mercoledì 19 febbraio 2014

La promessa

La promessa


Regia: Sean Penn
Cast: Jack Nicholson, Helen Mirren, Vanessa Redgrave, Harry Dean Stanton, Mickey Rourke, Sam Shepard, Benicio Del Toro, Aaron Eckhart, Patricia Clarkson, Robin Wright Penn, Tom Noonan
Distribuzione: Warner Bros.    Anno: 2001     Durata: 124'
Produzione: Clyde Is Hungry Productions, Franchise Pictures, Morgan Creek Productions, Pedge Productions Inc.
Sceneggiatura: Jerzy Kromolowski, Mary Olson-Kromolowski   Fotografia: Chris Menges   Scenografie: Bill Groom   Montaggio: Jay Cassidy   Musiche: Klaus Badelt, Hans Zimmer
Tratto dall'omonimo romanzo di Friedrich Dürrenmatt.

Quello che era un apologo sul dominio del caso nel mondo nel romanzo di Durrenmatt, vero e proprio anti-giallo e anti-poliziesco in cui le pedine della ragione tornavano ma il caso non si risolveva, nelle mani di Penn, che trasferisce l'azione dalla Svizzera contadina ed operosa degli anni Cinquanta, al Nevada polveroso e macilento degli anni Novanta, diventa un racconto di redenzione di un'anima che, per assurdo finisce per dannarsi ed essere inghiottita dalla follia. Il protagonista di Penn è vicino al momento del giudizio supremo e cerca una redenzione non sapendo che finirà in una valle di Giosafat completamente in mano agli uomini e non a Dio.
Il commissario Matthai diventa il detective Jerry Black interpretato da uno splendido e crepuscolare Jack Nicholson.
Jerry si prepara al giudizio di Dio e troverà quello degli uomini che lo condanneranno alla dannazione.
Corvi di morte su un uomo tormentato, Jerry Black, schiacciato da una ossessione che non riesce a sciogliere (immagine a plongeè, con angolazione dall'alto su di lui), su un paesaggio assolato e polveroso (il sole acceca il protagonista che chiude gli occhi non potendo sostenere la luce, la luce di un giudizio divino), l'esatto contrario di quello della scena seguente che si svolge nella abbacinante neve di un luogo solitario dove qualcuno, lo stesso Black, sta pescando un pesce (come pescare il colpevole ed attrarlo con una preda come farà il commissario).






Dettaglio di un orologio da polso, sono le 11, come se l'uomo fosse richiamato ad un appuntamento (richiamo realistico al ritorno alla realtà e richiamo metaforico al giudizio cui andrà incontro; ogni volta che Jerry si ritirerà nel mezzo della natura per pescare si toglierà l'orologio come se volesse uscire dal flusso inesorabile del tempo e immergersi in una sorta di dimensione sospesa di contatto solitario e profondo con una vita naturale che non ha i ritmi temporalizzati di quella umana. La sua decisione di non abbandonare definitivamente quella dimensione tiranneggiata dal tempo misurato dagli orologi sarà alla fine la causa della sua condanna terrena).
Siamo nel Nevada e il commissario sembra tornare al mondo, uscendo dalla galleria investito da una luce innaturale (di nuovo il motivo della luce che acceca della luce trascendente), come se si fosse nascosto tra le lande innevate per sfuggire a qualcosa che comunque lo attende. 


Dal suo ufficio, nel suo ultimo giorno di lavoro, vede un vecchio con le stampelle dalla sua finestra e vi proietta le angosce della sua imminente dismissione dal ruolo di poliziotto (in contrasto con le immagini della sua giovinezza che campeggiano nella stanza attraverso le foto appese alle pareti).





