I COMPAGNI
Regia: Mario Monicelli
Paese di produzione: Italia, Francia, Jugoslavia
Anno: 1963
Durata: 128 min
Colore: b/n
Genere: storico, drammatico
Soggetto: Age, Scarpelli, Mario Monicelli Sceneggiatura: Age, Scarpelli, Mario Monicelli
Produttore: Franco Cristaldi
Casa di produzione: Lux Film, Vides Cinematografica, Méditerranée Cinéma Production, Avala Film
Fotografia: Giuseppe Rotunno Montaggio:Ruggero Mastroianni Musiche: Carlo Rustichelli
Scenografia: Mario Garbuglia Costumi: Piero Tosi
Interpreti e personaggi: Marcello Mastroianni: Prof. Sinigaglia Renato Salvatori: Raoul Annie Girardot: Niobe Gabriella Giorgelli: Adele Folco Lulli: Pautasso Bernard Blier: Martinetti
Raffaella Carrà: Bianca François Perier: maestro Di Meo Vittorio Sanipoli: cavalier Baudet
Mario Pisu: l'ingegnere Kenneth Kove: Luigi Franco Ciolli: Omero
Paese di produzione: Italia, Francia, Jugoslavia
Anno: 1963
Durata: 128 min
Colore: b/n
Genere: storico, drammatico
Soggetto: Age, Scarpelli, Mario Monicelli Sceneggiatura: Age, Scarpelli, Mario Monicelli
Produttore: Franco Cristaldi
Casa di produzione: Lux Film, Vides Cinematografica, Méditerranée Cinéma Production, Avala Film
Fotografia: Giuseppe Rotunno Montaggio:Ruggero Mastroianni Musiche: Carlo Rustichelli
Scenografia: Mario Garbuglia Costumi: Piero Tosi
Interpreti e personaggi: Marcello Mastroianni: Prof. Sinigaglia Renato Salvatori: Raoul Annie Girardot: Niobe Gabriella Giorgelli: Adele Folco Lulli: Pautasso Bernard Blier: Martinetti
Raffaella Carrà: Bianca François Perier: maestro Di Meo Vittorio Sanipoli: cavalier Baudet
Mario Pisu: l'ingegnere Kenneth Kove: Luigi Franco Ciolli: Omero
IL FILM VINCE IL FESTIVAL DI
ACAPULCO E FOLCO LULLI (PAUTASSO) IL NASTRO D'ARGENTO COME MIGLIORE ATTORE NON
PROTAGONISTA. HA INOLTRE DUE NOMINATION ALL'OSCAR, PER IL SOGGETTO E
SCENEGGIATURA ORIGINALI.
LA TRAMA
L'Italia del primo Novecento
Una serie di foto, accompagnate
da canzone di fine Ottocento, ci introducono all’ambiente neo industriale del
nord, che è lo scenario del film. Vediamo anche alcuni dei personaggi in
rassegna, concludendo con alcune immagini di folla in piazza a protestare.
Le condizioni precarie degli operai; Omero
Torino, fine Ottocento: il
risveglio del giovane Omero che all’alba se ne parte per andare a lavorare in
una fabbrica tessile: nella sua casa abitano in tanti, in condizioni precarie e
al freddo (l’acqua per lavarsi è gelata). La giornata in fabbrica scorre nel
rumore più infernale, con una breve pausa per il pranzo. Durante il pomeriggio
un operaio si ferisce ad un macchinario, perdendo una mano. I compagni,
attendendolo all’uscita dell’ospedale, trovano l’occasione per confrontarsi e
rivendicare, presso il padrone, un trattamento più umano (attualmente lavorano
14 ore al giorno e hanno mezz’ora di pausa).
Un tentativo maldestro di protesta
Una delegazione, guidata dall’operaio Martinetti, si reca
presso la direzione per chiedere una riduzione dell’orario, senza ottenere
risultato (l’ingegnere capo non si fa trovare). Si organizza una dimostrazione
per la fine della giornata, anticipando l’orario d'uscita dal lavoro. Il
tentativo fallisce miseramente e a pagare è l’operaio Domenico Pautasso, che si
era offerto di suonare la sirena anticipatamente; questi viene sospeso per due
settimane. Il Pautasso infuriato, si scaglia contro i colleghi pusillanimi.
