Regia: Quentin Tarantino
Interpreti: John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Bruce Willis, Harvey Keitel, Quentin Tarantino, Tim Roth, Patricia Arquette
Produzione USA, 1994 Durata: 154'
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Il cinema, come forma di arte, è nella sua essenza pura
manipolazione del tempo che è interamente nelle mani del regista
demiurgo. Pulp Fiction non solo mette in campo orologi come elementi
significativi del tessuto narrativo, ma gioca palesemente con i piani
del racconto, alterando il flusso cronologico degli avvenimenti. Il
suo andare avanti e indietro nel tempo della storia che ci racconta
può assumere diversi significati (quello più banale è che sia un
puro divertimento del regista che sappiamo ami giocare con i clichè,
le aspettative e gli stereotipi del cinema e degli spettatori), certo
è che amplia la gamma delle possibili significanze della sua opera.
Sappiamo che Pulp Fiction ha una struttura ad incastro con tre storie
che si intrecciano (quella di Jules e Vincent e quella di Butch) con
l’azione che si volge nell’arco di tre giorni. Nella sua
particolare ricostruzione temporale, Tarantino apre e chiude il film
su un ulteriore intreccio, legato alla rapina al ristorante di
Pumpkin “Zucchino” (Tim Roth) e Yolanda “Coniglietta”, i cui
personaggi non avranno alcun peso nel resto della storia. Eppure il
film si apre proprio su una battuta di Pumpkin che dice di voler
chiudere con qualcosa, di voler cambiare vita, di farla finita (come
non ricordare l’analogo incipit di “The Truman Show” in cui
Truman preconizza la fuga da un mondo).
La sua voce inizia sul nero
dell’incipit: “Ho chiuso con queste stronzate”. Non sappiamo
esattamente cosa Zucchino voglia chiudere, ma il riferimento va al
finale e a Jules che veramente chiuderà con una parte della propria
vita. Pumpkin dice che non lo farà più, non sappiamo cosa, ma le
sue parole sono precedute dal rombo di una motocicletta, anzi un
“chopper”, che sappiamo avere un ruolo importante nella storia di
Butch, Bruce Willis (la sua fuga in moto chiuderebbe la trama e il
film, se questo seguisse un andamento cronologico). Buttiamo qui
subito uno spoiler della nostra interpretazione, tra le tante
possibili o impossibili: la moto porta il nome di Grace, che era la
fidanzata storica di Quentin Tarantino, ma è anche la Grazia, in
senso biblico, che coglie proprio Butch, nel suo finale atto di
misericordia verso Marsellus e coglierà Jules nel suo ravvedimento.
Dunque Pumpkin anticipa uno dei motivi cardine del film: qualcuno sta
per chiudere un capitolo della propria vita, sta per cambiare, sta
per mettere la testa a posto, sta per ravvedersi e trovare una strada
nuova di redenzione, non prima però di aver starnazzato come
un’anatra (sempre nel dialogo tra Amanda e Pumpkin), dopo aver
fatto quack quack quack, che è quello che faranno i
personaggi per tutto il film, un lungo starnazzare intorno a problemi
inessenziali come i differenti nomi degli hamburger, o le differenze
tra le abitudini europee e quelle americane.
Poi l’irruzione di una
cameriera (inquadrata con uno spiazzante primo piano) interrompe la
conversazione (“Volete un caffè?” chiede ai due avventori) che
riprende su un tono completamente diverso. Si inizia subito a parlare
di una rapina e della sua pericolosità, sembra veramente che quel
primo piano abbia chiuso l’incipit per introdurci nel flusso di una
azione che sarà poi il cuore pulp del film. La cameriera sembra
quasi inviata da una istanza narrante ad interrompere l’iniziale
dialogo, piuttosto criptico, vagamente moraleggiante, per sollecitare
e solleticare l’azione dei personaggi che diventeranno, nel giro di
poco, degli spietati rapinatori.
Sul piano medio bloccato di Yolanda
che intima agli avventori del ristorante di alzare le mani, partono i
titoli di testa con una musica sfrenata che ci catapulta in una
giostra pulp di violenza e sangue.
