Regia di Emanuele Crialese
Un film con Charlotte Gainsbourg, Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Aurora Quattrocchi, Filippo Pucillo.
Titolo originale: The Golden Door. Genere Drammatico - Italia, Francia 2006 Durata 111 minuti; distribuito da 01 Distribution
Si può raccontare
dell’emigrazione italiana tenendosi alla larga da alcuni ovvi
stereotipi visivi che ci aspetteremmo di trovare? La comparsa della
statua della Libertà di New York, magari affiorante nel mare di
nebbia che avvolge gli emigrati al loro arrivo a New York; la nave in
tutta la sua maestosità che solca i mari con l’imponenza
dell’ennesimo Titanic che varca gli Oceani; il contrasto tra la
selvaggia natura siciliana e la tecnologica modernità americana
(qualche grattacielo in lontananza). Ebbene niente di tutto questo
nel film di Crialese che ci racconta un viaggio dell’anima più che
un esodo storico, un viaggio che sembra condurre i personaggi
attraverso più dimensioni legate da una unica costante onirica. La
magica e primitiva dimensione in cui sono immersi i contadini
siciliani di Nuovomondo viene abbandonata per una direzione ignota
(non compaiono mappe, cartine, immagini realistiche dell’America,
ma soltanto fotografie assurde, grottesche che sembrano illustrazioni
di film fantastici) per un altrove che è sogno e speranza e nulla
più.
Il viaggio però deve
essere benedetto e così i personaggi che compaiono e si approssimano
all'impresa guardano spesso verso l'alto, e richiamano la divinità
con una ritualità pagana che mescola la superstizione primitiva ai
simboli della fede cristiana.
L'attesa di un segno, la conferma
magica che quel viaggio si deve e si può fare. Il Nuovomondo pare
l'altro mondo che apre ad una nuova vita dopo la morte della
presente. In fondo che cos'è se non il Paradiso quel lago di latte
su cui si immergono immaginificamente gli eroi della storia?
Del
resto la vestizione dei tre giovani maschi pare la vestizione funebre
e avviene con vestiti di morti illustri (scarpe e vesti di un
brigante) e il sensale ricorda loro che in questo modo potranno far
viaggiare i morti con sé.
Se il partire è un pò morire in questo
caso la partenza si connota di atmosfere funebri, dalle vesti nere
della madre, ai saluti, agli addii agli animali.
Il ricongiungersi
con il fratello gemello è la lontana causa che viene evocata ma pare
che Crialese racconti di un viaggio che non abbia un vero e proprio
motivo trainante, quasi che la partenza fosse una tappa obbligata di
una esistenza senza sbocchi e senza futuro. Non c'è progetto, non
c'è coscienza di quello che si troverà, solo la forza di una
volontà che ha radici profonde e che non può essere focalizzata. Le
stesse apparizioni delle verdure giganti incutono timore in Salvatore
e il sogno del denaro si risolve in una sorta di sepoltura. Presagi
di morte accompagnano le atmosfere di una partenza che non ha niente
di gioioso, ma solo la stringente necessità di qualcosa che non si
può sfuggire.
Ma ecco che compare un prete, un uomo che pare come il
pastore che guida le pecore che trova parole che sembrano dare un
senso diverso alla partenza. La morte, il sotterramento (letterale quello del protagonista) sono in
realtà le premesse di una nuova vita; il seme, sotterrato, diventa
pianta e può generare qualcosa di diverso.
La partenza è
rappresentata come un lento ma inesorabile distacco, in cui coloro
che partono e coloro che restano sono per un indefinito istante
uguali, indistinguibili. Il mare, l'acqua lentamente li divide e il
suono assordante di una sirena richiama gli emigranti a guardare
altrove a distaccarsi dalle loro radici perchè qualcosa di nuovo li
aspetta.
Ma quella massa è passiva, in balia della nave, del mare
mosso, dei truffaldini mercanti di uomini che spingono quegli esseri
umani come bestiame da condurre al recinto. Le assonanze con il
presente sono fin troppo evidenti, non è una migrazione particolare
che Crialese ci racconta, ma la migrazione nella sua essenza più
profonda: doloroso distacco da una realtà che non apre ad un nuovo
orizzonte, ma si carica dell'angoscia di chi non ha messo a fuoco il
futuro. La perdita d identità e il distacco dalle radici vitali non
viene sostituito se non da immagini provvisorie come quelle che i
Mancuso si concedono negli scatti dei fotografi alla partenza.
I
Mancuso non sono più e non sono ancora, provvisorie sagome in balia
degli eventi (del resto il loro è un cammino passivo, come se
fossero trascinati da una corrente che non riescono a fermare; il
carretto che i conduce lontani dalla comunità è come la nave che li
allontana dal vecchio mondo).
