Philomena
Regia di Stephen Frears
Interpreti: Judi Dench, Steve Coogan, Sophie Kennedy Clark, Anna Maxwell, Ruth McCabe
Drammatico, durata 98'
Produzione: Gran Bretagna, USA, Francia 2013, distribuito d Lucky Red
Dialogo tra Ragione e Fede
Martin Sixsmith è l’ex capo
dell’Ufficio stampa, di un importante ministro inglese, che a causa di dissidi
non meglio specificati si è dimesso dall’incarico. Soffre di depressione e
cerca un nuovo significato alla sua esistenza. Le analisi mediche non segnalano
anomalie fisiche, il jogging serve unicamente a scacciare i fantasmi
dell’esaurimento nervoso.
La voce off di un giornalista
televisivo sottolinea come Sixsmith abbia ricevuto, in questo difficile
momento, un sostegno da parte di autorevoli ministri del governo, ma noi
vediamo l’uomo appoggiarsi stremato ad un palo della segnaletica stradale, come
se quello fosse il suo unico vero sostegno. Il governo di Tony Blair cerca però
di liquidare la faccenda senza alcun ritegno per Sixsmith.
Martin abbandona la moglie nel bel
mezzo di un coro sacro ed ammette di non credere in Dio. Dall’altra parte
compare una donna, dai profondi sentimenti religiosi, che sta accendendo delle
candele votive. Compare sull’immagine delle candele il nome dell’attrice che
dunque sembra immedesimarsi in pieno con il ruolo che sta recitando. Il nome
dell’attore maschile compare sulla immagine della Madonna!!
Philomena si presenta subito come
la donna che guarda al passato, che non ha mai tagliato i fili della memoria,
mentre Martin vede soltanto il futuro e vede nero perché non ha prospettive. Il
ricordo di Philomena è limpido: lei giovane ragazzina senza esperienza e con
una personalità ancora in divenire (emblematica la serie di immagini di
Philomena ragazzina deformata dagli specchi di un luna park, multiforme nel suo
aspetto come una novella Alice che ancora doveva trovare una propria
dimensione) che cade vittima dell’apparentemente innocuo uomo nero che si
materializza alle sue spalle e la conduce verso la strada della perdizione e
del peccato, approfittando della sua fragile personalità.
“Mia zia mi ha detto di stare
attenta e di non parlare con gli estranei come te” dice Philomena al suo
corteggiatore con il candore di Cappuccetto Rosso. Il loro bacio è suggellato
dalla caduta della mela (di caramello), frutto del peccato.
I rumori del luna
park riecheggiano all’interno della chiesa in cui si trova la Philomena del
presente che immerge la mano dell’acqua santa quasi a rinnovare il gesto di
purificazione dal peccato originale che proprio in quel luna park si è
consumato. Anche lei come Martin vive un presente con la mente rivolta altrove,
lui al futuro lei al passato.
“Ti sei lasciata toccare?”;
riecheggia una voce off autoritaria nella mente di Philomena, è la voce di una
suora che rappresenta il principio di realtà che ancora in vecchiaia tormenta
la mente della donna.
La Philomena giovane e incinta
deve espiare la propria colpa di fronte alle madri superiore del collegio in
cui è rinchiusa dal padre che si vergognava di lei, sullo sfondo un Cristo
attorniato dalla folla e benedicente ci ricorda come Philomena sia un Cristo
dei nostri tempi. “Sei tu la causa di questa vergogna” riecheggia la voce della
madre superiora. Il senso di colpa di Philomena, che proviene come un urlo dal
passato, si accompagna al senso dell’insuccesso che tocca l’orgoglio di Martin
ed annulla le sue prospettive di vita futura.
Il ricordo del dolorosissimo
parto si accompagna all’idea che quella sofferenza sia la giusta punizione per
il peccato commesso e qui ci sovviene il pensiero di Agostino d’Ippona che,
parlando del male morale e del male fsico, li collega al peccato originale e
alla necessità che questo venga espiato con dolore (ed è quanto pensa la stessa
Philomena).