Pumpkin, entrando nel merito delle rapine, arriva a tracciare un
possibile scenario delle difficoltà di rapinare nella attuale
società americana, evidenziando un latente razzismo, ma
prefigurando, anche, ciò che vedremo succedere nel corso del film,
ed in particolare: “…poi ci saranno quei fottuti ebrei che
possiedono il negozio da 15 generazioni e troveremo nonno Irving
dietro il bancone con la sua stronza Magnum in mano, entra in questi
posti armato solo di un telefono e vedrai che fine fai…” (vedi
Butch di cui riparleremo).
Mentre Pumpkin e Yolanda stanno per
concludere la loro delirante discussione vediamo sullo sfondo passare
Vincent Vega, che sarà uno dei personaggi chiave della storia. La
rapina di Pumpkin e Yolanda, nelle sue premesse, si viene costruendo
in un crescendo di doppi sensi allusivi; Yolanda ha l’atteggiamento
di una donna che si sta eccitando; la pistola sul tavolo (nei suoi
ambigui significati) accende la passione e il bacio che ne segue;
“Sono pronta, facciamolo in questo momento, si qui” chiede
Yolanda che si passa prima la lingua tra le labbra e poi tiene le sue
mani sulle parti intime. Lo stretto legame di sesso e violenza è qui
evidenziato, il sesso sarà raramente consumato nel corso del film
(in una dimensione quasi onirica da Butch e come atto sodomitico,
punitivo per Marsellus), il suo surrogato violento troverà invece
larga applicazione. L’intero film sarà un eccitante viaggio in un
mondo di orgasmatica violenza, almeno in apparenza…
Intanto
la musica di una radio interrompe quella extradiegetica dei titoli di
testa, irrompono Vincent e Jules che saranno la chiave di volta
dell’intera vicenda, o meglio delle vicende narrate. Vincent è un
bambino abbagliato dalle meraviglie di Amsterdam, vero e
proprio paese dei balocchi da cui è rientrato da poco, dove puoi
legalmente fumare in un tranquillo coffee shop. E’ un interessante
antefatto (nonché il vero inizio cronologico delle vicende
raccontate nel film) il dialogo tra Vincent e Jules che si svolge
prima in macchina e poi nel corridoio del palazzo dove abitano le
malcapitate vittime dei due killer, perché ci suggerisce alcune
delle caratteristiche fondanti i caratteri dei due personaggi: Jules
ha un codice etico più rigoroso di Vincent che pare, da questo punto
di vista, più grossolano, infantile; se per Vincent è giusto
uccidere, o quanto meno gettare dal quarto piano di un palazzo, un
uomo che ha massaggiato i piedi di una donna sposata (Mia, la moglie
di Marsellus), per Jules la vendetta o il castigo devono essere
proporzionati alla colpa (per Vincent che un uomo che non è il
marito massaggi i piedi di Mia è una grave colpa).
Jules pare avere
un background più articolato di Vincent (che non sa cosa sia una
puntata pilota di una serie perché non guarda la tv, ma
successivamente dirà di aver visto un programma televisivo dunque
contraddicendosi o mostrando semplicemente di essere un bambino
bugiardo, un po' sbruffone, come quando dice di aver fatto migliaia
di massaggi a migliaia di donne diverse); la sua visione della vita è
meno grossolana rispetto a quella di Vincent (non ci stupiamo quindi
se alla fine troverà una via alternativa). Vincent è inconsapevole,
vive senza farsi troppe domande e fonda i suoi comportamenti su
codici semplicistici dei quali non ha una coscienza piena: “Quando
uno gioca col fuoco prima o poi si brucia” dice fatidicamente, ma
sarà il primo a non accorgersi di aver scherzato troppo con il
fuoco; e ancora in modo più candido dirà più avanti dopo aver
ucciso per sbaglio Marvin: “Quando un uomo ammette di aver
sbagliato, gli vengono perdonati tutti i suoi errori”. Jules, in
fondo, non è migliore di Vincent fino a che non prende
consapevolezza e dà un senso diverso a quello che fa. E’
interessante notare come i due killer compiano le azioni più crudeli
quando sono nei loro impeccabili abiti gessati, mentre escano senza
violenza da una situazione intricata (la rapina al ristorante) quando
sono in abiti ridicoli ed adolescenziali.