Sopraggiunge un treno da cui, clandestinamente scende un uomo (il prof.
Sinigaglia).
Maestri e professori
Il maestro Di Meo, in un
fatiscente edificio, tiene lezioni scolastiche per gli operai che vogliono
imparare a leggere e scrivere; è qui che si presenta il professor Sinigaglia,
che arriva da Genova e chiede ospitalità al maestro. Nella stessa aula, il
giorno seguente si tiene un'improvvisata assemblea alla quale interviene il
prof. Sinigaglia; questi infiamma la platea invitando gli operai ad organizzare
uno sciopero, coordinandone le modalità. Così il professore invita gli operai a
fornirsi di scorte di cibo a credito, per resistere il più a lungo possibile.
In realtà anche il professore sembra essere il classico morto di fame.
Un crumiro disgraziato
Sinigaglia viene accolto nel
monolocale in cui abitano diversi operai; qui si presenta un certo Mustafa, un
siciliano immigrato che si dice pronto ad entrare in fabbrica il giorno
successivo, quello previsto per lo sciopero. Sinigaglia e Pautasso propongono
di punire il crumiro ma la loro spedizione si ritrae di fronte alla palese
miseria che appare loro nell’abitazione di Mustafa.
Ha inizio lo sciopero; gli operai
stazionano fuori della fabbrica; l’ingegnere commenta stizzito l’evento, quando
arriva il crumiro. Il siciliano non viene accettato dai dirigenti
dell’industria e si ribella, minacciandoli con un coltello; viene arrestato.
Miseria e nobiltà
Omero porta il denaro, raccolto
con una colletta, alla famiglia del crumiro siciliano, in evidente difficoltà;
nel frattempo l’ingegnere e i suoi collaboratori vanno a fare visita al padrone
della fabbrica, che è nella sua lussuosa villa, nel bel mezzo di una festa di
ragazzi; questi consiglia di tagliare le vie assistenziali agli operai in
sciopero, così da vincerli per sfinimento. Omero conduce la giovane figlia del
crumiro a raccogliere il carbone lanciato dagli operai da un treno fermo sulle
rotaie. Il professor Sinigaglia intrattiene il ferroviere di guardia, cercando
di conquistarlo alle proprie idee. Una mensa militare, improvvisata, viene
chiusa; Bianca, la sorella di Omero, riesce ad ottenere un pasto caldo, grazie
all’aiuto di un militare innamorato di lei.
Guerra tra poveri
I padroni sembrano voler trattare
e Sinigaglia detta, al comitato, le condizioni da presentare ai dirigenti. La
timida rappresentanza del comitato (Martinetti, Borro, Pautasso, Cesarina) si
presenta in direzione senza ottenere niente di sostanziale; l’ingegnere
minaccia di chiamare, al loro posto, i disoccupati di un’altra azienda tessile,
cosa che puntualmente avviene. Gli operai si ritrovano allora alla stazione per
parlamentare con i crumiri giunti da lontano (da Saluzzo); il professore cerca
di negoziare, ma lo scontro è inevitabile. Pautasso muore investito da un treno
in corsa che sopraggiunge da un binario parallelo.
Soli contro tutti
Al capezzale dell’operaio morto
Bianca esterna le proprie preoccupazioni per l’operato del professore, che
sopraggiunge euforico per la notizia che i crumiri sono stati allontanati dal
prefetto. Il professore ha una discussione con Raul Bertone, che abita con lui:
emerge l’immagine di un’idealista solitario, forse un po’ folle. Il maestro Di
Meo ha una discussione con il preside che requisisce i soldi della colletta
raccolta tra gli alunni, per l’operaio morto; Omero oggi non ha niente da
portare ai propri compagni; quindi picchia il fratellino che sembra non volerne
sapere di studiare.
L’odissea del professor Sinigaglia
Il padrone, preoccupato per le
sorti dell’azienda, suggerisce, infuriato, ai propri subalterni: “O si ferma il
professore o si calano le brache”; questi, suonando un flauto, elemosina del
denaro in un lussuoso ristorante; qui incontra la figlia di uno degli operai
che rivendica un diverso destino, da quello preparatogli dal padre, che voleva
inserirla in fabbrica (in realtà fa la prostituta). Il maestro Di Meo viene
trasferito; un ultimo saluto tra i due pazzi idealisti. Sinigaglia sfugge poi
all’arresto da parte di due uomini della prefettura e trova rifugio presso la
casa della giovane prostituta dove passa la notte; lei gli confida che i
padroni sono ormai sul punto di cedere.