Una festa a sorpresa per il suo pensionamento attende Jerry con uno striscione che recita: Torna a pescare Jerry. Nel ballo Jerry è sfuocato mentre tutti gli altri personaggi sono a fuoco, per quanto non in primo piano. Jerry sta uscendo dalla storia per ritirarsi solitario ed estraneo al fluire della vita (gli altri continuano a danzare, ad essere in ballo letteralmente).
Il caso della bambina stuprata ed uccisa offre a Jerry l'opportunità di rimandare quel commiato a cui mancavano soltanto sei ore (nel romanzo la bambina, come nel film caratterizzata da una mantellina rossa in stile Cappuccetto Rosso, con tanto di panierino pieno di cibo, non era stata oggetto di stupro). Jerry si offre di comunicare la morte della figlia ai genitori che stanno lavorando in mezzo ad una miriade di tacchini in mezzo ai quali passa, lui si ora come un corvo portatore di sventura, tanto che la madre lo aggredisce; madre che poco prima aveva tra le mani un tacchino morto, un richiamo alla morte della figlia, e per Jerry quella è l'ennesima comunicazione di morte ad un familiare, l'ennesimo tacchino di cui certificare la morte. L'indifferenza degli animali è per metafora l'indifferenza di Jerry nei confronti del dramma singolo (la sua comunicazione è ripresa in un asfittico campo lungo), indifferenza e freddezza che nel romanzo è ammessa dallo stesso commissario nella stessa identica situazione.




E' una famiglia molto devota e la madre fa giurare il detective di fronte ad una croce (che sovrasta il volto dell'uomo) per aver salva l'anima, che riuscirà a prendere il colpevole. E' un giuramento solenne (molto più che in Durrenmatt) con una valenza religiosa molto forte (il padre non voleva che il poliziotto fumasse in casa loro a conferma di costumi rigidi e puritani di onesti ed integerrimi lavoratori, come del resto erano i contadini svizzeri di Durrenmatt). Il percorso di Jerry diventa quindi un percorso di redenzione e di epifania (apparizione e rivelazione della divinità) necessario per affrontare il giudizio finale di fronte a Dio e a se stesso. Jerry è chiamato in prima persona, la domanda è a lui, non alla polizia, il giurmaneto è suo, come uomo e non soltanto come rappresentante della giustizia. Jerry è insomma chiamato, forse da Dio, a dare un senso alla propria vita nella prospettiva di un imminente giudizio finale cui sarà sottoposta la sua anima. Intanto il poliziotto che ha accompagnato Jerry, fuma sull'altalena che era della bambina.



Seguendo i temi cari a Sean Penn, la vittima del pregiudizio, l'indiziato numero uno del delitto, diventa un indiano, per di più ritardato mentale (Benicio Del Toro), vittima per eccellenza nella cultura americana che sostituisce l'ambulante dei cantoni svizzeri di Durrenmatt. Un giovanotto testimonia di averlo visto fuggire dal luogo del delitto, un giovanotto che ritroveremo protagonista dei festeggiamenti del 4 luglio, perfetto americano di sani principi e "solidi pregiudizi".


Toby, questo il nome dell'indiano, si uccide dopo aver confessato l'omicidio di fronte ad un tenente che deve dimostrare la sua bravura, un arrivista insomma. Toby si spara rubando la pistola al poliziotto debole che si dondolava sull'altalena della bambina e un dente d'oro cade dall'intonaco del muro imbrattato del suo sangue.
Jerry, che sta per partire, è ora a fuoco al bar dell'aeroporto, mentre le sagome degli altri avventori sono sfuocate; sta pensando, e stanno per scattare le 11, l'ora in dettaglio dell'inizio, l'ora del giudizio. La fuga dal tempo degli uomini è rimandata e Jerry non sa ancora che lo sarà per sempre.