Ma quello che compiono nei
loro completi neri è una sorta di rito di cui loro sono i sacerdoti,
una rappresentazione che devono mettere in scena, tanto è vero che
Jules, prima di entrare nella stanza di Brett e compagni dice a
Vincent: “Coraggio entriamo nei personaggi”! Per Jules quella
vita è una sorta di recita a soggetto, ripetitiva pronta ad essere
abbandonata appena un segno si affacci all’orizzonte; per Vincent
non c’è alternativa perché la vita è quella senza se e senza ma;
Jules insomma si presenta come un personaggio pronto a cambiare se
stesso, Vincent no, perché vive ancora nel suo bozzolo infantile. Si
è voluto vedere in Jules una sorta di superuomo nietzschiano che
rinnova il senso della propria esistenza annullando i valori fin lì
perseguiti, pronto ad una vita da asceta errabondo, proprio come lo
Zarathustra del filosofo tedesco, oltre che il Carradine del film
Kung Fu che Jules stesso cita come esempio.
Poco
prima di entrare nella stanza di Brett (sono le 7,23 del mattino)
Jules ricorda a Vincent l’incombente impegno di occuparsi della
donna del capo, Mia, e gli fa il segno della pistola, ancora una
volta nel duplice senso che quell’oggetto evoca nella poetica
tarantiniana. Il tutto con i due personaggi ripresi di spalle.
La
sequenza della mattanza dei giovani “traditori” di Wallace si
compie in due atti che rompono la linearità temporale del plot (già
violata nella sequenza d’apertura del film). All’interno di
questa, Jules pronuncia il famigerato passo biblico tratto dal libro
di Ezechiele. Ne riportiamo il testo integrale, nella prima versione
che Jules scandisce:
Ezechiele
25:17. “Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte
dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini
malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona
volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché
egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei
figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con
grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si
proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu
saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la
mia vendetta sopra di te.”
E’
una sorta di formula sacrale che precede il rituale del sacrificio
della vittima, in questo caso Brett, ucciso a sangue freddo con la
complicità di Vincent. Il passo come sappiamo è un pastiche
inventato da Tarantino che mescola passi di varia provenienza
inserendoli in questo fantomatico Ezechiele 25,17. Per tre volte nel
corso del film noi sentiremo scandire questa formula; nei primi due
casi Jules la pronuncerà in modo meccanico e ripetitivo, con i
crismi appunto della frase rituale; nell’ultima evocazione Jules
avrà una consapevolezza nuova e la formulazione sarà seguita anche
dalla interpretazione.
Il
soggetto del passo, tanto discusso, è l’uomo timorato di dio il
cui cammino è minacciato dall’iniquità degli uomini malvagi.
Questi, per sopravvivere nel mondo, sembra aver bisogno di una sorta
di angelo custode che lo conduca per mano attraverso le tenebre della
violenza: il famoso pastore. Dio punirà i malvagi di una giusta
vendetta e benedirà il pastore di buona volontà.
C’è
un uomo timorato di dio nel film di Tarantino? Probabilmente no, e
colui che Jules salverà nel finale può dirsi tutto fuor che una
pecorella smarrita. Ma torneremo in seguito sull’argomento.
Questa
sequenza è anche quella della scoperta della valigetta, il Mc Guffin
del film, il Graal da riconquistare, il cui contenuto, che possiamo
scoprire grazie al codice del diavolo, 666, non viene però mai
rivelato allo spettatore. Tarantino ha detto di non aver voluto
mostrare il contenuto così che ogni spettatore potesse inserirci ciò
che più desiderava. La luce d’oro ci rimanda al mistero del
contenuto della borsetta in Bella di giorno di Luis Bunuel e
al contenuto dell’Arca dell’Alleanza nel primo Indiana Jones.
