La corazzata Potemkin
Regia: Sergej Michailovic Ejzenstein
Cast: Grigorij Alexandrov, Vladimir Barskij, Alexandr Antonov
Distribuzione: Goskino
Durata: 70'
Produzione: Jacob Bliokh
Sceneggiatura: Sergej Michajlovic Ejzenstejn, Nina Agadzhanova, Nikolai Aseyev, Sergei Tretyakov
Fotografia: Eduard Tissé
Scenografie: Vasili Rachals
Montaggio: Sergej Mikhajlovic Ejzenštejn, Grigorij Aleksandrov
Musiche: Edmund Meisel
Prima Parte: Uomini e
larve
L’impeto
rivoluzionario, che incarna la volontà della massa, è come un mare
in tempesta che sta battendo con veemenza sul potere zarista.
I marinai Matyushenko e
VaKulinchuk rappresentano due uomini di questa massa in movimento che
operano sulla corazzata Potemkin.
Tocca a loro risvegliare
lo spirito dormiente dei giovani marinai
Lo scontro si accende sul
rancio che tocca ai soldati, un cibo fatto di carne piena di vermi e
di zuppa senza sapore. I soldati, di fronte ad impassibili e cinici
comandanti si rifiutano di mangiare. E’ il primo passo della
rivolta
Una iscrizione evangelica
su un piatto appena lavato attira l’attenzione di un marinaio delle
cucine. Questi spacca per la rabbia quell’oggetto la cui iscrizione
risuona beffarda
Seconda parte: Dramma
nel porto
Le sagome nere degli
ufficiali si stagliano minacciose come i cannoni sui bianchi marinai
che si radunano sul ponte della nave.
Il capitano della nave è
pronto ad ordinare la punizione esemplare per coloro che non hanno
apprezzato il cibo
Con la benedizione di un
prete il cui crocifisso è uno strumento, un oggetto che sembra
incombere sulle povere vittime al pari dei fucili spianati e dei
cannoni impassibili, i marinai infagottati sotto dei teli che ne
annullano l’individualità (suprema umiliazione) sono pronti al
martirio ma una parola rompe la tragica sequenza: fratelli, un
urlo che Vakulinchuk esplode come un colpo di cannone. E’ una
invocazione ungarettiana alla pietà.
I freddi simboli del potere (il
crocifisso, l’aquila del rostro, le armi dei soldati) si stagliano
di fronte all’umanità dolente e inquieta dei poveri marinai (che
si muovono disordinatamente, rompono le righe indotte dalla
disciplina e fanno da ulteriore contrasto con le fila inquadrate
delle guardie nere sul ponte). Qui abbiamo, attraverso un passaggio
di montaggio intellettuale o delle attrazioni, un collegamento tra
immagini che trasmette un chiaro significato ideologico inducendo
nello spettatore una reazione emotiva: il potere della Chiesa è
colluso con quello zarista.
La rivolta contro il
potere costituito è la rivolta contro il capitano e i suoi scagnozzi
ma anche contro il prete che Vakulinchuk definisce uno stregone.
Proprio Vakulinchuk è la vittima della rivolta, una sorta di Cristo
in croce, questo sì dalla parte degli afflitti e non da quella dei
potenti. Il crocifisso, simbolo dorato proprio di quel potere, è
conficcato per terra.
Odessa diventa ora il
centro dell’azione. La rivolta dalla nave si allarga al popolo
della città. Ma Odessa è anche il luogo in cui giace il corpo di
Vakulinchuk, morto per un piatto di zuppa, come ricorda la scritta
che giace tra le sue mani.
Terza parte: Un morto
reclama giustizia
Anche il porto di Odessa,
come i marinai dell’incipit, sembra essere dormiente sotto una
coltre di nebbia che anticipa il crepuscolo. Nel mezzo del porto la
salma di Vakulinchuk esposta come in un reliquiario attira uomini e
donne che la omaggiano con grande rispetto. Quello del popolo in fila
è un omaggio ad una vittima, l’ennesima, di una iniqua tirannia.
Gloria eterna a chi è
morto per la rivoluzione cantano i popolani che accorrono. La massa è
unita attorno a quello che è diventato un simbolo. La massa sta
muovendosi.
Al grido di Il futuro
è nostro, il popolo in marcia si muove contro coloro che sono
chiamati tiranni, vampiri e macellai. Eizenstein ci offre, di questa
massa in marcia, le istantanee e i primi piani dei volti, delle
espressioni e delle emozioni che animano i singoli che le
appartengono. Il popolo ha un volto e un’anima e questa sta per
irrompere nella Storia. I dettagli dei pugni di questi uomini ci
danno una ulteriore idea della forza che li anima e che è pronta ad
emergere.
