Il segreto dei suoi occhi
Regia: Juan Josè Campanella
Argentina 2009
Vincitore del premio Oscar 2010 come miglior film straniero
Cast: Soledad Villamil (Irene), Ricardo Darin (Benjamin), Guillermo Francella, Javier Godino, Pablo Rago
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 127'
Produzione: Canal+Espana
Sceneggiatura: Eduardo Sacheri (autore dell'omonimo romanzo), Juan Josè Campanella
Costumi: Cecilia Monti
Musiche: Federico Jusid, Emilio Kauderer
Fotografia: Felix Monti
Una
stazione affollata, l’intenso sguardo di una donna (sono i primi occhi che il
film ci svela, ma altri sguardi saranno scandagliati, evidenziati, al punto che
sarà difficile poter attribuire ad un unico sguardo la paternità del segreto
del titolo; di quali occhi parliamo, di quelli di Irene, di Isidoro, di
Benjamin, di Ricardo?), un uomo che si allontana con la propria valigia, una
musica romantica, la fotografia ricercata (con un effetto acquarello combinato
con il ralenty); uno struggente addio che potrebbe alludere al finale di una storia
melò; così si apre la storia raccontata da Campanella nel suo bellissimo Il segreto dei suoi occhi. Potrebbe
essere l’introduzione ad una
fiammeggiante trama alla Douglas Sirk, ma in realtà ben presto ogni premessa si
sfalda.
Quelle immagini sono la visualizzazione delle pagine di un romanzo che
il protagonista (Benjamin Esposito) sta scrivendo e che derivano direttamente
dal suo travagliato passato. Catturare la bellezza di un attimo di passione,
incastonarla nelle pagine di un romanzo (e per metafora, nella stampa di una
fotografia o nei fotogrammi di un film) sembra opera proibitiva o forse
solamente inutile. Così quelle pagine sono strappate da Benjamin quasi che non
esprimessero compiutamente quanto andava ricercando, come le note di una
partitura letteraria che non lo convincono.
Troppa poesia (lo dirà la donna
dello sguardo, Irene, più avanti nel corso del film), troppo sentimentalismo,
lo scrittore non è soddisfatto e il film, con lui, ci dischiude un dubbio che
ci porteremo fino alla fine: quello a cui stiamo per assistere è solo il frutto
della penna del protagonista? Il finale può essere letto come, non solo il
finale del film, ma anche come quello del romanzo che Benjamin andava scrivendo?
Certo, fin da subito, il film ci svela i suoi aspetti tematici più importanti,
ovverossia la sua potente riflessione sul rapporto tra arte, bellezza e realtà,
tra ragione e fantasia, ragione e passione.
La
dolcezza dell’incipit, ulteriormente prolungata nei dettagli di intimità di una
giovane coppia che di nuovo lo scrittore prima descrive e poi cancella dalla
sua “partitura”, è subito contrappuntata dalle crude immagini di una violenza
(questa volta solo ricordata da Benjamin), che evoca l’episodio attorno a cui ruoterà l’intera
trama del film. Una giovane ragazza vittima nel 1974 (l’anno che precede
l’avvento della dittatura militare in Argentina, e anche l’aspetto storico non
va sottovalutato) della bestialità di un bruto. Iniziamo a mettere insieme i
primi tasselli: l’eccesso di poesia, di romanticismo (il dolce sorriso della
ragazza, Liliana, la marmellata che assapora il fidanzato, Ricardo, frutto solo
forse della fantasia romantica di Benjamin, mal si coniugano con la violenza
della realtà che quel quadro ha irrimediabilmente distrutto) non sembrano poter
risultare i registri giusti con cui raccontare quanto avvenuto (gli effetti
sonori della sveglia e del traffico sono altrettanti richiami alla realtà)
Benjamin,
ormai in pensione, cerca di riordinare il bandolo di una vicenda che con il
romanzo ha riesumato, ma che evidentemente lo conduce oltre la semplice
esigenza di rievocazione. Quel romanzo che, appena abbozzato, mostra alla
ritrovata Irene, è una sorta di confessione che l’uomo fa a se stesso nel
tentativo di sciogliere non soltanto i nodi di un caso giudiziario, che a
distanza di anni ancora era irrisolto, ma anche quelli personali di una vita
trascorsa e che sembra voler presentare il conto (“Di inizi ne ricordo
parecchi, ammette Benjamin, ma dubito che abbiano a che fare con la storia”).
Una
macchina da scrivere diventa l’oggetto, offerto da Irene, per poter meglio
lavorare su questo percorso di revisione interiore cui Benjamin ha deciso di
sottoporsi, ma è lei stessa, fondamentalmente, la chiave attorno a cui ruotano
le emozioni non risolte del protagonista.