Ogni uomo sperimenta il peccato deviando dal vero bene, ma il
percorso, se toccato dalla Grazia, conduce ad un maggior amore per la divinità,
come spiega Agostino nel De Religione:
“Il primo vizio dell’anima è la volontà di fare ciò che la somma e
interiore verità proibisce. Così l’uomo fu scacciato dal paradiso in questo
mondo, ossia passò dall’eternità alla vita temporale, dall’abbondanza
all’indigenza, dalla stabilità alla debolezza. Non quindi dal bene sostanziale
al male sostanziale, perché nessuna sostanza è male, bensì dal bene eterno a
quello temporale, dal bene spirituale a quello carnale, dal bene intelligibile
a quello sensibile, dal bene sommo a quello infimo. Vi è quindi un certo bene,
che l’anima razionale non può amare senza peccare, perché è stato messo sotto
di lei. Male, perciò, è proprio il peccato, non quella sostanza che, peccando,
viene amata. Non è male quell’albero che, come sta scritto, era piantato nel
mezzo del paradiso, ma la trasgressione del comando divino; e quando essa ha
come conseguenza la giusta dannazione, da quell’albero, toccato contro il
divieto, proviene la conoscenza del bene e del male, perché l’anima, dopo
essere stata irretita dal suo peccato, espiando le pene conosce la distanza che
passa fra il comando, cui non volle attenersi, ed il peccato che ha commesso. E
in questo modo impara a conoscere, sperimentandolo, il male che, per
precauzione non apprese; e facendo il confronto, ama con maggior ardore il bene
che, disobbedendo, poco amava”
Ma tanto Philomena, quanto Martin
devono mettere a tacere le voci interiori che li tormentano.
Martin si configura come un
giornalista di sinistra, laureato ad Oxford, poco incline alla moderazione e al
compromesso, ex inviato, non casuale, della BBC a Mosca (evidentemente con
simpatie socialiste). Quando riceve la prima proposta di scrivere un libro sul
caso di Philomena, costretta ad abbandonare il figlio appena nato dalle suore
che l’accoglievano per non creare uno scandalo, rifiuta con decisione,
ritenendo le storie di vita vissuta, dei prodotti letterari per persone
stupide, vulnerabili ed ignoranti. La moglie lo convince ed il primo incontro
con Philomena si apre all’insegna di una discrepanza di vedute e Frears ci
mostra i due personaggi in dimensioni diverse, con un Martin gigantesco e una
Philomena, con la figlia, piccola ed indifesa, vulnerabile insomma come il
pubblico cui Martin accennava.
Al ristorante Martin esordisce
con una battuta sull’anca in titanio di Philomena, una battuta che si ricollega
al Mago di Oz e all’omino di latta che doveva essere continuamente lubrificato.
Che Philomena sia Dorothy (la vera eroina del romanzo) e Martin sia il mago fragile
e truffaldino?
Philomena ha sepolto per 50 anni
i fatti della sua giovinezza e ora vuole riesumarli per arrivare alla verità.
La sua vita nella lavanderia del convento per 4 anni sono l’inizio del suo
affannoso tentativo di ripulire la propria esistenza. “Io gli volevo bene” è la
frase che Philomena pronuncia stringendo il braccio di Martin. Quel “gli” è
riferito al bambino.
Philomena rievoca i terribili momenti del
giorno in cui Anthony le venne portato via e Frears accentua il senso di
claustrofobia vissuto dal personaggio incastonandolo tra le inferriate delle
porte, le sbarre e gli stipiti di finestre e cancelli, soffermandosi sui
dettagli delle maniglie che non aprono le porte: Philomena reclusa e
prigioniera del destino. La fotografia fredda contribuisce a restituirci
l’immagine di quel convento come un vero e proprio lager.
Philomena si rifiuta comunque di
usare la parola “malvagità” per descrivere quei momenti ma Martin spinge per
evidenziare gli elementi di ingiustizia e crudeltà ricercando, il
sensazionalismo, il pietismo e il reportage di denuncia contro le istituzioni
cattoliche. Emerge in fondo il tema chiave del film: l’odissea di Philomena non
intacca la sua fede mentre per Martin è l’ennesima prova della aberrazione di
una fede diventata sistema e calata in una realtà di potere (al servizio del
potere se si pensa che ad adottare i bambini erano famiglie ricche dell’alta
borghesia inglese) che dimostra come la religione abbia una missione morale ed
istituzionale più che veramente spirituale.