Lo scontro
Martinetti viene chiamato dal
vice ingegnere per sistemare la stufa di casa che si è guastata; questa è in
realtà l’occasione per discutere della situazione pesante in cui si trovano
ormai gli operai e l’ingegnere bluffa, confidando che i padroni possono resistere
per anni in quella situazione. Martinetti riunisce il comitato ed invita al
rientro al lavoro; si scontra pesantemente con Raul, ormai convinto delle idee
del professore. Raul manda a chiamare Sinigaglia per convincere gli operai a
non rientrare al lavoro. Il professore con un discorso emozionante infiamma gli
operai che invita ad occupare la fabbrica, la loro fabbrica per cui versano
sudore e sangue ogni giorno. Viene chiamato l’esercito a presidiare lo
stabilimento, mentre il corteo degli operai sta sopraggiungendo. I soldati
sparano sul corteo e Omero rimane ucciso; Bianca si scaglia contro Sinigaglia, a suo avviso il
vero colpevole della morte del fratello; il professore viene poi condotto via
dalle guardie.
Un nuovo idealista
Raul, nascosto, braccato dalla
polizia, mentre il professore è agli arresti, decide di andarsene con il primo
treno che passa; gli operai tornano al lavoro; un ragazzino, che sostituisce
Omero, entra per ultimo.
Aspetti cinematografici rilevanti
Il film vede scorrere i propri
titoli di testa su immagini d’epoca alternate a foto di scena tratte dai set.
L’intento del regista è chiaro fin da subito: il quadro d’epoca che ci vuole
fornire è il più realistico possibile, al punto da poter accostare amabilmente
foto originali ad immagini prese dai set ricostruiti. Su questa vocazione
realistica il regista innesta i toni della commedia all’italiana, per virare
poi in un finale tragico.
Il professor Senigaglia giunge su
un treno merci, proprio mentre gli operai stanno discutendo animatamente in
seguito al fallito tentativo di sabotaggio della giornata lavorativa. Il
professore, proveniente da Genova, trova dunque gli operai divisi e in una
situazione di impaccio, desiderosi di far sentire le proprie ragioni, ma, al
tempo stesso, incapaci di imbastire forme di protesta efficaci e risolute; il
suo arrivo avviene, cinematograficamente,
con riprese in campo lungo a macchina fissa, mentre gli operai della
filanda sono in aperto contrasto tra di
loro. Nel finale Raul Bertone sale su un treno in corsa, abbandonando affetti e
certezze. Egli diventa l’allievo di Senigaglia, a cui toccherà proseguire la
lotta idealistica tracciata dal “maestro” (del Senigaglia arrestato sappiamo
che si presenterà alle elezioni nella speranza di ottenere un seggio in
Parlamento e dunque la libertà). Le immagini fisse dell’inizio sono
contrappuntate dal finale movimento di macchina (la cui posizione coincide con
una semi soggettiva di Raul). Qualcosa si sta muovendo, sembra suggerirci il
regista, la realtà statica ed immobile dell’inizio è stata scossa dai fatti
narrati nel corso del film. Il movimento di macchina è dinamico come la realtà
che si va evolvendo dopo i fatti narrati. Il finale vero e proprio, però,
contraddirà questa impostazione.
L’arrivo al lavoro dell’operaio
meridionale, che ottiene il permesso di svolgere regolarmente la propria
giornata dai compagni del comitato, è sottolineato figurativamente da una
inquadratura in cui la profondità di campo suggerisce un’idea non soltanto
narrativa: i due amministratori dell’industria, dall’alto, osservano il crumiro
avvicinarsi alla fabbrica. La figura del povero disgraziato è come schiacciata
tra quelle dei due “padroni” in primo piano. Una sorta di trittico pittorico al
cui centro sta la minuta icona del povero lavoratore, deriso dai capitalisti.
Le proporzioni delle figure indicano un rapporto di forze (di classe sociale e
psicologico) piuttosto evidente.