Jules
prima di uccidere la sua vittima mangia con lui (anzi, a dire il vero
gli ruba letteralmente il panino che i francesi chiamano Royal e gli
americani Quarto di libbra e Brett sa rispondere del perché di
quella differenza di nome, cosa che Vincent non era stato in grado di
fare!!!), atto supremo di umiliazione che ci riporta all’analogo
gesto di Sentenza ne Il buono, il brutto e il cattivo di
Sergio Leone, cui Tarantino deve certamente una buona fetta di
ispirazione (tre personaggi, tutti a loro modo cattivi, che bene o
male si incrociano e uno solo di loro muore; per non parlare del
triello finale di Jules, Yolanda e Vincent che ci rimanda a quello di
Tuco, Sentenza e il Biondo). Come Sentenza, Jules compie un lavoro e
una missione che deve portare fino in fondo perché così gli impone
il suo codice etico.
"Penso
che ti ritroverai, quando tutta questa merdata sarà finita, ti
ritroverai un figlio di puttana sorridente. …In questo momento ha
talento, ma, per quanto sia doloroso, il talento non dura e il tuo
tempo sta per finire…" Nel
discorso in voce off di Marsellus a Butch, che introduce il capitolo
dedicato a Vincent e la moglie di Marsellus, Mia (Tarantino ama, in modo
molto letterario, dividere le sue storie in capitoli), c’è un
concentrato di allusioni interessanti: innanzitutto la voce di
Marsellus, una sorta di grande padre per molti (sicuramente per
Vincent e Jules) e dunque la voce del principio di realtà, la voce
del padrone; pare anche per Butch essere una sorta di voce interiore
perché le parole che Marsellus pronuncia sono scandite sul primo
piano di Butch senza che il boss sia inquadrato ( e Butch non guarda
in camera, quindi non possiamo nemmeno parlare di una soggettiva di
Marsellus).
Quella voce interiore da una parte prefigura un sogno del
futuro (sarai un figlio di puttana felice), dall’altra fa i conti
con i fantasmi del tempo che passa (come ogni buona voce della
coscienza alterna il bastone alla carota). Nella prefigurazione del
suo futuro c’è un velato riferimento al comune destino che lo lega
a Jules: entrambi salvi, entrambi pronti ad una nuova vita, entrambi
dei sorridenti figli di puttana (ricordiamo la scritta sul
portafogli di Jules che Pumpkin aveva osato rubargli).
Butch è
l’altra figura che la fa franca nel film e accompagna idealmente
Jules in questo percorso di redenzione prestandosi al finale gesto di
pietà verso Marsellus violato da Zed. E Butch è proprio il
personaggio della voce interiore, del padre perduto che è lì pronto
a riemergere. L’apparentemente inspiegabile gesto finale di pietà
verso Marsellus, non è soltanto un escamotage per conquistarsi la
libertà e il perdono del boss, ma è anche una adesione alla voce
interiore che si era fatta sentire poco prima del combattimento. Butch
sogna o meglio ricorda l’incontro con l’amico del padre, morto in
un campo di prigionia in Vietnam, la consegna dell’orologio e il
carico di responsabilità, anche morali, che quell’eredità gli
aveva lasciato (Walken, descrivendo la sorte del padre a Butch, fa
una sorta di profezia: Speriamo che due uomini non debbano vivere
una situazione del genere (la prigionia e la tortura ndr.)…tu
ti fai carico di certe responsabilità dell’altro). Il principio di realtà è per Jules nelle scritture, per Butch nella voce paterna. Padre celeste e padre terreno.
Marsellus
in mano ai torturatori non deve finire come il padre, Butch ha la
possibilità di redimersi salvando simbolicamente quel padre perso in
una prigione in cui non può morire per la seconda volta. Il cameo di
Walken ci conduce al suo ruolo ne Il cacciatore, alla roulette
russa nel campo di prigionia vietnamita che certo nella conta finale
di Zed è richiamata. La ruota della fortuna può condannarti alla
salvezza o alla morte.