Rinuncia al viaggio ed arriva al paese innevato luogo dell'omicidio della bambina, una sorta di valle del giudizio; la sua anima lo tormenta e deve arrivare in fondo al caso (diverse inquadrature in plongee danno l'idea che Jerry si senta schiacciato dal peso di una responsabilità, quella della promessa fatta alla madre della vittima, che grava su di lui che ha rifiutato di appartarsi dal fluire della vita). Il primo negozio in cui entra è un bazar di articoli natalizi (con una dominanza del colore rosso che richiama al vestito della bambina uccisa) gestito da una strana signora che chiama un certo Oliver che però non compare; fin qui niente di strano, ma uscendo la campanella della porta suona (un richiamo beffardo del destino che l'uomo non può cogliere) ed attira Jerry, una sorta di suono trascendente una sorta di campana del giudizio che, alla luce di quanto accadrà nel finale, diventa uno snodo chiave del film. Jerry entra letteralmente in una sua personale valle del giudizio, una sua personale Giosafat e qui la sua anima si dannerà .



Jerry incontra quindi la nonna di Ginny (la bambina come Cappuccetto Rosso era andata dalla nonna, in questo caso per le sue lezioni di pianoforte) che confida e racconta al detective la fiaba preferita dalla nipote: è la fiaba L'angelo di Andersen (in Durrenmatt le fiabe della bambina erano quelle di Grimm). La morale finale della fiaba, raccontata dalla nonna,  conferma l'atmosfera mistica in cui siamo entrati avvicinandoci ai luoghi del delitto: Ogni volta che muore una bambina buona un angelo del Signore arriva subito dal cielo e la raccoglie con dolcezza tra le braccia poi apre le sue grandi ali bianche e vola con lei sopra tutti i posti che lei aveva amato durante la sua vita e allora la bambina raccoglie un grande mazzo di fiori e lo porta a Dio. 


Quindi incontra l'amica del cuore di Ginny che gli racconta di un gigante nero che regala porcospini e il cui disegno è appeso alla parete dell'aula scolastica. E' nel buio della scuola che Jerry trova il disegno che materializza l'uomo nero e l'auto nera, fantasma della psiche del detective che finalmente prende corpo (una torcia illumina il disegno immerso nell'oscurità).



A Sten, il nuovo tenente, Jerry dirà letteralmente che ha "sentito la chiamata all'imbarco, ma non ce l'ha fatta", imbarco in senso letterale e metaforico. L'imbarco finale lo condurrebbe di fronte ad un giudizio di cui ha paura e la salvezza dell'anima può passare da questa missione che si auto-impone ma che lo condurrà invece, inevitabilmente, in una valle del giudizio umana e non divina (un arcobaleno compare mentre è intento a pescare solitario nella sua barca). La sua ostinazione non è compresa dai colleghi che si lasciano scappare un emblematico: E' ridotto male...


Jerry Black compra un distributore nel cuore delle terre dove sono avvenuti tre omicidi di bambine in otto anni, è lì per un motivo, incastrare il colpevole ancora in circolazione. La visita alla psicologa diventa una sorta di incubo, che del resto i disegni di volti deformati appesi alle pareti dello studio in qualche modo preannunciano. Più che analizzare il disegno si arriva ad analizzare l'uomo che si sente incalzato da domande sempre più intime ed imbarazzanti (E' attivo sessualmente?). Quella visita si rivela un episodio umiliante (la dottoressa a più riprese mette in dubbio che da un disegno di una bambina si possano ricavare tracce e prove per arrivare ad un assassino), tappa necessaria in una sorta di percorso di purificazione dell'anima.  
E' il primo impietoso umano giudizio che riceve direttamente.




Alla televisione passa un programma di pesca che suggerisce che per una buona pesca le migliori esche sono quelle vive. E' un involontario suggerimento che di lì a poco Jerry prenderà alla lettera cercando una bambina da usare come esca per l'assassino. Ecco che casualmente questa bambina si materializza nella figlia della locandiera del bar che frequenta e casualmente questa stessa bambina riceve un porcospino di legno in omaggio e ciò conduce Jerry in una sperduta fattoria dove questi animaletti vengono prodotti. Siamo di nuovo all'interno di una famiglia molto religiosa, composta da una madre storpia e un figlio che, a sentire la donna, è molto devoto e predica spesso dal pulpito della chiesa locale. Jerry insomma, cui viene chiesto se crede, si trova di fronte ad un contesto sociale in cui scorrono, nemmeno troppo sotterraneamente, vene puritane e fortemente impregnate di una religiosità indiscutibile e ferma. Di nuovo casualmente la locandiera (Lory) e la bambina (Chrissy) capitano in casa sua dove si rifugiano per fuggire alla violenza dell'ex compagno della donna.