In diversi momenti del film il
regista filma le situazioni con lunghi piani sequenza in cui la macchina da
presa si muove tra i personaggi, con ristrette panoramiche che colgono
simultaneamente la realtà temporale del fatto descritto (unità di luogo e tempo
aristoteliche), ma esprimono anche, tematicamente, il senso di comunione e
appartenenza degli operai, confermando il significato più profondo del titolo
del film.
Tre sono i piani sequenza più significativi e lunghi:
Scena in ospedale: gli operai sono in attesa
di avere notizie sul collega ferito; una infermiera li caccia via in malo modo.
Mentre gli operai se ne vanno, il meridionale si attarda, attratto dal profumo
del cibo che un’infermiera sta portando ai degenti. L’uomo segue il carrello ma
resta rinchiuso fuori, all’ingresso principale dell’ospedale. Una sequenza
esemplare. La mdp, partendo dall’alto inquadra la suora che invita gli operai
ad andarsene quindi scende su questi ultimi che si allontanano; l’abile
sceneggiatore rende movimentata l’uscita inserendo la gag di Raoul che
corteggia la giovane collega. A quel punto la mdp sposta lo sguardo
sull’operaio meridionale e ne segue il tragicomico viaggio all’inseguimento del
agognato cibo. La scena evidenzia la condizione di subordinazione e scarsa
considerazione sociale di cui soffrono i “compagni”. Ribadisce, altresì, il
ricorrente motivo della fame, vero tormentone che accompagna le vicende
principali dei protagonisti. La fame degli operai, le porte che si chiudono,
l’assistenza e la carità cristiane non sembrano avere spazio anche per loro.
Scena in fabbrica: si deve scegliere che farà
suonare la sirena mezz’ora prima del previsto. Il ragazzo passa tra i colleghi
chiedendo di riempire un foglio in cui ciascuno dovrà scrivere il proprio nome. La stretta panoramica sui personaggi ci
racconta delle esitazioni e delle incertezze degli stessi, per chiudersi con
l’amara constatazione dell’analfabetismo degli operai
Scena a casa di Pautasso: la veglia funebre a
casa dell’operaio morto schiacciato da un treno. I movimenti di macchina e le
ripetute panoramiche ci accompagnano in un virtuosistico piano sequenza di
oltre tre minuti. Di nuovo la scelta stilistica sembra volerci suggerire il
comune pensare e “sentire” dei personaggi, interrotto soltanto dal dialogo tra
i due ragazzi (fra cui una giovanissima Raffaella Carrà) che sembrano incarnare
una più decisa volontà di cambiamento (che Omero chiarirà nella reprimenda al
fratello svogliato a scuola; l’educazione dunque come strumento di liberazione)
ed esprimono una rabbia che va oltre lo scoramento dei “compagni” adulti (in
particolare la ragazza ce l’ha con il professore, reo di aver gettato nei guai
l’intera comunità degli operai, e tale rabbia sarà confermata nello sfogo del
finale dopo la morte di Omero; la donna che guarda al contingente e
all’essenziale necessità di sopravvivere).
2) Omero consegna la colletta, fatta dagli operai, alla
famiglia di Arrò. Qui scopre la realtà misera e disperata in cui vivono i figli
e la moglie dell’immigrato (ed è lo sguardo puro di Omero a scoprire lo
“scandalo”). Il regista, impietosamente, con uno stacco di montaggio dal valore
puramente tematico, associa la figura intera del piccolo Arrò al campo medio
dei giovani rampolli torinesi intenti in un infantile gioco di società. La
miseria e la ricchezza a confronto diretto. I giovani borghesi sono come
bambini inconsapevoli e ciechi (la ragazza bendata), il bambino proletario è la
vittima altrettanto inconsapevole del sistema cinico e crudele in cui sta
vivendo. In letteratura un tale accostamento di immagini potremmo definirlo
come un ossimoro (qui potremmo parlare di montaggio
analogico o delle differenze).