La fede di Philomena non si perderà
di fronte alle prove che dovrà sostenere, mentre la ragione di Martin diventa
uno strumento di distruzione di certezze. La ragione sembra poter solamente
negare, la fede può affermare; occorre un cuore puro come quello di Philomena
per sostenere la fede, non può che legarsi alla ragione il sano cinismo di
Martin.
Il convento in cui alloggiava Philomena si
trova in Irlanda ed è verso quelle verdi valli che il giornalista e la vecchia
signora si dirigono.
L’ateo Martin e la credente
Philomena iniziano il loro viaggio mentre l’immagine di san Cristoforo è posta
dalla donna sotto lo specchietto della macchina. San Cristoforo è il topolino
dei santi, dice Martin, ma san Cristoforo è colui che porta il bambino Gesù
sulle spalle e per Philomena è colui che dovrebbe riportargli Anthony sulle
spalle.
Martin è stato un chierichetto ed ora è quantomeno un agnostico, uno
che alla domanda se crede in Dio non sa rispondere perché presuppone che la
risposta sia complicata. La ragione non sa dare risposte mentre la fede si.
Philomena è salda nella sua fede e non ha tentennamenti: o si pensa o si crede
direbbe Schopenhauer di cui riportiamo alcuni noti aforismi che ben si legano
al tema del film:
Nella sua qualità di scienza, la
filosofia non ha assolutamente nulla a che vedere con ciò che si deve credere
né con ciò che è lecito credere; il suo oggetto è soltanto ciò che si può
sapere… A ogni modo, si tratta di due cose fondamentalmente diverse [fede e
filosofia], che, per il bene di entrambe, debbono restare rigorosamente
separate, così che vadano ciascuna per la sua strada ignorandosi reciprocamente…
Chi crede non è filosofo
Ma Philomena, a modo proprio, produce
filosofia distillando perle di saggezza lungo il cammino in compagnia di
Martin.
Il cancello del convento a cui
arrivano i due viaggiatori è sinistramente simile a quello di Auschwitz: il
ferro, la scritta, l’arcata scura che si staglia contro il cielo. Per Frears
tra quei conventi e i lager non c’era molta differenza. Il ritorno sul luogo
del delitto, fra l’altro, accentua un dettaglio architettonico non banale: il
luogo era diviso tra una zona padronale, rappresentata dalla villa bianca e una
zona dei servi, delle ragazze, contraddistinta dalle abitazioni di mattoncini
rossi tipiche di certa architettura industriale. Si ripropone quindi il
dualismo tra servi e padroni, tra potenti e sottomessi ed umiliati.
L’architettura tradisce la dimensione classista di certe istituzioni, anche
religiose.
Martin si avvicina alle immagini
sacre che arredano il salone d’ingresso. Tra le foto delle suore ne compare una
dell’attrice Jane Russell con una dedica piena di amore (lei ha evidentemente preso
un bambino da quel collegio). In effetti la Russell adottò tre bambini negli
anni Cinquanta, ma quello che è interessante è il suo comparire tra le immagini
religiose, lei icona sensuale, sex simbol, attrice dalle forme dirompenti che
ha anche lavorato in night club e che, in giovane età, aveva abortito
volontariamente per non concepire un figlio fuori dal matrimonio. La fotografia
della Russel, che Martin confonde con la Mansfield (definisce entrambe come
grandi, alludendo, in modo sottilmente ironico, anche alla grandezza delle
forme che le contraddistinguevano), tra le suore moraliste è l’immagine emblema
della ipocrisia di un certo cattolicesimo stantio e del più bieco perbenismo
che quel convento rappresenta.
“Martin è un giornalista”, dice
Philomena alla suora che viene loro incontro nel convento, e Martin sottolinea
che lo era (un giornalista), Philomena aggiunge che è un cattolico e Martin ribadisce
lo stesso concetto; Martin (era un giornalista, era un cattolico) è l’uomo del
cambiamento, del progresso e dell’incertezza, Philomena è solida e ferma nelle
sue convinzioni come una quercia.
