giovedì 22 marzo 2018

Nuovomondo

Regia di Emanuele Crialese 

Un film con Charlotte Gainsbourg, Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Aurora Quattrocchi, Filippo Pucillo

Titolo originale: The Golden Door. Genere Drammatico - Italia, Francia 2006   Durata 111 minuti; distribuito da 01 Distribution



Si può raccontare dell’emigrazione italiana tenendosi alla larga da alcuni ovvi stereotipi visivi che ci aspetteremmo di trovare? La comparsa della statua della Libertà di New York, magari affiorante nel mare di nebbia che avvolge gli emigrati al loro arrivo a New York; la nave in tutta la sua maestosità che solca i mari con l’imponenza dell’ennesimo Titanic che varca gli Oceani; il contrasto tra la selvaggia natura siciliana e la tecnologica modernità americana (qualche grattacielo in lontananza). Ebbene niente di tutto questo nel film di Crialese che ci racconta un viaggio dell’anima più che un esodo storico, un viaggio che sembra condurre i personaggi attraverso più dimensioni legate da una unica costante onirica. La magica e primitiva dimensione in cui sono immersi i contadini siciliani di Nuovomondo viene abbandonata per una direzione ignota (non compaiono mappe, cartine, immagini realistiche dell’America, ma soltanto fotografie assurde, grottesche che sembrano illustrazioni di film fantastici) per un altrove che è sogno e speranza e nulla più.


Il viaggio però deve essere benedetto e così i personaggi che compaiono e si approssimano all'impresa guardano spesso verso l'alto, e richiamano la divinità con una ritualità pagana che mescola la superstizione primitiva ai simboli della fede cristiana.


L'attesa di un segno, la conferma magica che quel viaggio si deve e si può fare. Il Nuovomondo pare l'altro mondo che apre ad una nuova vita dopo la morte della presente. In fondo che cos'è se non il Paradiso quel lago di latte su cui si immergono immaginificamente gli eroi della storia?


Del resto la vestizione dei tre giovani maschi pare la vestizione funebre e avviene con vestiti di morti illustri (scarpe e vesti di un brigante) e il sensale ricorda loro che in questo modo potranno far viaggiare i morti con sé.


Se il partire è un pò morire in questo caso la partenza si connota di atmosfere funebri, dalle vesti nere della madre, ai saluti, agli addii agli animali.


Il ricongiungersi con il fratello gemello è la lontana causa che viene evocata ma pare che Crialese racconti di un viaggio che non abbia un vero e proprio motivo trainante, quasi che la partenza fosse una tappa obbligata di una esistenza senza sbocchi e senza futuro. Non c'è progetto, non c'è coscienza di quello che si troverà, solo la forza di una volontà che ha radici profonde e che non può essere focalizzata. Le stesse apparizioni delle verdure giganti incutono timore in Salvatore e il sogno del denaro si risolve in una sorta di sepoltura. Presagi di morte accompagnano le atmosfere di una partenza che non ha niente di gioioso, ma solo la stringente necessità di qualcosa che non si può sfuggire.



Ma ecco che compare un prete, un uomo che pare come il pastore che guida le pecore che trova parole che sembrano dare un senso diverso alla partenza. La morte, il sotterramento (letterale quello del protagonista) sono in realtà le premesse di una nuova vita; il seme, sotterrato, diventa pianta e può generare qualcosa di diverso.



La partenza è rappresentata come un lento ma inesorabile distacco, in cui coloro che partono e coloro che restano sono per un indefinito istante uguali, indistinguibili. Il mare, l'acqua lentamente li divide e il suono assordante di una sirena richiama gli emigranti a guardare altrove a distaccarsi dalle loro radici perchè qualcosa di nuovo li aspetta.




Ma quella massa è passiva, in balia della nave, del mare mosso, dei truffaldini mercanti di uomini che spingono quegli esseri umani come bestiame da condurre al recinto. Le assonanze con il presente sono fin troppo evidenti, non è una migrazione particolare che Crialese ci racconta, ma la migrazione nella sua essenza più profonda: doloroso distacco da una realtà che non apre ad un nuovo orizzonte, ma si carica dell'angoscia di chi non ha messo a fuoco il futuro. La perdita d identità e il distacco dalle radici vitali non viene sostituito se non da immagini provvisorie come quelle che i Mancuso si concedono negli scatti dei fotografi alla partenza.


I Mancuso non sono più e non sono ancora, provvisorie sagome in balia degli eventi (del resto il loro è un cammino passivo, come se fossero trascinati da una corrente che non riescono a fermare; il carretto che i conduce lontani dalla comunità è come la nave che li allontana dal vecchio mondo).