L’uso della profondità di campo, in senso ironico:
l’arrivo del professor Senigaglia
nella fatiscente scuola improvvisata per gli operai. Il maestro sta spiegando
la grammatica italiana e, sullo sfondo, vediamo comparire la sagoma del
professore, fuori dall’azione, fuori dalla storia. La mdp, uscendo dalla
stanza, ci conduce all’esterno e qui vediamo il professore presentarsi al
maestro. Sullo sfondo un operaio ha scritto sulla lavagna: “A morte il re”. Il
professore è sfinito e si addormenta sul posto, mentre il maestro indottrina i
suoi allievi sull’importanza dell’educazione. Il sonno di Senigaglia è
emblematico di un atteggiamento ambiguo di quest’ultimo, atteggiamento che
rimarrà coerente per tutto il film e che ci suggerisce, forse, il pensiero, al
riguardo, dello stesso regista; il professore sembra non credere all’educazione
del popolo (tanto è vero che non si impegna in prima persona nell’educazione
degli operai), ma punta all’azione, alla prassi, allo scardinamento delle
posizioni padronali attraverso una condotta risoluta e combattiva. In questo,
Monicelli sembra confermare la distanza esistente tra gli intellettuali e i
proletari che rimangono come pedine di scambio all’interno di un gioco di forze
più grande di loro (è con l’arresto del pericoloso professore che i padroni
pensano di aver chiuso la questione e sono gli stessi ingegneri che dissuadono
gli operai dal seguire le orme del Senigaglia, braccato dalla polizia, come il
vero colpevole dell’intera faccenda; mentre sappiamo che le rivendicazioni
degli operai partono da più lontano e trovano in Senigaglia, semplicemente, un
coordinatore più raffinato e preparato).
Il finale, in questo senso, è leggibile in due sensi: la partenza
di Raul e la notizia della candidatura di Senigaglia alle elezioni, aprono alla
speranza; il rientro in fabbrica, composto e dimesso degli operai, induce a
leggervi una resa dei compagni in lotta, alle ragioni della fame e dei bisogni
materiali, il tutto reso ancora più amaro dall’ingresso in fabbrica del piccolo
fratellino del giovane morto, il simbolo del fallimento degli ideali del
maestro (“l’educazione ci libererà”). Gli operai, tornati a lavorare saranno
rinchiusi nella loro prigione quotidiana e il cancello chiuso è proprio l’ultima
sconsolata immagine del film (in questo senso il canto fraterno dei lavoratori
suona ancora più beffardo ed impotente).
Che la posizione di Monicelli sia
tutt’altro che netta, nell’enfatizzare la volontà di cambiamento degli operai,
lo si evince anche dalla figura della giovane Niobe che si vende ai signori per
condurre una vita più agiata di quella garantitagli dal padre lavoratore. La
sincera partecipazione alla solitudine del professore……
Spunti storici:
Il film di Monicelli parla
essenzialmente di contrasti di classe; non soltanto gli operai contro i
padroni, ma anche un confronto tra le idee progressiste degli intellettuali di
formazione borghese e i bisogni materiali di un proletariato sfruttato e
indigente; a questo si aggiunga lo scontro, letteralmente fisico, tra forze
dell’ordine e gli scioperanti. L’affresco di Monicelli ha i contorni ben
definiti dell’Italia dell’ultimo decennio del XIX secolo, quell’Italia in cui
si costruiva il futuro socialismo e prendeva corpo quella coscienza di classe
cui contribuirono figure di intellettuali come Turati, Bissolati e Prampolini;
richiama altresì alla situazione contemporanea all’uscita del film (1963) in
cui si stava evolvendo il primo tentativo di governo di coalizione aperto alle
forze della sinistra (il partito Socialista).
La condizione operaia di fine
Ottocento in Italia; la lotta per una riduzione di orario che, come nella
vicenda narrata, era di 16 ore; la vita delle famiglie degli operai in case
anguste, ambienti malsani e sovraffollati; il problema della integrazione degli
immigrati dal sud; i crumiri e la difficoltà di creare un fronte comune dei
lavoratori in grado di contrapporsi alla forza contrattuale degli imprenditori;
lo scollamento tra intellettuali e proletari e la difficile ricerca di
un’intesa; la diffusione delle idee socialiste; la piaga dell’analfabetismo; i
luoghi ricostruiti ed evocati sono quelli del nord industriale: Genova (da cui
proviene il professore Sinigaglia) e Torino; la repressione finale del corteo
richiama alle vicende delle manifestazioni di fine secolo finite nel sangue
(celeberrima quella che vide protagonista Bava Beccarsi); il carbone come fonte
energetica cui si aggrappano disperatamente i poveri operai della filanda; la
natura delle industrie italiane che producevano con un certo successo nei
settori dei filati e del tessile; l’assenza di organizzazioni sindacali ancora
radicate sul territorio.