E la tempesta li vede di nuovo corpi in
balia degli eventi, sballottati dentro il ventre di una anonima
balena di acciaio, che emette suoni sinistri e che incute timore nel
giovane Mancuso, nave che mai vediamo per intero, che solo intuiamo e
sentiamo. Il viaggio anche nelle scelte di stile del regista (che usa
la macchina a mano e sta vicino ai personaggi, li pedina, li accosta
nel loro soffocare tra altri corpi) ci viene mostrato come un
percorso claustrofobico senza coordinate precise e senza nemmeno un
approdo preciso con quella nebbia dentro cui si immergono i migranti
e la loro nave.
Luce è la borghese che
entra in scena e cattura l'attenzione e lo sguardo di tutti i
personaggi. Lei incarna veramente l'illusione del cambiamento, lei
bianca in mezzo a gente scura, ruvida, abbronzata, lei pulita e
soprattutto elegante, diversa, ma nello stesso tempo inchiodata come
gli altri ad un destino che non pare offrire alternative. Così è
lei a chiedere la mano di Salvatore, con cinismo e realismo, senza un
briciolo di amore, lei diventa il passaporto per il nuovo mondo, il
tramite che permette di proseguire il sogno, tanto è vero che
Salvatore fa il suo bagno nel latte proprio con Luce (nomem est
omen).
L'arrivo a Ellis Island
non è un vero e proprio arrivo ma la prosecuzione di un cammino
forzato che trova altri burocrati e soldati a spingere la folla verso
l'ignoto destino. Non c'è soluzione di continuità tra le stanze dei
medici in Italia, la stiva della terza classe nella nave e gli
ambienti reclusori di Ellis Island, quasi che quello rappresentato
fosse un sistema organizzato, coeso, coerente che giocava con le
persone e le sfruttava senza pietà. In che paese siamo? Che giorno
è? Chiedono i solerti burocrati americani ai Mancuso, disorientati
come tutti gli altri passeggeri di un viaggio che pare non aver
condotto da nessuna parte.
Ma ecco che si apre il
mondo borghese che Luce ha anticipato. E' il mondo dell'ordine e
della pulizia, del controllo e della selezione, dei test
d'intelligenza e delle idee eugenetiche (la selezione in base al
quoziente intellettivo) e classiste.
Luce è perfettamente a suo agio
in quel mondo, i cui corridoi geometrici, le cui immense aule pulite
ed ordinate stridono con le pietraie dei paesaggi agresti della
Sicilia e le sue capanne in pietra. I test di intelligenza indicano
parametri che i Mancuso non possono cogliere, ma Salvatore dimostra,
a suo modo, un senso non stupido di risolvere i problemi propostigli,
una logica diversa che dimostra il relativismo di tali prove.
In un momento di intenso
lirismo, Luce e Donna Fortunata (madre Mancuso) si trovano l'una
vicino all'altra e si guardano, si sfiorano quasi mentre intorno a
loro il mondo pare fermarsi. Le due dimensioni paiono essere al
confronto finale: il mondo borghese di Lucy che è guardato da quello
contadino e magico di Fortunata; Luce pare a disagio come se avesse
capito lo sguardo severo di Fortunata che pare avere compreso essa
stessa il senso di ciò che sta succedendo intorno a lei. La vincente
e la sconfitta, se una vincente c'è in questo cammino della
speranza.
La selezione, le prove di
logica che devono attestare una presunta intelligenza minima per
essere degni di quel mondo (<Voi vi credete Domineddio>, dice
Fortunata ai suoi esaminatori) e i test sono altrettanti ostacoli
verso quell'America che i migranti appena intravedono tra le fessure
delle vetrate, con i grattacieli in lontananza e quelle strane
scatole di legno che portano le persone ai piani alti.
Il finale può essere
interpretato come un sogno duplice: uno oscuro con quel buio da cui
emergono le sagome dei Mancuso (che paiono una sacra famiglia, con
Fortunata che, come dice lo stesso Salvatore, pare una Madonna) che
immaginano di poter rispondere ai divieti dei loro inquisitori,
tant'è che perfino il giovane sordo muto si mette miracolosamente a
parlare; uno chiaro, con i Mancuso e gli altri migranti che emergono
dal latte e nuotano verso una imprecisata destinazione dentro il
Nuovomondo. Di fronte ad un mondo che si rivela ostile, problematico
e talvolta incomprensibile, i Mancuso, e Salvatore in particolare, si
rifugiano in quella dimensione del sogno che appare loro come il più
sicuro rifugio ad una realtà che faticano a sentire amica.
Il viaggio, prima che
materiale, pare dirci Crialese, è soprattutto interiore.
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