E la tempesta li vede di nuovo corpi in balia degli eventi, sballottati dentro il ventre di una anonima balena di acciaio, che emette suoni sinistri e che incute timore nel giovane Mancuso, nave che mai vediamo per intero, che solo intuiamo e sentiamo. Il viaggio anche nelle scelte di stile del regista (che usa la macchina a mano e sta vicino ai personaggi, li pedina, li accosta nel loro soffocare tra altri corpi) ci viene mostrato come un percorso claustrofobico senza coordinate precise e senza nemmeno un approdo preciso con quella nebbia dentro cui si immergono i migranti e la loro nave.


Luce è la borghese che entra in scena e cattura l'attenzione e lo sguardo di tutti i personaggi. Lei incarna veramente l'illusione del cambiamento, lei bianca in mezzo a gente scura, ruvida, abbronzata, lei pulita e soprattutto elegante, diversa, ma nello stesso tempo inchiodata come gli altri ad un destino che non pare offrire alternative. Così è lei a chiedere la mano di Salvatore, con cinismo e realismo, senza un briciolo di amore, lei diventa il passaporto per il nuovo mondo, il tramite che permette di proseguire il sogno, tanto è vero che Salvatore fa il suo bagno nel latte proprio con Luce (nomem est omen).



L'arrivo a Ellis Island non è un vero e proprio arrivo ma la prosecuzione di un cammino forzato che trova altri burocrati e soldati a spingere la folla verso l'ignoto destino. Non c'è soluzione di continuità tra le stanze dei medici in Italia, la stiva della terza classe nella nave e gli ambienti reclusori di Ellis Island, quasi che quello rappresentato fosse un sistema organizzato, coeso, coerente che giocava con le persone e le sfruttava senza pietà. In che paese siamo? Che giorno è? Chiedono i solerti burocrati americani ai Mancuso, disorientati come tutti gli altri passeggeri di un viaggio che pare non aver condotto da nessuna parte.



Ma ecco che si apre il mondo borghese che Luce ha anticipato. E' il mondo dell'ordine e della pulizia, del controllo e della selezione, dei test d'intelligenza e delle idee eugenetiche (la selezione in base al quoziente intellettivo) e classiste.


Luce è perfettamente a suo agio in quel mondo, i cui corridoi geometrici, le cui immense aule pulite ed ordinate stridono con le pietraie dei paesaggi agresti della Sicilia e le sue capanne in pietra. I test di intelligenza indicano parametri che i Mancuso non possono cogliere, ma Salvatore dimostra, a suo modo, un senso non stupido di risolvere i problemi propostigli, una logica diversa che dimostra il relativismo di tali prove.



In un momento di intenso lirismo, Luce e Donna Fortunata (madre Mancuso) si trovano l'una vicino all'altra e si guardano, si sfiorano quasi mentre intorno a loro il mondo pare fermarsi. Le due dimensioni paiono essere al confronto finale: il mondo borghese di Lucy che è guardato da quello contadino e magico di Fortunata; Luce pare a disagio come se avesse capito lo sguardo severo di Fortunata che pare avere compreso essa stessa il senso di ciò che sta succedendo intorno a lei. La vincente e la sconfitta, se una vincente c'è in questo cammino della speranza.


La selezione, le prove di logica che devono attestare una presunta intelligenza minima per essere degni di quel mondo (<Voi vi credete Domineddio>, dice Fortunata ai suoi esaminatori) e i test sono altrettanti ostacoli verso quell'America che i migranti appena intravedono tra le fessure delle vetrate, con i grattacieli in lontananza e quelle strane scatole di legno che portano le persone ai piani alti.



Il finale può essere interpretato come un sogno duplice: uno oscuro con quel buio da cui emergono le sagome dei Mancuso (che paiono una sacra famiglia, con Fortunata che, come dice lo stesso Salvatore, pare una Madonna) che immaginano di poter rispondere ai divieti dei loro inquisitori, tant'è che perfino il giovane sordo muto si mette miracolosamente a parlare; uno chiaro, con i Mancuso e gli altri migranti che emergono dal latte e nuotano verso una imprecisata destinazione dentro il Nuovomondo. Di fronte ad un mondo che si rivela ostile, problematico e talvolta incomprensibile, i Mancuso, e Salvatore in particolare, si rifugiano in quella dimensione del sogno che appare loro come il più sicuro rifugio ad una realtà che faticano a sentire amica.



Il viaggio, prima che materiale, pare dirci Crialese, è soprattutto interiore.




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