Unico riferimento storico preciso
è l’evocazione dell’anniversario della morte di Garibaldi.
Contatti con il presente del
film: La nascita del primo governo di unità nazionale, comprendente il partito
Socialista, che suscitava entusiasmi e aspettative; il film sembra offrire uno
sguardo disincantato sulla possibilità di una saldatura tra le esigenze più
profonde del proletariato e gli ideali di riscossa degli intellettuali di
sinistra.
Il 20 luglio 1900 muore, in un
attentato anarchico, Umberto I, divenuto re il 9 gennaio 1878 alla morte di
Vittorio Emanuele II.
Dunque il film potrebbe
collocarsi nel 1901.
Sono del 1898 i tumulti operai e
contadini (in difesa delle libertà, ma soprattutto per protesta contro
l’aumento del costo del grano; rivolte nate come contadine a cui si aggiunsero
poi quelle operaie) che scuotono il paese e sfociano nell’episodio di Bava Beccarsi
a Milano, dove la folla dei dimostranti è respinta a cannonate.
E’ del marzo 1898 una legge che
impone una assicurazione sugli infortuni al lavoro (dunque la vicenda dovrebbe
essere antecedente al 1898) e allora, in quel senso, l’anniversario sarebbe il
ventennale della morte di Vittorio Emanuele II (1878).
Negli ultimi venti anni del XIX
secolo si era andato consolidando un movimento di protesta generalizzato, ma
non ancora organizzato, a partire dalle campagne. Il numero sempre più grande
di salariati aveva imposto una serie di problematiche che le agitazioni di
quegli anni portarono alla luce. Il settore tessile della nascente industria
italiana era, in questo senso, il più vicino alle rimostranze dei contadini e
dei braccianti della Padania (Romagna e Lombardia in particolare).
L’industria italiana attraversava
una fase liberistica in cui il padronato aveva buon gioco nell’imporre logiche
di sfruttamento ad un proletariato ancora incapace di darsi una organizzazione
operaia, a seguito dello smantellamento dei vincoli corporativi di medievale
provenienza. L’industriale italiano, quindi, sentiva come lesiva del proprio
potere economico e contrattuale, ogni ingerenza e richiesta degli operai,
pretendendo una illimitata libertà di azione nei rapporti di lavoro.
Così il proletariato
dell’industria italiana di fine secolo si trovava in una condizione di
debolezza e precarietà, completamente alla mercè dell’arbitrio del padrone di
turno.
“Mancava, ovviamente, qualsiasi
garanzia del posto di lavoro o del salario, che era già bassissimo, ma che
l’imprenditore poteva decurtare a piacimento operando su una complessa
frantumazione dei cottimi e delle mansioni, patti jugulatori, lunghi tirocini
non retribuiti, versamenti di cauzioni che andavano perdute se l’operaio si
licenziava o era licenziato per una serie di motivi, tra i quali ovviamente era
lo sciopero o l’appartenenza ad associazioni in cui si proclamassero dottrine
antisociali. I regolamenti severissimi, le sanzioni disciplinari, i rituali di
comportamento imposti nelle fabbriche dell’epoca sembravano concepiti per
trasformare abitudini di vita, atteggiamenti e l’intera personalità del
contadino appena inurbato – che si riteneva per questa sua natura tardo ad
apprendere, tendenzialmente incivile ed amorale -, educandolo ai nuovi valori
di una gerarchia meccanica in cui l’etica del lavoro era rigorosamente misurata
in termini di sfruttamento umano.”
Le condizioni di vita degli
operai erano dunque misere ed il lavoro prevedeva l’utilizzo, sempre più
frequente, di donne e bambini. Questi ultimi, nel tessile, avevano in media tra
i quattro e i sette anni. Secondo censimenti fatti nel 1876, soltanto il 27%
della forza lavoro delle industrie era costituito da maschi sopra i 14 anni.
Gli orari erano stabiliti arbitrariamente dai datori di lavoro, i quali
sfruttavano anche i turni di notte e obbligavano gli operai a lavorare spesso
in precarie condizioni igieniche ed in ambienti scuri per preservare la qualità
dei colori delle stoffe.
