giovedì 26 settembre 2013

Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano


Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano

Titolo originale: Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano           Anno: 1969    Nazione: Italia    Durata: 104 min     Regia: Luigi Comencini     Sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico      Cast: Leonard Whiting (Casanova adulto), Lionel Stander (prete), Maria Grazia Buccella (madre di Casanova), Senta Berger, Silvia Dionisio, Tina Aumont, Claudio De Kunert, Cristina Comencini, Raoul Grassilli

Il film di Comencini si struttura come un percorso di formazione che rientra nel tipico solco di altri lavori del regista spesso votato al racconto ad altezza di bambino (Pinocchio, Un ragazzo di Calabria, Incompreso…). La vicenda del Casanova bambino si prende la prima parte del film, la migliore, e centra i temi cari al regista: la distanza bambini – adulti, la ricerca solitaria di una identità, le prove da superare nel cammino della crescita, l’incapacità (o non volontà) degli adulti di comunicare con i più piccoli e comprendere profondamente le istanze dell’infanzia. La figura della madre di Giacomo (una sensuale Maria Grazia Buccella) è in questo senso paradigmatica. Il suo ingresso in scena è quello di una prima donna, venerata ed ammirata dagli uomini, la sua predisposizione alla seduzione è talmente naturale che è oggetto sensuale per lo stesso Giacomo che batte nel mortaio, di fronte a lei seminuda, con un procedere evidentemente masturbatorio. Il bambino metabolizza l’idea di una donna oggetto di conquista, frivola e leggera e ben presto vede sparire dal proprio orizzonte ogni barlume di figura maschile credibile, a partire dal padre che goffamente cade nei canali e muore al termine di una operazione chirurgica grottesca e disperata allo stesso tempo (nelle immagini che seguono vediamo alcuni fotogrammi della sequenza dell'operazione che sono ispirati, come del resto buona parte del film, agli ambienti evocati nei quadri del pittore settecentesco veneziano Longhi)






Sempre nella sua ostinata osservazione dei comportamenti degli adulti, Giacomo si rende conto che esistono privilegi che possono favorire la conquista dell’oggetto desiderato, come quello di essere prete confessore di una giovane fanciulla, ma ha ben chiaro che proprio questa lotta senza quartiere cinica e spietata è la logica che governa il mondo (lui stesso assedia la camera di una giovane di cui si è infatuato rimanendo fuori dall’uscio come sconfitto). La seconda parte, quella in cui Casanova diventa protagonista e non più solo spettatore, è la inevitabile ascesa o discesa nel paradiso-inferno delle passioni che non si possono frenare. Il rinoceronte segna il risveglio sessuale con quel corno gigante che allude alle potenzialità virili del protagonista. Sullo sfondo della bestia una sensuale nobildonna veneziana (una splendida Senta Berger) si propone come colei che promette di dischiudere le porte del paradiso dei sensi (sarà con lei che il nostro perderà la propria verginità).




I ruoli si ribaltano, ora è Casanova oggetto di conquista, fortino assediato e concupito dalle donne veneziane che ne fanno un oggetto di desiderio fin dalle sue apparizioni sul pulpito (in questo la vicenda ricorda quella del Jean Sorel de Il rosso e il nero di stendhaliana memoria, anch’egli abatino alle prese con il richiamo dei sensi ed oggetto di ammirazione pubblica da parte del gentil sesso). Nemmeno la prospettiva di una ascesa sociale con un matrimonio di convenienza (che è al centro dell’intrigo finale del film) frena la divorante passione di Casanova per il piacere in quanto tale, per il possesso e il godimento dell’oggetto femminile. Nessuna parvenza di sentimento, ma solo puro e semplice gioco di seduzione e attrazione che ben viene rappresentato nel budoir della contessa in cui il corpo della stessa è strumento comunicativo più di qualsiasi parola (Casanova, escluso dall’orgia, vede dalle fessure, corpi senza volto, corpi con la maschera e del resto proprio la maschera, che non casualmente ha indossato anche la madre, è uno dei motivi dominanti del film: è il simbolo del carnaio, carnevalesco veneziano, ma anche della perdita di identità dei personaggi offuscati, Casanova in primis, da uno sfrenato ed irresistibile edonismo). Il tono leggero del film nasconde, quindi, un pessimismo di fondo che il “calvinista” Comencini non poteva non rivelare. L’uomo è figlio dei sensi, condannato al desiderio e al piacere in un carnevale (carnem valere) senza fine, in cui ognuno indossa una maschera che non è segno di distinzione o camuffamento, ma finisce per rappresentare una inconsapevole omologazione (proprio le maschere veneziane, con il loro biancore, sono l’immagine di personaggi anonimi ed indistinguibili gli uni dagli altri).


Di seguito alcune sequenze con le corrispettive tele pittoriche (Longhi e pittori fiamminghi) da cui si è tratta ispirazione per le scenografie

Il dentista





La confessione




La visita al convento





Scorci di vita domestica




Il concerto


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