Così il colore rosso è lì ad
evidenziare una passione, ora probabilmente sopita, ma un tempo forte ed
intensa come tutte le passioni giovanili. Il fiore sul tavolo di Irene nel
presente, il cappello e il vestito della prima apparizione di Irene di fronte a Benjamin, nel flashback che si
apre e che ci riporta indietro di venti anni al 1974, l’anno dell’omicidio
della giovane Liliana (ma anche anno in cui Benjamin vede fiorire la sua
passione per la nuova collega), sono gli indizi cromatici che ritroveremo
associati alla figura di Irene ( e, come vedremo, in generale al motivo della passione).
Benjamin cammina lungo le colonne del palazzo
in cui lavora ed accenna, alle donne che incontra, ad una porta del cielo che
sta per aprirsi... La sua porta del cielo è quella della stanza di Irene, allora
avvocatessa in carriera, di cui è perdutamente innamorato, troppo presa dagli
obiettivi della propria esistenza per potersi occupare di lui. Le porte sono le
occasioni che Benjamin ha avuto, quelle porte che apre e che poi non riesce a chiudere.
Benjamin, una volta sul luogo del
delitto (la stanza della ragazza uccisa
ha i colori accesi, come l’arancione, ed è un luogo che trasuda passione e
amore e che è stato violato, come un tempio sacro, dalla barbarie della
violenza umana), di fronte al corpo martoriato della giovane Liliana Colostro
ha un moto, un sussulto. Non è probabilmente la prima volta che si trova sulla
scena di un delitto, ma in quel corpo egli vede un oltraggio alla stessa
bellezza, una violenza che rompe l’incanto di una vita che sembrava incarnare
un ideale più alto e profondo (le foto sul comodino sono lì a ricordarlo).
Benjamin
scrive tutto questo e riflette sul futuro che avrebbe atteso Ricardo Morales,
ma una caffettiera fischia, la lettera A della macchina da scrivere non
funziona, la realtà disturba quel flusso interiore che si fa narrativo e
richiama il protagonista alla realtà che sembra non volerne sapere di
rispettare questo sforzo di ricostruzione e ricerca .
La
parte centrale del film si dipana con le caratteristiche di un poliziesco, con
il detective e il suo aiutante (Pablo Sandoval, una sorta di giullare che della realtà vede e vive il lato più comico e
grottesco, ma che è anche la voce della verità), le false piste poi svelate, le
ricerche e le indagini (talvolta maldestre) e la soluzione finale con la
scoperta del colpevole. Nelle indagini Benjamin conosce Ricardo Morales, il
compagno di Liliana e lentamente si trova a condividere con lui una sensazione
di vuoto per una passione che sembra essersi perduta nei meandri della vita
(l’una interrotta drammaticamente, quella di Ricardo, l’altra mai realizzata,
quella di Benjamin per Irene).
Così entrambi i personaggi sono spesso
inquadrati tra oggetti che li incastonano, porte che li limitano, attraverso
spazi che si fanno angusti e ristretti come se si evidenziasse la loro angusta
prospettiva di vita e un senso di soffocamento esistenziale.
Ma entrambi non
rinunciano a cercare, l’uno la vendetta, l’altro una risposta definitiva e così
sono destinati a incontrarsi di nuovo a condividere l’idea di una passione che
è destinata a non venir meno. Entrambi, come dice Benjamin, sono accomunati dal
destino di una passione che non è stata logorata dal tarlo del quotidiano
(l’illusione del romanzo e della foto come capaci di cristallizzare ed eternare
quegli attimi) e che dunque si è potuta mantenere viva e accesa
Ma
un altro grande tema del film si dipana con le scene dedicate alle indagini: la
riflessione sullo sguardo, su quel segreto che il titolo stesso indaga. E
allora allo sguardo di Benjamin e di Irene se ne aggiungono altri, in
particolare quello di Isidoro, il colpevole, che attira l’attenzione di
Benjamin che lo coglie con uno sguardo particolare in una foto mostratagli da
Ricardo. Perché Benjamin è attratto da quello sguardo? Semplice, perché in esso
egli ha visto la stessa passione che in prima persona egli prova per Irene, ha
visto accesa la stessa fiamma che lo divora, Isidoro è un altro Benjamin che
non sa rinunciare a ciò che lo ossessiona.