Lui legge Pollicina la notte di Natale che vede sbocciare l'amore con Lory. E' come una rinascita, una nuova primavera annunciata dall'arrivo degli uccelli e dallo sbocciare dei fiori nella sequenza immediatamente successiva a quella del bacio tra Jerry e Lory.


Jerry costruisce una altalena proprio di fronte allo store, nel mezzo della polvere proveniente dalla strada ma difende la scelta dicendo che la bambina è più sicura e sotto controllo in quel luogo. Nel romanzo questa situazione è con evidenza costruita ad arte dal detective che fa della bambina, scientemente, un'esca viva, qui la cosa è più sfumata. La festa del 4 luglio è un tripudio di colori e bandiere, ma tra la folla compare anche il grasso ragazzotto che aveva scoperto il cadavere della prima bambina nell'incipit della storia e per Jerry è come una visione improvvisa che riaccende i fantasmi del gigante che mangia i bambini, puntualmente evocato nel passaggio di un uomo con i trampoli nella sfilata e nella lettura di una fiaba che lui fa a Chrissy nel letto prima che lei si addormenti.




Il reverendo Jackson ha strani comportamenti con la bambina e Jerry lo vede fermarsi e parlare con lei. Questi le regala una croce e se ne va. Ciò è occasione per Jerry per parlare con la bambina e dirle che la Bibbia per alcuni è proprio come le fiabe che lui le racconta sui giganti, cioè non è vera, per altri lo è. Finché un giorno il reverendo non porta la bambina con sé. Jerry si butta all'inseguimento e alla fine trova una comunità riunita in preghiera attorno al proprio reverendo. In realtà Jerry vede l'incubo materializzarsi e la bambina uccisa dalla belva nuda del reverendo, ma è solo una allucinazione. La realtà della bianca ed immacolata comunità (i salvati del Giudizio Universale) si materializza di fronte a lui e il reverendo è solenne in piedi di fronte ad un disegno su cui campeggia una scritta: Oggi per sempre. Una nuova allusione al giudizio eterno ed insindacabile. 




Si torna ai ritmi distesi della fiaba con la bambina che gioca sull'altalena in una sequenza al rallentatore ripresa come in un sogno e Jerry che torna solitario sul lago a pescare, ma la minaccia è in agguato e una macchina nera sfiora la bambina di rosso vestita. Il mago è di nuovo comparso e, mentre la natura fa il suo corso, Jerry segue la bambina nella speranza di catturare l'omicida.


Nella trappola costruita dai vecchi colleghi di Jerry c'è insita una sfida nella sfida: non solo trovare questo omicida presunto ancora in circolazione ma rendere vera la figura del mago, renderla reale, concreta, viva in modo da dare un senso alla scelta di vita operata da Jerry. La campana del negozio torna a suonare, è l'ora del giudizio, ma sarà per Jerry un giudizio "umano, troppo umano"; il destino ha in serbo una amara sorpresa per lui.  


La sentenza del nuovo tenente, una volta fallita l'operazione di cattura del serial killer, a proposito del vecchio colpevole è: Jerry dovevate conoscerlo anni fa, ora è soltanto un ubriacone e un pagliaccio. Jerry è solo; vi è poi la sentenza della compagna Lory disgustata per il fatto che lui si è servito della bambina per le sue farneticazioni; intanto un corpo sta bruciando, nelle fiamme dell'inferno di un casuale incidente stradale che ha tolto di mezzo il serial killer  e ha condannato l'anima di Jerry alla dannazione (in fondo è proprio l'anima di quest'ultimo a bruciare tra quelle fiamme infernali con alcune dissolvenze che chiariscono la metafora congiungendo i primi piani di Jerry con quelli del cadavere incenerito).