Il convento di Roscrea (delle
Sorelle del Sacro Cuore di Gesù, ed ecco spiegata la diffusione delle immagini
sul tema del sacro cuore di Cristo) rappresenta la religione come istituzione e
come centro di potere; Philomena incarna la fede, la spiritualità e dunque la
religione come risposta al senso della vita.
Martin si sofferma sulle tombe
semi abbandonate vicine al convento. Ne scopre una, fa riemergere ciò che è
sepolto, come sta cercando di fare Philomena. In una tomba c’è il corpo di una
ragazzina di 14 anni, una ragazza madre giovanissima dunque. In un’altra madre
e figlio morti durante il parto. Philomena ritrova un documento con il quale
rinunciava ad ogni pretesa di ricongiungimento con il figlio; Martin commenta
sarcasticamente che sono spariti tutti i documenti del figlio tranne, guarda
caso, l’unico che le imponeva il distacco: per grazia di Dio…
Philomena ritorna alla sua idea
di peccato e redenzione che passava per il dolore, giustificato dunque per
espiare la sua terribile colpa legata al sesso, ma Martin non capisce come il
desiderio così bello possa associarsi al male per volontà di Dio; Philomena
mette in dubbio la sua intelligenza. L’idea di dolore è tipicamente cristiana e
cozza contro la razionalità di Martin. Philomena, inoltre, ha lavorato per
trent’anni come infermiera, curando le ferite altrui in una ulteriore missione
espiatrice.
L’inchiesta decolla: le sorelle del Sacro Cuore vendevano i bambini a ricchi americani, c’è la necessità di
attraversare l’Oceano e i due protagonisti iniziano a darsi del tu. All’aeroporto
Philomena intrattiene Martin raccontando la trama di un romanzetto d’appendice
che sta leggendo. Sembra una fiaba, Frears insiste nel dettaglio, forse sta
parlando del proprio cinema con la lieve irriverenza di chi si tiene lontano
dalla autorialità seriosa, certo più impegnativa ma non meritevole di essere
raccontata (come il libro impegnativo letto da Martin che questi si astiene dal
descrivere). Del resto Philomena è colei che ha qualcosa da raccontare, Martin
non può che ascoltare ed apprendere tra le pieghe del racconto: saprà trovare
una morale alla favola che sta vivendo? Un ex collega incrocia Martin
sull’aereo ma sta volando in prima classe, come faceva solitamente il nostro
protagonista; per lui ora soltanto business class, un declassamento che non è
umano come prova a sottolineare Philomena: “Chi viaggia in prima classe non è
detto che sia di prima classe” afferma lei.
Arrivati a Washington emergono
sempre più le distanze tra i due personaggi e Martin tocca con mano l’estrema
semplicità di Philomena che lui stesso definisce il frutto di anni di letture
di Reader’s digest, Daily Mail e romanzi rosa, tutta una sottocultura che egli,
un po' snobisticamente, rigetta come retrograda e ultra pop. L’ingenuità di Philomena…Iniziano a comparire
le immagini di filmini amatoriali che riprendono la vita di Anthony così come
si è svolta realmente, un film nel film che dà corpo ai pensieri di Philomena
che mai ha smesso di pensare la figlio. Intanto Martin continua a correre.
“Sii carino con le persone quando
sei in cima, perché potresti incontrarle di nuovo nella discesa…” è il
consiglio di Philomena, una delle tante piccole perle di saggezza che distilla
al protervo Martin. Agli occhi della donna ogni persona merita rispetto e
comprensione, per Martin che proviene dal mondo della politica dietro ad ogni
persona c’è una funzione e un ruolo che la rendono prima di tutto uno strumento
da utilizzare (dalla hostess alla cameriera…).
Ironia della sorte, per un
progressista come Martin, la pista che porta ad Anthony conduce ad un uomo che
ha fatto parte delle amministrazioni politiche repubblicane di Reagan prima e
di Bush poi. Ma il figlio è morto nel 1995 di AIDS e per la madre è come averlo
perso una seconda volta. La scoperta che il figlio era gay non è una sorpresa
per Philomena che risalendo dalla sua sensibilità infantile aveva sempre
presentito la sua diversità. Il razionale Martin continua a stupirsi e ad
imparare, ciò che apprende è molto più profondo di quello che lui può insegnare
a Philomena (le classi di viaggio degli aerei, le modalità di utilizzo delle
stanze d’albergo…). La madre scopre di avere qualcosa in comune con il figlio:
entrambi hanno tenuto nascosto un segreto per tutta la vita, sepolto sotto un
cumulo di bugie (l’omosessualità di Anthony, la gravidanza di Philomena).