Nei primi anni Ottanta sorsero
una serie di associazioni operaiste che puntavano al miglioramento delle
condizioni di lavoro del proletariato, guardando alle esigenze primarie dei
lavoratori. Lentamente sorse l’esigenza di inserire le rivendicazioni operaie
in un più ampio disegno di respiro politico, che prevedesse una presa di
posizione politica dei lavoratori. Prima che questa presa di coscienza venisse
a compiersi, il governo italiano intervenne con durezza reprimendo con la forza
ogni tipo di manifestazione popolare volta ad imporre la causa operaia
all’attenzione generale. E’ in questo contesto che si inserì l’opera di molti
intellettuali socialisti di estrazione borghese (tra cui spiccava il nome di
Filippo Turati), i quali cercarono di convertire gli operai alla causa
socialista, indirizzando la lotta verso la piena partecipazione alla vita
politica del tempo. Turati fondò la “Lega Socialista Milanese” nel 1889. Genova
fu la sede che nel 1892 diede il via alla formazione del Partito dei lavoratori
italiani che di lì a tre anni sarebbe divenuto il Partito Socialista Italaiano.
Proprio di Turati furono i primi
contributi teorici ad una definizione dell’azione più concreta ed immediata
nell’ambito delle rivendicazioni sociali di fine secolo: “chiarire la
distinzione tra socialismo e i vari gruppi democratici e libertari, calare gli
sforzi analitici degli intellettuali socialisti nella realtà delle lotte
operaie, accingersi quindi ad una quotidiana azione politica che desse base
sicura all’organizzazione del proletariato italiano.” E’ del 1886 l’adesione
del non ancora trentenne Turati alle
idee socialiste. Su queste dichiarazioni d’intenti si può leggere lo spessore
della figura del professor Senigaglia, per quanto filtrata da uno sguardo
tutt’altro che enfatico di Monicelli.
La vicenda de “I compagni”,
dunque, si colloca, idealmente, attorno al 1888 (anniversario della morte di
Vittorio Emanuele II), alla vigilia di quegli avvenimenti che avrebbero portato
le disomogenee e primitive organizzazioni operaie a collocarsi nella più ampia
lotta di affermazione della sinistra socialista italiana. Era proprio di Turati
la convinzione che la divisione tra intellettuali e operai avesse condannato,
fino ad allora, il movimento alla sterilità.
(Raffaele Romanelli “L’Italia liberale” Il Mulino vol. II)
“Non a caso, la maggior parte
degli scioperi dal 1895 al 1898 avviene a Torino nelle industrie tessili, sia
per rivendicare l’aumento del salario, sia per chiedere la riduzione
dell’orario di lavoro, sia per protesta contro le multe. Sono agitazioni improvvise,
fiammate di ribellione che nella maggioranza dei casi non sortono risultati, e
non si trasformano in una resistenza organizzata. Ma è dagli opifici tessili
che più esteso e prepotente parte il grido di rivolta, quello che viene
raccolto dagli scrittori socialisti, quello che costituirà fino all’inizio del
secolo nuovo il maggiore motivo di denuncia sull’intollerabilità della
condizione operaia.”
Nel 1897 i salari non
raggiungevano le 3 lire giornaliere, per le filatrici si scendeva a 1,30 lire,
per i bambini si arrivava addirittura a 30 centesimi al giorno. Le multe erano
sistematiche: ad esempio presso il cotonificio Poma si comminavano 30 centesimi
di multa se si era sorpresi a parlare e 20 centesimi per 5 minuti di ritardo..
Frequente era anche il lavoro a cottimo, in cui gli operai erano pagati un
tanto a metraggio. Nelle filature dove non vi erano due turni di lavoro si
arrivava a 14 ore consecutive in fabbrica.. Nel cotonificio Bass (dati del
1898), le bambine di 11 anni lavorano per 11 ore al giorno, riscuotendo 70
centesimi. Questa è la descrizione del luogo: “Vi è un camerine dove vivono un
centinaio di operaie, che è a forma di soffitta, con pochi e inadatti abbaini.
Tra la polvere del cotone e quella della tinta, formano una nuvola continua e
densa che è impossibile descrivere. Su 10 operaie addette in sla, la metà muore
per tubercolosi.”
