sofferenze infinite.
          - Così è la vita - disse Sauvage.
          - Piuttosto dite che è la morte, - aggiunse ridendo Morissot.
          Trasalirono, atterriti, sentendo dei passi alle loro spalle; voltatisi, videro in piedi, dietro a loro, quattro uomini, quattro uomini armati e barbuti, vestiti con la livrea, come domestici, che portavano in capo dei berretti schiacciati, e li prendevano di mira coi fucili.
          Le lenze sfuggirono dalle loro mani e cominciarono a seguire la corrente.
          In capo a pochi istanti erano stati presi, legati, trascinati via, gettati in una barca, e trasportati nell'isola.
          Dietro la casa che credevano abbandonata videro una ventina di soldati tedeschi.
          Una specie di gigante peloso, il quale, a cavalcioni d'una sedia, stava fumando in una gran pipa di porcellana, chiese in ottimo francese: - E così, signori, avete fatto una buona pesca?
          Un soldato depose ai piedi dell'ufficiale la rete piena di pesci, che s'era curato di portar via. Il prussiano sorrise: - Ah! a quanto vedo vi stava andando bene... Ma ora dobbiamo parlar d'altro. Statemi a sentire e non vi confondete.
          «Per me siete due spie mandate ad appostarmi. Allora io vi prendo e vi fucilo. Facevate finta di pescare, per nascondere meglio le vostre intenzioni. Siete caduti in mano mia, e tanto peggio per voi; siamo in guerra.
          «Però, siccome venite dagli avamposti, sicuramente dovete sapere la parola d'ordine, per poter rientrare. Ditemi questa parola d'ordine, e vi lascio liberi».
          I due amici, l'uno vicino all'altro, tacevano, lividi, con le mani scosse da un leggero tremolio nervoso.
          L'ufficiale continuò: - Non lo saprà nessuno, e voi potrete tornarvene in santa pace. Il segreto sparirà insieme a voi. Se invece rifiutate morirete, e subito. Scegliete.
          Continuarono a restare immobili, senza aprir bocca.
          Il prussiano, sempre calmo, continuò, tendendo una mano verso il fiume: - Pensate che fra cinque minuti sarete in fondo a quell'acqua! Fra cinque minuti! Avrete dei parenti, no?
          Il Mont-Valérien seguitava a brontolare.
          I due pescatori erano ancora immobili e silenziosi. Il tedesco diede alcuni ordini, nella sua lingua. Poi spostò la sedia, per non essere troppo vicino ai prigionieri; e dodici uomini si andarono a mettere a venti passi di distanza, nella posizione di pied-arm.
          L'ufficiale riprese: - Vi do un minuto di tempo, non un secondo di più.
          Si alzò d'improvviso avvicinandosi ai due francesi, e afferrato Morissot per il braccio, lo trascinò in disparte e gli disse a bassa voce: - Presto, la parola d'ordine! Il vostro compagno non ne saprà nulla; farò finta d'impietosirmi.
          Morissot non rispose.
          Allora il prussiano prese Sauvage e gli fece la stessa domanda.
          Neanche Sauvage rispose.
          Si ritrovarono un'altra volta a fianco a fianco.
          L'ufficiale diede un ordine. I soldati alzarono le armi.
          Lo sguardo di Morissot cadde casualmente nella rete piena di ghiozzi che era rimasta sull'erba a qualche passo da lui.
          Un raggio di sole faceva luccicare i pesci ammassati, che si muovevano ancora. Fu preso dallo smarrimento. Nonostante i suoi sforzi gli occhi gli si riempirono di lacrime.
          Balbettò: - Addio, signor Sauvage.
          Sauvage rispose: - Addio, signor Morissot.
          Si strinsero la mano, scossi da capo a piedi da brividi irreprimibili. L'ufficiale gridò: - Fuoco!
          I dodici colpi parvero un colpo solo.
          Sauvage cadde di schianto con la faccia contro terra. Morissot, più alto, oscillò, girò su se stesso, e cadde di traverso sul suo compagno, col viso rivolto al cielo, mentre dalla giacca forata sul petto gli usciva un fiotto di sangue.
          Il tedesco diede altri ordini.
          I suoi uomini si dispersero, e tornarono con corde e pietre, che appesero ai piedi dei morti; poi li trasportarono sulla riva.
          Il Mont-Valérien, incappucciato ora da una montagna di fumo, non smetteva di brontolare.
          Due soldati afferrarono Morissot per la testa e per le gambe; altri due presero Sauvage nello stesso modo. Per qualche istante i due corpi furon fatti oscillare con forza, e poi, lanciati lontano, descrissero una curva e caddero ritti nel fiume, poiché le pietre eran legate ai piedi.
          L'acqua schizzò, ribollì, fremette e si calmò, mentre piccole onde giungevano alle sponde.
          Un po' di sangue galleggiava sull'acqua.
          L'ufficiale, sempre sereno, disse sottovoce: - I pesci finiranno di sistemarli.
          Poi si diresse verso la casa.
          A un tratto vide fra l'erba la reticella coi pesci. La raccolse la osservò, sorrise, e gridò: - Wilhelm!
          Un soldato accorse. Il prussiano ordinò, gettandogli la pesca dei due fucilati: - Fammi friggere subito questi animaletti finché son vivi. Saranno deliziosi.
          E riprese a fumar la pipa.




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