Prima
di uscire dal locale di Marsellus, Butch incrocia Vincent e Jules
vestiti in modo eccentrico. Hanno la valigetta e mentre Jules va in
bagno, Vincent affronta a muso duro Butch. Nella sceneggiatura questo
incontro aveva una conseguenza nel fatto che Butch avrebbe poi rigato
la macchina di Vincent (e sappiamo quanto abbia discusso Vincent su
quell’episodio e su quale vendetta meritasse l’autore dello
spregio); ma al di là di questo, è interessante notare come, in una
scansione cronologica del film questo sarebbe stato l’ultimo
passaggio di Jules sullo schermo. Il suo commiato è emblematico: "Devo andare a pisciare…" dice ridendo di gusto sulla sfida che
attende Vincent che deve portare a divertirsi Mia, la moglie di
Marsellus.
Ebbene Jules va dove è sempre andato il suo compare, al
bagno, luogo simbolo del film. Vincent va sovente in bagno e lo fa
sempre in momenti decisivi estraniandosi dal contesto per
rinchiudersi nel bozzolo infantile dell’intimità per eccellenza.
Qui può leggere Modesty Blaise, può sproloquiare di fronte allo
specchio, facendosi coraggio per l’approccio a Mia, ma questo suo
isolarsi nel luogo sporco ne segna anche il destino, perché è
proprio uscendo da un bagno che viene ucciso. Ebbene la vicenda
scatologica di Vincent è lì a rimarcare la sua candida idiozia di
uomo a una dimensione dalla quale non può uscire. Se potessimo
riordinare il film in senso cronologico però questa fuga nel bagno
sarebbe anche l’ultimo gesto che vedremmo compiere da Jules…e
allora? L’ironia tarantiniana colpisce ancora: Jules ha parlato, si
è redento, ma poi le cose nella vita cambiano in fretta…e allora
quella vita da asceta potrebbe essere solo una pia illusione, una
colta e momentanea elucubrazione di Jules che poi non ha nessuna
intenzione, pure lui, di cambiare… un enorme Mc Guffin tesoci da
Tarantino? Perché no?
Jodie
è la moglie di un pusher che fornisce Vincent di droga; sta parlando
dei suoi piercing che sono altrettanti peni sul suo corpo; in questo
modo ha inizio la parte centrale del film, concentrata su Vincent e
Mia, che è la parte che potremmo associare all’idea del sesso
nella sua accezione più naturale.
Quello tra Mia e Vincent è un
incontro potenzialmente erotico il cui gioco è immediatamente
scoperto con quei dettagli sulle labbra e sui piedi (feticismo) di
Mia, una donna abituata a comandare, tanto che guida letteralmente
Vincent attraverso un telecomando e una serie di telecamere (e
Vincent si muove nello spazio quasi sacro della casa di Marsellus
guidato da una voce femminile che lo telecomanda).
Il potenziale
erotico della situazione si intensifica con il ballo nel locale Jack
Rabbit Slim, un concentrato di cultura pop, pieno di sosia e di
oggetti di culto dei mitici anni Cinquanta e Sessanta (tappezzato di
film di culto di quella generazione), all’interno del quale Mia e
Vincent procedono al rito del ballo, del twist, che è un vero e
proprio rituale di corteggiamento e un lungo ed intenso preliminare
da concludere a casa di lei, dove infatti continuano a ballare. Ma
l’esplosione erotica che ci aspetteremmo non avviene, Vincent
emerge ancora una volta come un adolescente a una dimensione incapace
di penetrare la fanciulla che lo sta seducendo. E’ un rito che si
interrompe, un coito che non parte e, alla fine, l’unico modo in
cui Vincent riuscirà a penetrare Mia sarà con quell’ago gigante,
surrogato del pene gigante ed ideale (del resto gli aghi sul corpo, i
piercing, lo aveva detto Jodie, sono altrettanti peni). E il risveglio di Mia ha vagamente il sapore di un orgasmo.