Cotonificio Poma, 1895: 700
operaie lavorano in un grande camerine chiuso ermeticamente. La polvere che
produce il cotone, tanto nociva, è alta parecchi centimetri sotto i telai. Il
termometro segna 37° d’estate.
1896: “Nelle filande torinesi le
operaie lavorano in media 16 ore al giorno, sedute davanti ad una bacinella
d’acqua bollente, con le dita là dentro a scuoterne i bozzoli e a tirarne il
filo…per l’aria si alza un vapore che toglie il respiro; il calore è
insopportabile.”
Una legge del 1886 vietava le
prestazioni notturne ai minori di 12 anni e la limitava a 6 ore per quelli dai
12 ai 15 anni.
Nel 1899 le maestranze della seta
erano al 70% donne, quelle del cotone al 60%, quelle della lana al 45%.
Secondo una inchiesta della
socialista Gina Lombrosa, presso il quartiere della Crocetta, condotta nel 1896
risultava che: in una famiglia di operai, con in media 6 componenti, vi erano
entrate economiche per un totale di 3 lire e 40 centesimi; in una famiglia di
un mercante 6 lire, in una famiglia di un insegnante 20 lire.
Il prezzo del pane, poi, era di
35 cent. Al chilo; 1 etto di burro costava 30 cent.; 1 kg di pasta 50 cent.;
l’affitto di due camere 15 lire al mese; la legna costava 35 cent. al
miriagramma.
L’azione di protesta:
Nell’azione degli intellettuali
socialisti torinesi vi è una componente di spirito cristiano solidaristico alla
De Amicis. Essi fanno appello allo spirito di giustizia e di fratellanza che
anima gli operai e questo anche per superare una generale diffidenza dovuta
alla campagna antisocialista sostenuta dai clericali.
Gli aderenti al partito, poi,
erano raccolti nel ceto istruito ed erano piccoli nuclei di idealisti “che
aspiravano a migliorare, a cambiare, sia pure con propri sacrifici, le sorti
dei loro concittadini….” (Gina Lombroso, parlando del proprio padre
socialista).
Gli intellettuali socialisti
torinesi non si identificano con la classe lavoratrice, la vogliono aiutare.
Gli scioperi del 1898 – 99, di
matrice socialista, vivono di luce riflessa a Torino dove non si registrano
manifestazioni di massa (mentre arrivano gli achi delle battaglie milanesi e
della repressione di Bava Beccarsi). La tradizione moderata della città, le
tenere radici socialiste nel popolo, fanno si che la lotta torinese diventi una
corsa alle elezioni dove l’8 giugno 1899 il PSI ha una notevole affermazione
(presentando un programma di riforma e non di rivoluzione sociale).
A questo proposito, Giolitti,
nelle sue Memorie, riscontrava l’inutilità, per Torino, di un provvedimento
governativo come lo stato d’assedio.
Dal 1882 il diritto di voto si
era esteso agli operai alfabeti e dalle elezioni del 1895 ha inzio una massiccia
opera dei socialisti per togliere dall’analfabetismo i lavoratori e per
convincerli ad iscriversi nelle liste elettorali.
Mentre a Genova, nel 1892, nasce
il Partito del Lavoratori Italiani, a Torino si va manifestando una realtà
contraddittoria: “l’esistenza, da un lato, di un gruppetto di intellettuali
borghesi ispirati agli ideali socialisti, dall’altra di una vasta rete di
società operaie ancora, per la maggior parte, restie a una presa di posizione
politica, e comunque lontane dall’aderire ad una organizzazione di partito in
cui riconoscano l’espressione più matura della coscienza e della lotta del
proletariato.”.
Così De Amicis descrive la stanza
in cui si trova la sede del Comitato Elettorale Socialista:
“….le pareti chiazzate di umido, le finestre
coi vetri rotti, uno squallore di carcere…Erano operai che venivano dalle
officine, coi capelli arruffati e le mani nere, studenti, impiegati, maestri;
uomini maturi e giovinetti; qualcuno coi capelli bianchi. Entravano a coppie, a
gruppi, a uno a uno, in silenzio. Alcuni parevano stanchi, altri sopra
pensiero….poi si avvicinavano al tavolino e ciascuno dava il suo obolo…..”.
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