E si torna all'inizio, Jerry è nel delirio, beve, ha ferite sul volto probabilmente autoinflitte è sulla china dell'autodistruzione, del lento incenerimento dell'anima che ritiene di non aver salvato. In Durrenmatt c'è un narratore che racconta la vicenda e riabilita la figura del detective a posteriori grazie ad un casuale incontro con la madre del serial killer morto in un incidente stradale. In Penn non vi è nemmeno questa consolazione, Jerry è lasciato pessimisticamente solo con se stesso ed irrimediabilmente escluso dal mondo perché considerato folle. Il giudizio umano lo ha distrutto quello divino non si è materializzato ed è rimasto nelle allucinazioni del protagonista. Il distributore è in abbandono ed una insegna di un omino sorridente che invita ad entrare nell'area di servizio chiude beffardamente il film mentre sullo sfondo Jerry si tormenta e si dilania per non essere riuscito a mantenere la promessa.



La dimensione in cui Penn situa il suo film è quella di un luogo di confine tra la civiltà rurale e provinciale di una America chiusa nelle sue abitudini religiose e una natura incontaminata ma fondamentalmente indifferente che fa da contorno alla deriva esistenziale del protagonista. Come avverrà in Into the wild, il confronto con la natura impone all'uomo un radicale ripensamento delle proprie coordinate esistenziali al punto che la fuga dalla civiltà condurrà inevitabilmente alla morte in un caso, alla follia nell'altro. In quest'ultimo caso è proprio la logica delle vicende umane che conduce a questo finale. E' una logica non-logica non razionale, frutto del caso e che manovra invisibilmente gli accadimenti umani. Il detective Black ne cade vittima proprio sul punto di abbandonarla per il meritato riposo (nel romanzo di Durrenmatt in realtà il protagonista rinunciava ad una promozione in Giordania).


Tant'è vero che agli occhi dei suoi ex colleghi, Jerry Black diventa una specie di Don Chisciotte che invece di scambiare mulini a vento per giganti, prende un predicatore di provincia per l'uomo nero...
Jerry Black è un uomo solo e solitario, sconfitto e fuori dalla storia; la sua battaglia è personale, non ci sono in ballo premi o promozioni e nemmeno il senso del dovere che non gli è più richiesto nella sua nuova condizione di pensionato; è una sfida a se stesso e al mondo; come il McCandless di Into the wild, questa sfida conduce l'uomo oltre la società, a contatto con la natura che assiste indifferente al tormento interiore degli uomini. Black è alla stessa ricerca del senso della vita che spinge McCandless ad abbandonare tutto e dirigersi verso le terre estreme dell'Alaska, un senso che non solo si cerca ma si vuol dare alla propria esistenza. 


Così l'indagine sulla morte della bambina diventa un percorso di catarsi che in realtà risulterà un percorso di dannazione (la morte fisica di McCandless è qui la follia funerea in Black, una morte dell'anima sottolineata dalla iniziale e finale presenza dei corvi). La sua solitudine, i due matrimoni falliti sono macigni da rimuovere con un'ultima impresa che riabiliti il detective ormai quasi fuori tempo massimo.


Ma le buone intenzioni non bastano, in quanto il mondo è in balia del caso e la razionalità non basta a governarlo (Questo perché Penn sostituisce alla morale pratica una morale metafisica in cui regna l’assurdo: il razionale non prevale affatto sul caos e chi fa affidamento sulla razionalità finisce per esserne la prima inconsapevole vittima. Dal momento della promessa l'investigazione diventa ossessione, angoscia perenne. Il poliziotto sente l'identificazione e la cattura del colpevole come un dovere morale, forse un riscatto alle tante occasioni della propria esistenza in cui si è mostrato inadeguato. Nell'inchiesta è lui ad essere in gioco, è la sua natura umana più che quella professionale. Indaga lentamente, pazientemente. Osserva, interroga e intuisce ma nulla è sufficiente di fronte al destino)*.



*Citazione tratta da Ondacinema 

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