E’ chiaro, poi, che l’ossessione di
Isidoro diventa perversa e si trasforma, nel suo inappagamento, in violenza e
morte, in Benjamin si sublima nella sua inquieta ma pacifica ispirazione
artistica (nella stesura del romanzo). Benjamin poi, parlando con Irene (una
Irene il cui sguardo è fermo e deciso come quello di chi ha trovato nella
realtà un approdo fermo al bisogno di bellezza, con la sua scelta di un
matrimonio conformista ma sicuro)
riflette sulla purezza dello sguardo pieno di amore di Ricardo e sulla
sua persistenza nel tempo, immune come sarà, suo malgrado, dal logorio del
quotidiano (di nuovo la realtà che in contrapposizione all’ideale).
La
bellezza è passione e come un vortice avvolge e conduce l’uomo. Pablo ricorda a
Benjamin, che in questo modo è condotto alla soluzione del caso, come ogni
essere umano possa rinunciare a qualsiasi cosa tranne che alla propria passione.
La sequenza che si apre sulle parole e sullo sguardo di Pablo è vorticosa
proprio come la passione che va evocando. Con un piano sequenza straordinario,
Pablo ci conduce per mano dentro quel vortice che, nel caso specifico, è la
passione di Isidoro per il calcio.
La
scena dell’interrogatorio di Isidoro, l’intrusione di Irene, la scandalosa
provocazione di lui sono la cerniera per la seconda parte del film che vede
nella vicenda l’irruzione della Storia di quegli anni, dell’Argentina dei
militari (quell’Argentina che non si insegna ad Harward come ricorda
l’ispettore ad Irene) e della loro ascesa al potere (Isidoro e la sua
liberazione diventano il simbolo di un potere che ha fatto uso della violenza,
che ha soffocato la vitalità di un popolo, che ha letteralmente privato una
nazione delle sue migliori energie). Isidoro è una spia del governo, è il lato
oscuro con cui Benjamin deve confrontarsi, la pulsione di morte che si cela
dietro il desiderio inappagato. Qui è la
realtà storica che subentra (1974, anno
nel quale Isabela Peron prende il potere e segna il lento passaggio alla
dittatura militare che si svelerà in pieno due anni dopo) , violenta quanto lo
stupro di Isidoro, una realtà che spazza via il giullare Pablo (vittima
sacrificale perché anello debole della catena; la sua morte è di nuovo
raccontata tra le righe del romanzo e Benjamin la vuole come il sacrificio di
un amico, estremo, bello, importante) e ogni illusione giovanile di Benjamin e
Irene. Ecco tornare la scena dell’inizio (Benjamin se ne deve andare per
salvarsi dalla vendetta di Isidoro), senza più le sfumature acquarellate e
romanzesche frutto diretto della fantasia dello scrittore Benjamin.
Realtà e
fantasia si fondono e qui si risolvono (di nuovo scopriamo che la scena è letta
nel romanzo e Irene si lascia scappare una affermazione emblematica - “che
finale orrendo per un romanzo!” – finale troppo realistico, pessimistico e
dunque esatto ed indigeribile, contrario di quello eccessivamente romantico del
primo finale ). Ma la vita è un flusso che sembra non esaurire mai tanto le
illusioni quanto il loro possibile svanire e così se una fiammella rimane
accesa (quel fiore sulla scrivania di Irene) essa è destinata a riaccendersi.
Così passano venti anni e ciò che è rimasto sotto la cenere si riaccende, agli
occhi di Benjamin, tra le pareti di una fattoria in cui Isidoro si è rinchiuso.
Negli interni di questa, di nuovo ritroviamo il rosso (il televisore, la tenda)
che è l’indizio che la passione di Morales non si è spenta. Non si è spenta, ma
certo è mutata e il finale la svela: la vendetta, nella sua metodica e
quotidiana violenza tiene in vita Morales, è il carburante della sua non sopita
passione.
Benjamin
che aveva ammesso che per 20 anni si era distratto, che aveva accettato la
massima che “gli occhi parlano e dicono fesserie, a volte è meglio non
guardare”, questo Benjamin si risveglia e decide di guardare là dove non aveva
mai osato guardare (il temo del foglietto, monco di una A che mancava nella
macchina da scrivere, diventa te amo), oltre il segreto degli sguardi e decide
di guardare in faccia la vita (di chiudere finalmente dietro di sé la porta);
forse è tardi, forse è soltanto il finale del suo romanzo…
Come
Benjamin nel romanzo, Campanella tesse una tela raffinata e romantica descrivendo
una realtà violenta e disgregante ma non arrendendosi a questa , bensì
opponendo la sua indomita fiducia nella possibilità di inseguire il barlume di una
luce di bellezza. Il cinema è il suo strumento passionale che può impressionare
e “imprigionare” su pellicola gli istanti carichi di bellezza che nella realtà
sfuggono (come la fotografia fa con il sorriso di Liliana salvato dal “logorio
del quotidiano”), e sappiamo che possiamo rinunciare a tutto tranne che alla
passione…
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