I marinai e il popolo dei
lavoratori tutti si unisce contro il comune nemico. Ed ecco la
bandiera rossa (appositamente colorata dallo stesso Eizenstein in
sede di montaggio) che si issa sul pennone più alto della Potemkin.
E’ il trionfo della volontà del popolo, è il trionfo del
comunismo.
Quarta parte: La
scalinata di Odessa
E il popolo fraternizza
con i marinai e con piccole barche la gente di Odessa si stringe
attorno a quello che è diventato il simbolo della loro rivolta.
Anche i borghesi sembrano partecipare a questa vera e propria
celebrazione laica.
Ma improvvisamente ecco
una tempesta abbattersi su quella gente in festa. I bambini vengono
interrotti nel loro festeggiare dall’irrompere di minacciose ombre
che si materializzano nei soldati inviati dallo zar che è
simbolicamente rappresentato da una statua nera che domina sulla
scalinata. Sullo sfondo una chiesa chiude il cerchio di un potere che
stritola il popolo (croce e baionette i simboli dell’oppressione).
Un bambino vestito di
bianco, un neonato, anch’esso avvolto in un telo bianco, sono due
delle vittime di quell’attacco.
Difesi invano dalle proprie madri,
i due bambini, uccisi e calpestati sono l’innocenza che è vilipesa
ed oltraggiata, il segno più alto dell’atroce indifferenza di un
potere che è violenza, di un potere che non ha volto, come non hanno
volto i soldati che sparano e che avanzano in riga come un unico
tremendo e disumano meccanismo. Ai primi piani disperati e sofferenti
delle vittime, la fredda e geometrica distanza con cui sono
inquadrati i carnefici.
La
nave Potemkin risponde alla barbarie dei soldati sparando sul palazzo
sede del potere dei generali. Come un leone che si risveglia la
corazzata si scaglia contro il cuore stesso della tirannia. Di nuovo
un celeberrimo esempio di montaggio intellettuale.
Quinta parte:
L’incontro con la flotta
I marinai hanno ormai il
controllo della nave e si approntano per la battaglia contro la
flotta che li sta braccando nella notte. Il popolo ha preso in mano
la situazione nel più classico dei ribaltamenti dialettici.
Come le macchine della
nave girano al massimo della velocità (in questo parossistico
insistere sulle macchine c’è l’eco delle avanguardie, dal
futurismo al costruttivismo, ma c’è anche un elemento biografico
dell’Eizenstein che aveva studiato ingegneria in gioventù) così i
marinai sentono vibrare i loro cuori fino all’inatteso finale in
cui, nel segno della bandiera rossa che sventola impetuosa, i marinai
di tutta la flotta si uniscono in un grande abbraccio tra “fratelli”.
Realtà storica
Il 28 maggio 1905 si
concludeva, di fatto, la guerra russo-giapponese con la disfatta
navale di Tsushima. Da Ginevra, Lenin scrisse delle «centinaia di
milioni di rubli sperperati» in quella grande armata «tanto
impotente, grottesca e mostruosa quanto l'intero Impero russo»,
mentre a Pietroburgo il quotidiano liberale «Syn Otečestva» (Il
figlio della Patria) vide nell'affondamento della flotta la metafora
del fallimento del regime zarista, invocando l'immediata convocazione
dei «rappresentanti della terra russa». A Odessa, il 26 giugno, era
stato dichiarato lo sciopero generale e il giorno dopo, per una
questione di cibo avariato, al largo della città si verificò
l'ammutinamento dei marinai della corazzata Potëmkin che la
sera gettò le ancore al porto. Il 28 giugno, quando la salma del
marinaio Vakulenčuk fu portata a terra, una rivolta scoppiò a
Odessa, culminata nella notte con l'incendio dei magazzini portuali e
la repressione dei cosacchi che provocò centinaia di morti. Mentre
anche a Liepāja si registrava una rivolta degli equipaggi della
superstite flotta del Baltico, nemmeno il sostegno di un'altra
corazzata, la Georgij Pobedonosec, scosse le esitazioni e i
timori dei marinai della Potëmkin, che dopo settimane
d'incerta navigazione davanti alle coste del Mar Nero, trovò rifugio
nel porto di Costanza, in Romania, dopo aver lanciato appelli per il
rovesciamento dello zarismo e la convocazione di un'Assemblea
costituente eletta a suffragio universale.
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