Vincent
sedotto da Mia è alle prese con le sue paure da adolescente
immaturo, certo ingigantite dal timore della punizione di Marsellus
(la voce del super io) e così diventano scrupoli di coscienza volti
a provare il proprio senso di lealtà. Ma nel bagno Vincent fa quello
che farebbe un adolescente al primo incontro, si fa coraggio, si
mette alla prova per poi ceder alla tentazione di concludere con una
fanciullesca masturbazione (del resto la stessa Mia balla una canzone
che ha nel ritornello il motivo della ragazza che si farà donna, in
un clima da primo incontro adolescenziale). Certa critica ha bollato
Tarantino come omosessuale, talaltra come autore che rivive nei suoi
personaggi le proprie frustrazioni giovanili, certo è che Vincent
anche in campo sessuale si mostra un personaggio infantile, oseremmo
dire impotente nella sua immobilità (che le statue africane che
costellano la casa di Mia sembrano alludere).
Mia, respinta sul suo
terreno, quello della seduzione maliziosa, è come una zombie (anche
e soprattutto nell’aspetto) che risorge per tornare alla sua
esistenza di morta vivente dentro le mura della prigione costruitale
da Marsellus (nella sceneggiatura era previsto che Mia si
risvegliasse proprio come una zombie).
Vincent sembra un uomo debole
manovrato dagli altri (in fondo Marsellus lo comanda, Jules lo
rimprovera, Wolf lo rimprovera, Mia lo comanda) un mammone che ben
conosce le tre M che si aggirano per il locale da ballo (Marylin,
Mansfield e Mary Van Doren altrettante sosia di star
degli anni Cinquanta) con la loro mise quasi felliniana, stereotipo
di una donna irraggiungibile, divina e dunque castrante che
sostituiscono Mia, la quarta M, l’unica veramente raggiungibile (M
anche come Mother, naturalmente).
Dopo averle conficcato la siringa
nel cuore (e Lance si era raccomandato di colpire con una sola
coltellata e poi premere sullo stantuffo!!!) Vincent si accascia al
suolo come un amante sfinito dopo l’orgasmo. L’amica di Lance
esclama: Uau, meglio di una strippata! I due zombie ritornano a casa
e Mia racconta la barzelletta del pomodoro: il pomodorino è Vincent
che deve stare concentrato se non vuole essere schiacciato, se non
vuole bruciarsi col fuoco; ma noi sappiamo che ciò è troppo per il
nostro antieroe). Del resto se Vincent non fosse stato un debole
probabilmente Marsellus si sarebbe guardato bene dall’affidargli la
propria arzilla mogliettina…
L’altro
personaggio che se vogliamo somiglia al Vincent impacciato
dell’incontro con Mia è proprio Jimmie, ovvero lo stesso Tarantino
(guarda caso) che ha paura della moglie, che vive in un contesto in
cui la consorte sembra dominare (Bonnie, che è una donna di colore
come Marsellus, somiglia molto a Connie, il nome della madre di
Quentin Tarantino) e che, simbolicamente, passa i suoi goffi vestiti
ai due gangster inzuppati di sangue. Nella sceneggiatura originale
sulla maglietta di Jules doveva campeggiare una scritta che chiariva,
se ancora ce ne fosse stato bisogno, lo status di Vincent: I am with
a stupid (io sono con uno stupido). Quando poi Tarantino vede i due
killer in brachette si lascia andare ad una esclamazione che è
altrettanto chiarificatrice: Sembrate due cazzoni…salvo poi
sentirsi ribattere che i vestiti sono i tuoi, stronzo!!!
Ecco
allora che per contrasto la vicenda del combattimento di Butch (che
resta nel non mostrato) e del ritorno al motel dalla fidanzata che lo
aspetta ci offrono un personaggio antitetico a Vincent sotto molti
aspetti. Butch è un malvagio, al pari di tutti gli altri personaggi
del film, ma è capace di violare il totem di Marsellus e dunque è
libero di giacere con la donna che lo aspetta. Al pari degli altri
personaggi non ha rimorsi per quello che ha fatto (ha tradito il
patto con Marsellus e ha ucciso il suo avversario) ma ha poi un
ravvedimento finale che lo porta ad abbracciare la pietà e la
compassione nei confronti di Marsellus. Butch è un duro vero, un
uomo forte che ha una figura paterna di riferimento, per quanto
ideale, che lo guida nelle sue azioni.