L’incontro con la sorellastra anch’essa prelevata dal convento e figlia ella
migliore amica di Philomena non scioglie la pena della donna: Anthony non
sembra aver mai parlato del suo passato in Irlanda.
“Non serve la religione per
essere equilibrati e felici” dice Martin che ha un sussulto quando Philomena lo
costringe a fermarsi perché lei deve confessarsi. Lei, di fronte al confessore
non sarà in grado di fare altro che piangere senza proferire parola, esce dalla
chiesa senza segnarsi con l’acqua benedetta, forse le parole di Martin hanno
colto nel segno, la sua fede sta vacillando di fronte agli assalti della
ragione e alle prove della vita. I dubbi di Philomena sulla opportunità di
proseguire una ricerca su un figlio che, probabilmente, non ha mai pensato a
lei. Ma ecco che il dettaglio dell’arpa celtica sembra aprire la speranza che
Anthony non abbia dimenticato le sue origini.
Il cerchio si chiude quando si
arriva al luogo della sepoltura di Anthony (Michael Hess) che è all’interno del
parco del convento in Irlanda; Martin cita Thomas Elliot: “La fine delle nostre
esplorazioni è tornare al punto di partenza e per la prima volta conoscere quel
luogo”. Rivedere lo stesso luogo con occhi nuovi alla luce di quanto scoperto.
Prima di parlare nuovamente con le suore Philomena invita, per l’ennesima
volta, Martin a non dare la colpa a loro!!! Abnegazione e mortificazione della
nostra carne, ecco cosa ci avvicina a nostro Signore, dice la suora Ildegard
nel finale.
Philomena in un estremo gesto di
misericordia perdona suor Ildegard tra l’incredulità e la rabbia di Martin con
cui la donna non vuole condividere il rancore e l’odio che possono estenuare
una persona (in fondo Philomena ha ricevuto il dono della fede grazie anche
alla esperienza dentro il convento e di questo si sente debitrice verso le pur
non irreprensibili suore. Sulla tomba di Hess così suona l’epitaffio: Uomo di
due nazioni e molti talenti.
Philomena, chiede a Martin di
pubblicare l’articolo perché è gusto che si sappia quanto è successo in quel
luogo (ma la conoscenza dei fatti non intacca la fede della donna che è ciò ce di più sacro il film racconta), Martin a sua volta regala una piccola statuina di Gesù alla donna in
segno di rispetto per la sua fede candida, devota, pura, una fede che non può
non incontrare l’ammirazione dell’uomo di ragione. Philomena finisce con il
raccontare un’altra storia da romanzo rosa per un Martin a cui non resta che
ascoltare ed apprendere. La donna racconta con candore il banale colpo di scena
del romanzo e lo descrive con la meraviglia di un cuore puro ed ingenuo che
ancora sa meravigliarsi e commuoversi, un cuore che ancora ha voglia di credere
e sperare. Nel finale le vere storie e
le vere immagini dei protagonisti della realtà i cui nomi coincidono con quelli
narrati da Frears.
Paul Ricoeur nel suo saggio sul
Male (Il male. Una sfida alla filosofia e
alla teologia) si sofferma sul concetto di lamentazione e doglianza legati
alla sofferenza e a ciò che il dolore muta nella nostra percezione ed idea di
Dio. La dimensione entro cui si muove il filosofo è quella della fede e della
certezza dell’esistenza di Dio. La sua personale teodicea (una branca della teologia che
studia il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza nel
mondo del male)
si risolve nel dover ammettere un’aporia intellettuale (nella filosofia greca
antica l’aporia indicava l'impossibilità di dare una risposta precisa ad un
problema poiché ci si trovava di fronte a due soluzioni che per quanto opposte
sembravano entrambe apparentemente valide) e registrare tre modalità di
“spiritualizzazione della lamentazione”:
Dio
non c’entra niente con le nostre sofferenze che sono unicamente un prodotto
umano e si riassume nel pensiero: No, Dio non ha voluto questo, ancor meno ha
voluto punirci; si produce il fatalismo e la rassegnazione per il ruolo del
destino nel mondo; per alcuni così la sofferenza è pura ingiustizia, una tegola
immeritata
Le
nostre sofferenze richiedono una spiegazione, non si può rimanere muti di
fronte al male, al dolore e dunque è giusta e necessaria la doglianza e
l’imprecazione contro Dio; l’accusa contro Dio è l’impazienza della speranza
che si ritrova nel grido del salmista: Fino a quando Signore?