Jules troverà una sorta di
padre celeste verso cui volgersi, mentre Vincent rimarrà l’uomo
con una madre (tre M) e nessun padre, tranne quel Marsellus che è
padre di tutti. Abbiamo detto del sogno rivelatore di Butch, dobbiamo
soffermarci sulla sua fidanzata Fabienne che lo aspetta nel motel.
Perché è francese? Alcuni critici hanno evidenziato un metadiscorso
di Tarantino rivolto al cinema francese. Il film è pieno di
riferimenti alla cultura francese (dal discorso sugli hamburger, ai
nomi di tanti personaggi che sono francesi come Jules e Vincent) e
Fabienne rappresenterebbe il cinema francese che evidentemente
tarantino non ama. Ad un certo punto la ragazza si trova
letteralmente dentro uno schermo nel bel mezzo di una sequenza di un
action movie di serie b americano (movie e non film); pare
schiacciata, minacciata e Butch la rimprovera aspramente per essersi
dimenticata del suo orologio paterno (comprato da un bisnonno a
Knoxville, città natale di Quentin Tarantino): Fabienne non ha il
senso del tempo, ha perso il senso del tempo, come tutto il cinema
francese (è la tesi di Randall E. Auxier, nel saggio Il pessimo
giorno di Vinnie), frigna quando Butch torna al motel sano e salvo e
vuole le coccole, da un macho che invece avrebbe ben altra carica
erotica (vedi l’eccitazione della tassista nel solo vederlo
riflesso nello specchietto).
Quello
che il caso apparecchia per Butch è spassoso. Incrocia Vincent che
lo stava aspettando nel suo appartamento e Vincent è ucciso e punito
perché ancora una volta in bagno, ultimo gesto di ritiro fetale dal
mondo; poi incrocia Marsellus, in una sequenza che è una citazione
da Psycho di Hitchcock. Nel folle inseguimento che ne segue i due
finiscono bene o male là dove Pumpkin Zucchino aveva predetto
qualcuno sarebbe pur dovuto finire, in quel negozio di ebrei pronti
ad ucciderti se non ti presenti armato (con un Irving qualsiasi che
tira fuori la sua arma e ti uccide, ma qui sarà anche peggio). Il
negozio dove finisce Butch non è espressamente un negozio ebraico,
ma Tarantino sparge indizi interessanti: intanto è un negozio che
vende di tutto e nel quale è possibile prendere denaro a prestito
(l’ebreo usuraio) e poi nello scantinato compare l’angelo
vendicatore, quello Zed, poliziotto biondo che ha il simbolo dello
sceriffo sul petto e che, senza dubbi, è anche la stella a sei punte
di Davide. Zed in ebraico vuol dire Il Signore è giusto, La
giustizia di dio e non aggiungo altro.
Butch e Marsellus devono
passare per la punizione che permette loro di rinascere. La
sofferenza in chiave catartica e la redenzione di Butch che torna
indietro per salvare Marsellus dall’inferno di Hanoi, pardon
dall’inferno del retrobottega (fra i cartelli che compaiono nel
negozio merita attenzione quello che recita: 4 ore per redimere,
riscattare, i gioielli!). Nella scelta dello strumento adatto per
colpire gli stupratori, c’è chi vi ha letto una metafora dello
sceneggiatore che sceglie una soluzione narrativa tra mille e quindi
scarta la motosega perché non è Venerdì 13, scarta la mazza da
baseball perché non è I guerrieri della notte e così via, portando
Butch a scegliere la katana perché è lo strumento tarantiniano per
eccellenza, tanto più che il regista stava scrivendo la
sceneggiatura di Kill Bill in cui la katana è l’arma della
vendetta e della giustizia.
La fuga con Fabienne non poteva che
avvenire a cavallo di un chopper rubato a Zed (il chopper di Easy
Rider, simbolo di libertà) su cui campeggia la scritta Grace che era
sì la prima fidanzata di Tarantino, ma è anche la Grazia che scende
su Butch per salvarlo. Questa sarebbe la fine cronologica degli
eventi ma sappiamo che Tarantino ha rimescolato le carte ed ecco
allora che il finale va a raccontare la storia della redenzione di
Jules.