Siccome
Dio è origine di tutto ciò che è buono nella creazione, allora non c’è
collegamento tra la fede in Dio e le sofferenze dell’esistenza; noi crediamo in
Dio a dispetto della sofferenza e “nonostante” il dolore; si produce una serena
accettazione del male, la rinuncia alla doglianza e al lamento; alcuni legano
il dolore all’espiazione e danno alla sofferenza un valore educativo.
Philomena, che incarna la figura
di colei che crede al di là di ogni ragionevole dubbio e la sua fede è salda ed
incorruttibile, rientra sicuramente tra coloro che appartengono al terzo grado
dell’aporia di Ricoeur. Frears sembra suggerirci che nella semplicità d’animo e
nella saldezza delle convinzioni religiose si possa trovare una ragione di vita
e una risposta alla sofferenza e al dolore. Ciò che ha attraversato Philomena è
un percorso di sofferenza prolungato, eppure non vi è rancore ed odio nel suo
vissuto. Ogni gesto, anche il più crudele, trova una giustificazione e l’umana
comprensione della donna che, nel finale, arriva a perdonare i propri aguzzini.
Martin, l’uomo razionale e cinico, il tipico intellettuale progressista ed
individualista, non sa trovare, nella propria ragione, una chiave di lettura
dei fatti che si allontani dalla logica della vendetta e del rancore; così
facendo però, come sottolinea la stessa Philomena, egli vive nell’odio che è un
sentimento che divora l’anima ed è “estenuante” secondo le stesse parole della
donna. Martin riconosce la grandezza del sentimento religioso di Philomena e la
omaggia di un piccolo dono, la statuina del Sacro Cuore, che attesta il
profondo rispetto che l’uomo di lettere alla fine nutre per la lettrice di
romanzi rosa e d’appendice.
Philomena è una sorta di Giobbe al femminile, ma,
al contrario del profeta, manca in lei la lamentazione e l’imprecazione contro
Dio. La sua è una sofferenza muta ed è un credere “nonostante” tutto. La
sofferenza trova ragione in lei in virtù dell’espiazione dei peccati commessi,
assurdamente ha un significato e dunque non può produrre odio o risentimento.
Anzi viene il sospetto che la grande fermezza spirituale di Philomena, che la
donna non solo difende ma evidentemente sente come un dono, una grazia ricevuta,
sia all’origine della sua reverenza e rispetto per l’istituzione che in fondo
ha prodotto il grande male della sua esistenza. In quel convento delle sorelle
del Sacro Cuore, Philomena ha anche costruito la sua fede e il suo credo e, in
fondo, le suore hanno contribuito anche alla sua serenità (Philomena ha una
figlia, si è costruita evidentemente una famiglia, “nonostante” tutto) ben più
dei genitori che rimangono fantasmi sullo sfondo. Il perdono finale è dunque
meno incomprensibile di quanto appaia ad una lettura superficiale.
La ferrea e cinica razionalità di
Martin riesce, alla fin fine, a produrre soltanto rancore e risentimento e lui
ha poco da insegnare all’anziana signora. Philomena, come abbiamo visto, è prodiga di consigli e di
argute battute proverbiali con le quali distilla verità di vita che spesso
colgono nel segno.
Fonti filosofiche citate:
Paul Ricoeur: Il male. Una sfida alla teologia e alla filosofia
Arthur Schopenhauer: O si pensa o si crede
Agostino d'Ippona: De Vera Religione
Nessun commento:
Posta un commento