Il
tutto riparte dalla sparatoria nella casa di Bratt. Sul muro ci sono
già i segni dei proiettili (errore di Quentin, svista voluta, o
miracolo cinematografico???) prima che il giovanotto nascosto nel
bagno (!!!) esploda i suoi sei colpi contro i due killer (come
ricordava il Biondo ne Il buono, il brutto e il cattivo, sei è il
numero perfetto perché sei sono le pallottole dentro alla sua colt).
Nessuna pallottola colpisce i nostri eroi ed è la rivelazione,
l’epifania, ma solo per chi può e vuole vedere. Vincent, lo
stupido intorpidito, non sa veder niente altro che una pura
coincidenza e non sa capire l’euforia di Jules che crede nel
miracolo. Jules è convinto della rivelazione, Vincent è cieco e non
sa vedere.
La vicenda a casa di Jimmie è una sorta di parentesi che
ci riporta poi al ristorante dell’inizio. Mr Wolff è un
personaggio grottesco che pare la caricatura di un piccolo borghese
in grado di ordinare qualsiasi cosa con la forza della propria
matematica efficienza. Vincent trova ancora il tempo di farsi
rimproverare perché non sa lavarsi (come i bambini), viene
rimproverato da mr. Wolf e si becca del cazzone da Jimmie in quella
che è l’apoteosi dell’evidenza della sua inadeguatezza.
Il
ritorno al ristorante, in quel cerchio narrativo che si chiude,
diventa l’occasione per verificare il cambiamento avvenuto in
Jules. Jules è pronto a ricreare un nuovo senso alla propria
esistenza proprio partendo dall’analisi del senso delle parole che
ha sempre detto meccanicamente. La riproposizione della formula
biblica è ora oggetto di interpretazione che deve fare luce sul
messaggio che nasconde e sul senso che essa deve assumere per la vita
di Jules. Questi ha deciso che farà l’asceta, ma agli occhi di
Vincent non diventerà altro che un barbone senza lavoro e senza un
soldo. Vincent è l’uomo comune che deride il folle portatore del
messaggio del superuomo che carica la vita di un nuovo significato.
Vincent corre di nuovo in bagno ed esce dal mondo, nuovamente, mentre
Jules si fa portatore di una diversa novella. Jules vuole diventare
il pastore e abbandonare la via degli uomini malvagi e così
risparmia la vita a Pumpkin e Yolanda (mentre Vincent, di rientro dal
cesso, vorrebbe, come al solito, farli fuori in un colpo solo).
Nella
sequenza finale, l’uscita di scena dei due killer, per quanto in
coppia e sintonizzati nei movimenti, ci racconta di due destini ben
diversi (e la costruzione cinematografica del racconto operata da
Tarantino ci permette di cogliere appieno questa contraddizione tra
la simmetria dei movimenti dei due protagonisti e la differenza
sostanziale che li separa), di due personalità ben diverse pur nella
somiglianza del loro abbigliamento e dei loro modi. Vincent fa quasi
tenerezza nella su ostentazione di una sicurezza e di una forza che,
abbiamo visto, non possiede assolutamente.
La
scelta della compassione e della pietà vincono sulla vendetta e la
ragione dell’occhio per occhio. Jules è portatore di un nuovo modo
di pensare (potremmo definirlo evangelico) che bandisce il mondo
veterotestamentario del dio che punisce e scende con somma potenza
sugli uomini. L’ebreo punito, Zed pronto al martirio, rappresenta
la fine di questa visione manichea che il film sembra in qualche modo
esorcizzare. Sappiamo che il cinema di Tarantino in realtà non
abbandonerà la via tracciata dalla parole di Ezechiele e andrà
continuamente cercando personaggi che incarnino una mano vendicatrice
che rappresenti l’arma del Signore Onnipotente (a partire dalla
sposa di Kill Bill). La fascinazione per la giusta vendetta fa parte
del suo mondo e del resto, abbiamo visto, anche l’asceta Jules
presto avrà bisogno di tornare in bagno.
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